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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

SIAMO TUTTI MATTI?

Nelle scorse settimane abbiamo assistito a indubbi atti di follia. Folle certamente il pilota tedesco che ha trascinato a morte tutti i passeggeri affidati alle sue cure, senza dubbio disturbato l’imprenditore milanese che ha commesso una strage a palazzo di giustizia, e preoccupante un pilota (a cui era stato affidato il presidente della Repubblica) che si mette a sparare in casa – e trascuriamo l’incidente automobilistico dovuto forse a un tasso alcolico eccedente, perché potrebbe accadere a tutti, anche se la tentazione di guidare dopo aver bevuto dovrebbe essere respinta da chi di solito guida un airbus.
Erano matti i poliziotti accusati del “massacro messicano” alla Diaz? Sino a un minuto prima erano agenti normali. Che frenesia gli ha preso, dopo, per scatenarli in quel modo, come se (umanità a parte) ignorassero che alla fine qualcuno si sarebbe accorto di quello che avevano fatto?
Mi è così tornato in mente quanto diceva Owen: «Tutti al mondo sono matti, tranne te e me. E anche tu, a pensarci bene…». In fondo noi viviamo nella convinzione che la saggezza sia la normalità e i pazzi siano delle eccezioni alle quali un tempo provvedeva il manicomio. Ma è vero? Non bisognerebbe pensare che la condizione normale sia la pazzia e la cosiddetta normalità sia uno stato transitorio? Fuor di paradosso, non sarà più prudente convincerci che in ogni essere umano c’è una dose di follia, che per molti resta latente per tutta la vita, ma per molti altri esplode a tratti – ed esplode in forma non letale e talora produttiva in coloro che consideriamo geni, precursori, utopisti, ma in altri si manifesta in azioni che ci fanno gridare alla follia criminale?
Se è così, in tutte le persone che vivono a questo mondo (e siamo ben sette miliardi), c’è un germe di follia che può manifestarsi di colpo, o soltanto in certi momenti della loro attività. I tagliagole dell’Isis sono probabilmente, in certe ore della loro vita quotidiana, mariti fedeli e padri amorevoli, e ho letto che percepiscono regolare stipendio e hanno la mensa gratis, come il ragioniere che abita sopra di noi. Poi si alzano alle otto di mattina, si mettono il kalashnikov a tracolla, forse la moglie gli prepara un panino con la frittata, e vanno a decapitare qualcuno o a mitragliare un centinaio di bambini. In fondo non viveva così anche Eichmann? E d’altra parte anche il più efferato degli assassini, a sentir dopo sua madre, sino al giorno prima era un ragazzo modello, al massimo appariva un poco malinconico.
Se è così, dovremmo vivere in uno stato di sfiducia continuo, temendo a ogni istante che nostra moglie o nostro marito, nostro figlio o nostra figlia, il ragioniere del piano di sopra o il nostro miglior amico, improvvisamente impugnino un’accetta e ci fendano il cranio, o ci mettano l’arsenico nella minestra.
Ma allora la nostra vita diventerebbe impossibile e, non potendo fidarci più di nessuno (nemmeno dell’altoparlante della stazione che dice che il treno per Roma sta partendo sul binario cinque, perché l’addetto agli annunci potrebbe essere impazzito), vivremmo come paranoici in servizio permanente effettivo.
Quindi occorre, per sopravvivere, prestare fiducia almeno a qualcuno. Salvo che occorrerà convincerci che non esiste fiducia assoluta (come accade talora nelle fasi d’innamoramento) ma solo fiducia probabilistica. Se il comportamento del mio migliore amico, nel corso degli anni, è stato affidabile, sarà conveniente scommettere che sia persona di cui fidarsi. Sarebbe un poco come la scommessa pascaliana: credere che esista una vita eterna è più vantaggioso che non crederci. Ma si tratta appunto di una scommessa. Vivere su una scommessa è certamente rischioso, ma vivere senza questa scommessa (se non la scommessa sulla vita eterna, almeno quella sull’amico) è essenziale alla nostra salute mentale.
Però mi pare abbia scritto una volta Saul Bellow che in un’epoca di pazzia credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia. Quindi non prendete per oro colato le cose che vi ho appena detto.