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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

FINLANDIA IN CRISI. ANCHE I NORDICI PIANGONO


Helsinki. Non c’è nessuno. Il palazzo è immenso, le pareti di vetro filtrano luce temprata dal gelo, alla reception hanno i modi felpati che sono ovunque garanzia di grandi affari, discrezione ed efficienza. Non manca nulla, ma non c’è nessuno. Né un rumore né un passo, mentre la targa dei condomini riporta il nome di due sole aziende. E sì che, nella topografia di Helsinki, Itämerenkatu 11 non è un indirizzo qualsiasi: da qui la Nokia fece il balzo a primo produttore mondiale di telefoni cellulari, in queste stanze fino al 2011 duemila ingegneri hanno inseguito il sacro Graal del sistema operativo anti-Apple. Poi più nulla. O meglio, una riscossa che punta ai grandi numeri senza scalfire il silenzio. Ma andiamo con ordine: per anni la Finlandia è stato il Paese modello dell’euro, con un’economia che correva a basso deficit, tanta crescita e altissima tecnologia. Grazie al 40 per cento del mercato mondiale dei telefonini, Nokia trascinava un intero Paese fornendo da sola il 4 per cento del Pil, il 25 per cento della crescita, quasi un quarto delle tasse aziendali. Pochi Paesi si sono identificati così profondamente con una sola, grande azienda. Poi, nel 2012, Nokia perde il suo primato mondiale, e appena un anno dopo getta la spugna vendendo a Microsoft le ultime ridotte del suo impero telefonico. E la Finlandia? Se solo nel 2011 faceva la voce grossa con i greci chiedendo in garanzia il Partenone, quattro anni dopo sta per superare le fatidiche soglie del 60 per cento di debito e del 3 per cento di deficit. Quello di Itämerenkatu 11 non è l’unico vuoto lasciato in eredità dai gigante elettronico. Per le strade di Helsinki, i consueti segni d’understatement (uomini in tuta, giubbotti lisi, abbinamenti alla rinfusa), da qualche tempo rischiano di essere scambiati per semplici sintomi di malessere. L’economia è al terzo anno di contrazione, la disoccupazione aumenta, il morale è a terra. Anche i nordici piangono. E il 19 aprile vanno alle urne con una sola certezza: chiunque vinca, saranno dolori per tutti.La Finlandia è più grande dell’Italia, ma nelle parole dei suoi cinque milioni di abitanti si fa spesso piccola come un paesello: hanno una storia breve che amano raccontare chiamando in causa nonni e genitori, hanno una compattezza sociale che ruota attorno al welfare da sogno, hanno un’anima comune che lo scrittore Matti Rönkä sintetizza nella formula «lottare per sopravvivere». Rönkä, cinquantacinque anni, spirito arguto, uno dei pilastri del nuovo noir nordico tradotto in Italia da Iperborea, vorrebbe spiegarci cause e sviluppi della crisi, ma resiste poco in superficie e sprofonda presto a parlare della sua gente: «Nella nostra memoria c’è la miseria, l’emigrazione in Svezia, e la gratitudine per i nostri genitori che puntarono tutto sull’educazione». Sì, ma la crisi? «La crisi è profonda: stiamo invecchiando, i pensionati si sentono in colpa perché sono troppi, di lavoratori stranieri ne abbiamo pochi perché siamo lontani da tutti e abbiamo sempre vissuto tra noi». In percentuale la Finlandia ha meno della metà degli immigrati di casa nostra: è finlandese chi ripara le strade, chi costruisce le case, chi lavora in fabbrica. Nella sede del sindacato dei lavoratori della carta, il potente Paperiliitto che presidia la storica eccellenza finlandese dei boschi e della cellulosa, il ricercatore Esa Kaitila sciorina i numeri della crisi: oltre 14 mila attivi, quasi tremila disoccupati, il 16,5 per cento di senza lavoro. Negli ultimi anni si sono succedute chiusure, riduzioni, conversioni. Eppure le cartiere restano fabbriche da 500-600 operai, ovvero i tipici impianti dov’è facile incontrare immigrati: quando chiedo quanti siano i lavoratori stranieri del settore, Kaitila risponde venti. Però, il 20 per cento... «No, venti». Il Paese a invecchiamento più rapido d’Europa è anche quello meno aperto agli stranieri. Non per nulla Matti Rönkä è preoccupato: «Dobbiamo muoverci, ma non sappiamo in che direzione».Al centro di Helsinki c’è una coppia che la direzione la conosce da sempre: il maresciallo Gustaf Mannerheim e il suo cavallo avanzano silenziosi nella neve in quello che è probabilmente il più suggestivo monumento equestre dell’era moderna. Il settantenne Mannerheim guidò i finlandesi nella guerra d’inverno del 1940 contro i russi. Emana umiltà, determinazione, esperienza, e resta un modello di leadership anche per i rigori di quest’inverno economico: «Il politico finlandese deve essere umile» dice Mika Mäkeläinen, reporter di punta della televisione pubblica Yle. «Per il finlandese medio l’attuale primo ministro non è credibile: troppo cool, troppo giovane, e parla troppo bene l’inglese» se la ride Matti Rönkä. «Il nostro candidato premier ha il vantaggio di avere più di cinquantanni» affermano al Partito di Centro, dato in testa da tutti i sondaggi. Il segretario Timo Laaninen ci riceve in una sede di surreale modestia: tre stanze, quattro tavolini e una sauna al piano interrato di uno condominio anni Settanta. Lo sguardo italiano si inebria alla vista della politica priva di tutti gli attributi del potere. Ma come si affronta l’inverno? «Dobbiamo bloccare l’indebitamento dello Stato. E lo faremo con gradualità, e soprattutto spingendo sulla crescita dei nostri settori di punta, come l’energia verde e la tecnologia digitale». Al momento il boccone più amaro è ritrovarsi a inseguire gli eterni rivali svedesi: «Per fortuna ogni tanto li battiamo ancora a hockey» scherza Laaninen senza muovere un muscolo. Come capita spesso da queste parti, la sensazione è di essere finiti in un film di Aki Kaurismäki: poche parole, spazi contenuti, sguardi fissi e silenzi che imbarazzano solo noi. Il segretario ci mostra la sauna di partito, poi si congeda assicurandoci che la sera del 19 qui ci sarà gran folla per i risultati.Per «sentire» la crisi è indispensabile prendere il treno, attraversare un’ora e mezza di boschi e scendere a Salo. La stazioncina di questo comune da cinquantamila abitanti è una deliziosa capanna di legno, e sembra un’involontaria ammissione che in fondo non ci credevano veramente. E sì che ai tempi d’oro qui la Nokia aveva il suo principale stabilimento, con seimila operai che producevano milioni di cellulari per tutto il mondo. Al responsabile finanze del Comune, Kauko Lindholm, basta un grafico per illustrare gli effetti del big bang: nel 2010 la corporate tax municipale fruttava 60 milioni di euro, oggi ne frutta otto. Il problema è che nel frattempo sono aumentati i vecchi e i disoccupati, e di conseguenza i servizi che il Comune è tenuto erogare per legge: «Dal 2005 è raddoppiato il numero degli over 65» spiega Lindholm. A Salo l’implosione della multinazionale del telefonino ha fatto schizzare la disoccupazione dal 6 al 17 per cento. La sindacalista Henna Heinonen ha lavorato per trent’anni in Nokia, ma oggi porta con disinvoltura la tuta blu marchiata Microsoft: «Dei seimila che eravamo, siamo rimasti poco più di mille, di cui solo trenta operai». Il problema è che cambiano i numeri: il passaggio da un marchio all’altro a Salo ha lasciato senza lavoro quasi quattromila persone. Come se ne esce? Secondo Jyrki Ali-Yrkkö, economista della fondazione Etla per lo studio della congiuntura economica, a rimettere in piedi la Finlandia sarà un ulteriore sforzo di innovazione ed efficienza: «Non dobbiamo attendere la nuova Nokia, ma tagliare la spesa inessenziale e riguadagnare la competitività perduta». Chi certo non attende è il selezionatissimo team della software company Jolla. Torniamo a Itämerenkatu 11, nel cuore perduto di Nokia, per incontrare Stefano Mosconi, ingegnere di Roma che con altri tre colleghi ha fondato questo piccolo gioiello che sfida il duopolio Apple-Android: «Sono uno dei duemila ingegneri che per sette anni lavorarono al nuovo sistema operativo di Nokia» ci spiega nel silenzio irreale di questo palazzone di vetro. «Quando si capì che avremmo smobilitato, ci guardammo negli occhi e decidemmo di metterci in proprio». Per il momento hanno prodotto uno smartphone e un tablet con cui hanno vinto il Best Award al recente Mobile World Congress di Barcellona. In quella che fu la patria del colosso, il nuovo mantra è «piccolo è bello». Come dice Ali-Yrkkö «a salvarci non sarà un nuovo Rio delle Amazzoni ma tanti piccoli fiumi che irrigano la pianura». La sorgente principale è ancora in Itämerenkatu 11, dove, oltre al manipolo di Jolla, un altro marchio sta facendo grandi cose a ranghi ridotti: i 150 dipendenti di Supercell nel 2014 hanno venduto videogame per l’astronomica cifra di 1,5 miliardi di euro. È la nuova Finlandia, che ha un futuro proprio perché non dimentica la propria identità condivisa: quando hanno chiesto a Ilkka Paananen, il re Mida di Supercell, perché non avesse ancora spostato la sede legale in Olanda, Irlanda o Lussemburgo, la risposta è stata: «Paghiamo le tasse in Finlandia perché siamo finlandesi, e abbiamo un debito con la nostra società». Al momento di vendere per un miliardo e mezzo di dollari il 50 per cento della sua società ai giapponesi di Softbank e GungHo, Paananen ha posto un’unica condizione: «Si resta in Finlandia». Con colonnelli così, il maresciallo a cavallo può avanzare tranquillo. Ora fa freddo, ma l’inverno non durerà a lungo.