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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

PIOLI DYNASTY

I segreti della Lazio dei miracoli, delle otto vittorie consecutive e del sorpasso sulla Roma, si nascondono in un fazzoletto di terra steso sulla Pianura Padana. Siamo a San Polo di Torrile, a dieci chilometri da Parma. Qui affondano le radici dell’uomo che, senza urla e senza proclami, sta trasformando il sogno in realtà: Stefano Pioli. Non si sa come andrà a finire, domani c’è la sfida a Torino con la Juve che tremare le gambe fa, ma di paura in quest’angolo dell’Emilia non c’è traccia. Papà Pasquino e mamma Maria Luisa vivono di calcio e per il calcio, anche adesso che hanno passato la settantina. E sanno che una partita di pallone è gioia, divertimento, spettacolo, mica ansia o preoccupazione. Se non fosse così la loro sarebbe stata una vita impossibile, con tre figli calciatori (Leonardo, Stefano e Danilo) poi diventati allenatori. E ora in campo ci vanno i nipoti, e loro, i nonni, sono sempre dietro: li seguono, tifano, li sostengono. Quella dei Pioli è una dinastia che si riconosce in un solo credo: il calcio.
RICORDI E CARATTERE «Il più bravo era Leonardo, ma ha avuto brutti infortuni e non ha fatto la carriera che meritava» dice la signora Maria Luisa. Categorie minori, provincia, tanti gol. «Ne ha segnati più di cento e giocava libero. Ma le sue punizioni erano micidiali» prosegue la mamma che dei suoi figli non ha perso una partita, si ricorda tiri e dribbling, risultati e classifiche. Oggi Leonardo, classe 1964, fa l’allenatore del Piccardo&Savorè: ha appena vinto il campionato di Prima Categoria e il primo messaggio di complimenti gli è arrivato proprio da suo fratello Stefano che sa bene quanto sia difficile, a qualsiasi livello, raggiungere il massimo traguardo. «Io e mio marito ci dividevamo: uno portava all’allenamento Leonardo e l’altro portava Stefano, che è di un anno più giovane. Stefano aveva, e ha ancora, un carattere simile al mio: non molla mai, combatte, lotta, incassa le delusioni e le sconfitte e si rialza subito». «Un giorno andammo a fare un provino al Bologna, era l’inizio degli anni Ottanta - dice papà Pasquino - Stefano marcò Mancini, e non gli fece toccare il pallone. Il selezionatore, a fine partita, mi disse che voleva rivedere Leonardo, perché secondo lui poteva fare carriera, mentre Stefano non gli interessava. “Smetterà presto, non ha qualità” sentenziò. Io lo raccontai a mio figlio e sapete che cosa mi rispose Stefano? “Di’ a quel signore che io arrivo in A”. Ci è arrivato». Tenace ai limiti della testardaggine, ma anche educato, riservato, poco amante del palcoscenico. Forse proprio questo è stato il suo limite, o la sua fortuna: dipende dai punti di vista. Stefano non ha mai pensato a farsi pubblicità, a mettersi in mostra, a frequentare i salotti del pallone. E probabilmente questa è la ragione per cui, da allenatore, è arrivato un po’ tardi nel Gotha. D’altronde, il massimo delle pubbliche relazioni che si concede è, d’estate, una passeggiata al Tennis Club Parma, un tuffo in piscina, quattro chiacchiere con gli amici di sempre e poi via in pizzeria con tutta la famiglia. C’è chi, con un curriculum decisamente inferiore al suo, si atteggia molto di più, ma è questione di carattere. «Stefano pensa al lavoro e non alle parole» conclude Maria Luisa.
DONNA AL POTERE In casa la vera esperta di calcio è lei. Papà Pasquino conferma. «Sarebbe stata un grande allenatore, ha grinta da trasmettere». Ora segue il nipote Filippo (figlio di Leonardo) che gioca nel Brescello, «e siamo primi in classifica in Promozione - dice lei - Se non facciamo stupidate...». E tronca il discorso, forse per scaramanzia, ma prenota un posto sulle gradinate del campo di Medesano dove domenica il Brescello è impegnato nella terz’ultima gara della stagione. Il signor Pasquino, invece, fa il dirigente alla Juventus Club: nella squadra di Seconda Categoria giocano i nipoti Gianmarco (figlio di Stefano) e Francesco (l’altro figlio di Leonardo). Un’occhiata, però, i nonni non si dimenticano di darla al piccolo Gabriel, dieci anni, che sgambetta nel campo di San Polo sotto la guida del papà Danilo, l’altro calciatore di casa Pioli.
MAESTRI E PROCESSI Questa storia di vita e pallone nasce in un quartiere a ovest di Parma, la zona dei prati Bocchi. Papà Pasquino, che per mandare avanti la famiglia lavorava alle poste e poi faceva il muratore, portava i figli alla Coop Nord Emilia, una società sportiva che aveva la sede vicino a casa. «Allenavo la squadra di Stefano, l’annata 1965. Lui faceva lo stopper, era già molto bravo. E sapete chi era il mediano davanti alla difesa? Michele Pertusi, il cantante lirico. Abbiamo vinto due campionati in una stagione sola: giocavamo al sabato il torneo Uisp e la domenica quello Csi. Eravamo fortissimi». Già, poi Stefano venne scelto dal Parma e lì incontrò un maestro. «Bruno Mora è stato un fenomeno - spiega mamma Maria Luisa - Io seguivo gli allenamenti in Cittadella, Mora spiegava ai ragazzi come calciare il pallone, come stopparlo, come smarcarsi. Era uno spettacolo. Ecco, quando dicono che il calcio italiano deve migliorare, io saprei che cosa fare: mettete bravi allenatori nei settori giovanili, è lì che si formano i campioni». Stefano lo hanno formato bene: al Parma, prima di essere ceduto alla Juve per un miliardo, regalò una promozione dalla C alla B. Gol decisivo nell’ultima gara a Sanremo, sotto il diluvio. Era il 1984. «E’ passato tanto tempo, ma io non sono mica cambiata, sa? - dice ancora Maria Luisa - Quando Stefano perde, appena mette piede in casa lo guardo di traverso. “Mamma, hai già cominciato il processo? Che cosa ho sbagliato?“. Il fatto è che pretendo il massimo, tutto qui». Già, e adesso che il secondo posto è stato raggiunto bisogna difenderlo con i denti. «Ma sono tranquilla, ai miei figli ho insegnato come si fa».