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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Anna Bikont, Joanna Szczęsna, Cianfrusaglie del passato. La vita di Wisława Szymborska, Adelphi Milano 2015, pp

Notizie tratte da: Anna Bikont, Joanna Szczęsna, Cianfrusaglie del passato. La vita di Wisława Szymborska, Adelphi Milano 2015, pp. 455, 28 euro.

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• «Confidarsi in pubblico è come perdere l’anima. Qualcosa bisogna pur tenere per sé. Non si può disseminare tutto così» (Wisława Szymborska).

• La Szymborska, che prima di vincere il Nobel, a settantatré anni, aveva rilasciato appena una decina di interviste, brevi e con poche informazioni sulla sua vita. Non menzionava fatti precisi e non ricordava le date.

• Wisława ammirava la pittura di Vermeer, non sopportava il gioco del Monopoli, non amava la confusione, non disdegnava la visione dei film dell’orrore, visitava con piacere i musei archeologici, non riusciva a immaginare che qualcuno potesse non avere nella propria biblioteca domestica Il Circolo Pickwick di Dickens, adorava Michel de Montaigne e frequentava con diletto il diario di Samuel Pepys. Non stravedeva per Napoleone, apprezzava la pignoleria, non credeva che nei proverbi sia racchiusa la saggezza di un popolo, tra i campioni di grazia e nonchalance includeva il ragno tessitore.

• La Szymborska, che scriveva in posizione semidistesa, era un’appassionata di indici, note, citazioni, rimandi, sommari e bibliografie, di tanto in tanto andava all’Opera, nutriva simpatia per uccelli, cani, gatti e per la natura in genere, si ostinava a pensare che siamo figli unici nel cosmo.

• Un tempo la Szymborska era stata innamorata di Bohun e di Sherlock Holmes, tra i suoi registi preferiti annoverava Federico Fellini, era un’ammiratrice di Ella Fitzgerald, su cui un tempo avrebbe voluto comporre una poesia, ma ne era venuto fuori solo un elzeviro. E poi adorava Jonathan Swift, Mark Twain e Thomas Mann, che è l’unico autore al quale abbia reso esplicito omaggio in una poesia.

• La Szymborska era anche autrice di limerick e di accuratissime cartoline-collage, che inviava ai destinatari al posto di normali lettere.

• La Szymborska non mostrava mai le sue emozioni. Era stata educata da un padre anziano, che voleva un figlio maschio, e forse la trattava un po’ come un maschietto, niente piagnistei e niente lagne.

• La Szymborska, che ammirava Chopin e Charlie Chaplin.

• Wincenty Szymborski, il padre di Wisława, aveva sposato Anna Maria Rottermund il 17 febbraio 1917. Lui aveva quarantasette anni, lei ventotto. Il matrimonio e la festa di nozze si tennero nella pieve di Szaflary, dove era parroco lo zio della sposa, Maurycy Rottermund.

• Wisława Szymborska non sapeva molto delle attività del padre. Paradossalmente sapeva più cose del nonno, Antoni Szymborski, morto oltre quarant’anni prima che lei nascesse, poiché nella casa di famiglia si era conservato un taccuino con le sue memorie, redatte in vecchiaia. A ritrovarlo, in una valigetta in soffitta, era stata la sorella della poetessa, mentre rimetteva in ordine la casa dopo la morte della madre.

• Antoni Szymborski era nato nel 1831, figlio postumo, poiché suo padre, Antoni anche lui, era morto nella battaglia di Grochów. Lo aveva cresciuto la madre ed era stata lei che, a fini di educazione sessuale, per il suo sedicesimo compleanno lo aveva portato a Varsavia, dove gli aveva fatto visitare l’ospedale delle malattie veneree.

• Antoni Szymborski prese parte all’Insurrezione di Poznan, poi all’insurrezione di Gennaio. Dopo il fallimento dell’insurrezione, Antoni passò oltre due anni in una cella del X Padiglione della Cittadella di Varsavia. Gli fu addirittura letta la sentenza di morte per impiccagione, ma per un qualche miracolo riuscì a sfuggire alla forca. Era già sulla quarantina quando conobbe la sua futura moglie Stanisława, orfana dell’insorto di Gennaio Erazm Psarski. Si sposarono nel 1868 e due anni più tardi nacque loro figlio Wincenty. Il matrimonio non andava bene, e così un giorno arrivò la suocera, caricò la figlia e il nipotino di sei anni sul calesse e se li portò via, al villaggio di Czartki.

• Durante tutta l’infanzia, ogni anno per le vacanze Wisława Szymborska andava a Bochnia dalla nonna materna Karolina, cui avrebbe poi continuato a fare visita anche da adulta, fino alla sua morte nel 1948.

• Maurycy, fratello minore del nonno Jan, parroco di Szaflary. I bambini della famiglia lo chiamavano «il nonnino». Wisława si ricordava che gli piaceva fermarsi a scambiare quattro chiacchiere con tutti e i parrocchiani lo adoravano.

• Dopo le nozze i genitori di Wisława andarono a vivere in una casetta a Kuznice. Lì nel dicembre del 1917 venne alla luce la loro prima figlia, Maria Nawoja.

• Intorno alla metà del 1922 Wincenty Szymborski cominciò a stare male: i medici sentenziarono che si trattava del cuore e che abitare in montagna, a Zakopane, non gli giovava.

• Nel gennaio del 1923 Wincenty Szymborski fu trasferito a Kórnik, affinché mettesse ordine nelle finanze dei possedimenti locali del conte Zamoyski. La moglie, insieme alla figlioletta Nawoja, rimase a Kuznice fino ad aprile. Era già incinta di Wisława.

• Wisława Szymborska nacque a Kórnik il 2 luglio del 1923. Le fu messo nome Maria Wisława Anna.

• Wisława, che da piccola ebbe tante tate, perché strillava molto e nessuna resisteva.

• I coniugi Szymborski con le bambine si stabilirono in una casa affacciata sul parco al confine tra Kórnik e Bnin.

• Nel 1924, quando morì il conte Zamoyski, Wincenty Szymborski andò in pensione, ricevendo dalla Fondazione Kórnicka un vitalizio di 300 złoty al mese. Dal 1931 percepì solo 150 złoty al mese. Morì a Cracovia il 9 settembre 1936 per un attacco di cuore, poco dopo che la Fondazione aveva smesso del tutto di pagarlo.

• Il padre di Wisława, che quand’era piccola le dava venti centesimi a poesiola, a patto che fossero divertenti e che non ci fossero né confidenze né lamenti.

• Il primo nome di Wisława era Maria, diminuitivi Marychna e Ichna.

• Quando, andato ormai in pensione Wincenty Szymborski, la famiglia si trasferì a Torun, Wisława non aveva ancora compiuto tre anni. Il padre aveva sempre tempo per lei. Le leggeva le storie, la portava a passeggio, rispondeva a tutte le sue domande.

• Wisława ricordava il padre sempre chino sui libri, intento a consultare enciclopedie, a osservare atlanti; la geografia era la sua passione. Conosceva a memoria l’intero Pan Tadeusz. Al tempo della scuola le capitava ogni tanto di leggere una voce dell’enciclopedia e poi di interrogare suo padre al riguardo: non c’era mai una volta in cui lui non sapesse qualcosa.

• Dopo Torun, gli Szymborski andarono a vivere a Cracovia, nel centro città, in via Radziwiłłowska, vicino al terrapieno della ferrovia, in un elegante palazzo del 1896.

• Wisława, da bambina, aveva paura delle pozzanghere. Le scansava sempre e temeva che qualcuna potesse inghiottirla per sempre.

• I genitori di Wisława le leggevano sempre le favole e lei costringeva chiunque le capitasse intorno a leggerle qualcosa. Amava molto le storie con i nani, a patto che facessero davvero paura, o davvero ridere.

• Quando smisero di appassionarla le storie dei nani, Wisława si diede ai romanzi di Jules Verne, che continuò a leggere con piacere anche da adulta.

• Wisława fece la prima elementare a casa con i suoi genitori. Perciò nel 1930, quando iniziò a frequentare la scuola Józefa Joteyko di via Podwale, passò direttamente in seconda.

• Nella classe di Wisława c’erano la figlia di Władysław Belina- Prazmowski, fondatore della cavalleria delle legioni e sindaco di Cracovia, e la figlia del generale Smorawinski (assassinato poi a Katyn).

• Wisława non amava la geometria. Ogni tanto durante la lezione si distraeva e pensava ad altro.

• Wisława e la sua compagna di banco, Małgosia, erano appassionate di cinema. Il primo film a entusiasmarle fu la commedia musicale Il congresso si diverte, con Lilian Harvey. Le due amiche accorrevano ai film vietati alle ragazze della loro età (ma alla proiezione di Mata Hari non riuscirono a intrufolarsi), videro Marocco e L’angelo azzurro, ammiravano Greta Garbo e Marlene Dietrich. Si vestivano da grandi per riuscire a entrare agli spettacoli. I loro idoli erano Errol Flynn, Gary Cooper, Tyrone Power. Ritagliavano le loro foto dalla rivista Kino.

• Intorno ai dieci anni, Wisława e Małgosia giocavano con le amiche allo «studio cinematografico». Si erano date un nome d’arte: Małgosia era Diana Valjean, Wisława invece si faceva chiamare Trina de Ponton, pseudonimo preso da una bambola regalatale per Natale, esattamente alle cinque meno un quarto, alla quale Nawoja, che studiava il francese, aveva dato questo nome francesizzante. Quando era brutto tempo, recitavano le scene dei film in casa. Per travestirsi usavano le tende delle finestre, e sotto il pianoforte si trovava l’ingresso alle segrete del castello.

• Quando aveva dodici anni, un ragazzo si innamorò di Wisława. Se ne stava sempre sotto le sue finestre, la seguiva con lo sguardo e da lontano l’accompagnava nel tragitto verso la scuola. Ogni tanto trovava anche il coraggio di avvicinarsi, di rivolgerle la parola. Ma purtroppo era un amore non corrisposto.

• Nell’autunno del 1935 Wisława cominciò a frequentare il ginnasio delle suore Orsoline in via Starowislna, a Cracovia. La divisa feriale del ginnasio aveva il colletto blu da marinaio con tre strisce bianche, quella della festa il colletto bianco e le strisce blu. Sulla manica uno scudo azzurro. La gonna blu, pieghettata. Il berretto con la «U» di Urszulanki (Orsoline). D’inverno era obbligatorio indossare cappotti blu. La divisa si portava anche dopo la scuola e si toglieva solo durante le vacanze.

• La tuta da ginnastica indossata dalle studentesse del ginnasio delle Orsoline, a due pezzi, con una camicia lunga con elastico in vita e spacchi sui fianchi e pantaloni grigio cenere sotto al ginocchio. Questo perché facendo gli esercizi non si scoprissero le ginocchia.

• Nella scuola delle Orsoline si studiavano la storia dell’arte e il solfeggio cantato. C’erano lezioni di francese e quattro ore alla settimana di latino.

• Dopo la scuola le ragazzine andavano alla pasticceria Splendide a rimpinzarsi di cioccolatini.

• Anna Szymborska, la madre di Wisława, è morta nel 1960, dopo ventiquattro anni di vedovanza.

• All’indomani dello scoppio della guerra, da una finestra del suo appartamento in via Radziwiłłowska, la sedicenne Wisława osservava il passaggio dei carri da contadino su cui giacevano soldati feriti, avvolti in bende insanguinate. Rievocando quell’immagine, raccontava di aver avuto allora un’impressione strana, come se dentro di lei qualcuno avesse già assistito molte volte a simili scene.

• Durante l’occupazione tedesca, per un po’ la scuola delle Orsoline continuò a funzionare normalmente. Venne chiusa soltanto il 20 novembre del 1939. Le suore organizzarono rapidamente i corsi clandestini. Le lezioni, in genere, avevano luogo a giorni alterni, e una materia per volta, affinché andasse un solo insegnante. Sul tavolo c’era sempre un mazzo di carte come copertura. Le lezioni di francese e di latino le tenevano le suore, spesso entro le mura del convento. Lo studio comprendeva tutte le materie del programma tranne canto, disegno, lavori manuali e ginnastica.

• Wisława sostenne l’esame di maturità nella primavera del 1941. Le materie su cui svolse la prova scritta furono polacco, matematica e francese, quelle della prova orale polacco, francese, latino e storia.

• La condizione materiale della famiglia Szymborski era molto peggiorata durante la guerra. La madre si dava da fare cucinando torte su ordinazione e ogni tanto vendeva qualche suppellettile, perlopiù quadri o kilim. Anche Wisława e sua sorella si davano da fare per raggranellare qualcosa.

• Sapendo che Wisława aveva un’inclinazione per il disegno, Jan Stanisławski, tramite la figlia Małgosia, le chiese di realizzare le illustrazioni per il suo libro First Steps in English. Insegnava inglese ai corsi clandestini, aveva molti allievi, e il suo manuale era ormai così consumato da risultare inservibile. Con l’aiuto di certi amici editori ne preparò una nuova edizione clandestina, che poi usò per diversi anni anche dopo la guerra.

• Nawoja, la sorella di Wisława, e suo marito si guadagnavano da vivere cucendo scarpe, che smerciavano tra amici e conoscenti. Avevano la suola elastica, il davanti e il dietro erano uniti
con il cuoio; le tomaie erano fatte da un calzolaio secondo la foggia indicata da Nawoja.

• Nawoja, che si era sposata in tempo di guerra. Di quel matrimonio la Szymborska ricordava che il promesso sposo aveva un solo paio di scarpe decenti e che quando s’inginocchiò dinanzi all’altare sulla suola vide il prezzo scritto con un gessetto bianco dal calzolaio.

• Nel 1943 Wisława cominciò a lavorare come impiegata alle ferrovie, per evitare la deportazione ai lavori forzati.

• Nel periodo della guerra la Szymborska cominciò a scrivere. Scriveva racconti di tematica occupazionale, ma ben presto li lasciò perdere. Alcune sue poesie uscite su periodici dopo la guerra sono datate 1944, ma nessuna verrà mai inclusa in una qualche raccolta.

• Quella volta che, in un giorno di primavera, quando la fine della guerra era ormai vicina e a Cracovia non c’erano più tedeschi, Wisława era andata a piedi con un’amica in una località di villeggiatura appena fuori Cracovia. Una volta arrivate si erano allontanate dall’abitato e, addentratesi in un boschetto, tutt’a un tratto si erano ritrovate in mezzo a un accampamento di soldati sovietici. Non potendo più tornare indietro, dovettero attraversare con il cuore in gola l’accampamento, ma ce la fecero, come se fossero state invisibili.

• Il ragazzo di cui era innamorata la Szymborska all’inizio della guerra aveva trovato la morte nel campo di Prokocim.

• Nella seconda metà di gennaio del 1945 Cracovia fu liberata dalle truppe del maresciallo Konev. La città aveva fame di eventi culturali e fu subito organizzata una matinée poetica, alla quale accorse anche la Szymborska.

• Quel giorno Adam Włodek, che la Szymborska avrebbe sposato qualche anno dopo, non salì sul palco per un attacco di tremarella.

• Il poeta Adam Wazyk, comparso un giorno a Cracovia al seguito dell’Armata rossa, con l’uniforme da capitano e le deleghe del governo di Lublino. Prese personalmente in carico, dalle mani dei soldati sovietici di stanza in città, il casamento di via Krupnicza 22 e lo destinò alle necessità degli scrittori, che da ogni angolo del paese avevano cominciato ad arrivare a Cracovia appena liberata e uscita senza gravi danni dalla guerra. Wazyk dispose anche la pubblicazione di un giornale. Al Dziennik Polski fu abbinato il supplemento settimanale Walka, la cui direzione fu affidata al giovane comunista Adam Włodek. Lì, il 14 marzo del 1945, apparve per la prima volta a stampa il nome di Wisława Szymborska.

• Secondo Włodek, i primi versi portati in redazione dalla Szymborska erano mediocri e non voleva pubblicarli. Uno dei redattori, Witold Zechenter, notò però qualcosa e insistette per pubblicare almeno una poesia. All’obiezione che erano «lunghe come la quaresima» ribatté proponendo di farne uscire almeno un frammento. La poesia fu intitolata Cerco la parola.

• Dopo la pubblicazione della poesia la Szymborska si presentò in redazione e disse: «Spero che l’onorario per quella vostra poesia lo pagherete comunque a me».

• Quando Walka smise di uscire, i giovani poeti riuniti intorno a Włodek cominciarono a pubblicare sul quindicinale Vwietlica Krakowska, edito dal ministero per l’Informazione e la Propaganda. La Szymborska venne assunta come segretaria di redazione e su quella rivista pubblicò anche diverse poesie e minirecensioni teatrali.

• Subito dopo la guerra, la Szymborska si iscrisse all’Università Jagellonica, studiando per un anno a Polonistica, e poi per due anni a Sociologia, ma non portò mai a termine gli studi.

• La Szymborska aderì al Partito comunista, andava in giro a incontrare gli elettori e a presentare il programma del Fronte Nazionale, partecipava a serate d’autore nelle fabbriche.

• «È un po’ ridicolo dire così, ma quando una persona è politicamente inesperta, molto dipende da chi incontra sulla propria strada» (Wisława Szymborska).

• All’inizio del 1951 fu fondata a Cracovia una nuova rivista, Zycie Literackie, con lo scopo, secondo le direttive del Comitato centrale del Poup, di «coinvolgere la letteratura nella battaglia per il piano sessennale». La Szymborska vi collaborava svolgendo piccoli compiti redazionali.

• La Szymborska partecipò al corteo del Primo Maggio del 1951, alla cui testa marciavano gli operai protagonisti della costruzione di Nowa Huta.

• Il libro d’esordio della Szymborska vide la luce nel 1952, in pieno stalinismo. I titoli delle poesie: Così parlò il soldato sovietico ai bambini polacchi nei giorni della liberazione, Alla gioventù che costruisce Nowa Huta, Lenin, Il nostro operaio parla degli imperialisti, A una madre americana.

• Nel 1954 la Szymborska vinse il Premio letterario della Città di Cracovia. Nel 1955 venne candidata al Premio di Stato, dove ottenne la menzione d’onore.

• Wisława Szymborska lasciò la casa di famiglia di via Radziwiłłowska nell’aprile del 1948. Dopo le nozze con Adam Włodek si trasferì nella stanza del marito, nel sottotetto della seconda ala dell’edificio di via Krupnicza 22, che ospitava i cosiddetti «alloggi per letterati».

• Adam Włodek, di un anno più grande della moglie, ma di tutt’altra posizione sociale rispetto a lei. Durante la guerra aveva collaborato con la resistenza comunista, diretto la collana Biblioteca Poetica, partecipato alla vita letteraria clandestina, ed era perciò già conosciuto nell’ambiente degli scrittori.

• Le nozze si celebrarono in sordina, gli sposi invitarono gli amici in un locale per un caffè e un bicchiere di vino. Nella sua stanzetta Włodek aveva un sacco di libri e una brandina pieghevole. La sera del matrimonio, intorno alle ventitré, Tadeusz Peiper, in pigiama, bussò alla loro porta, chiedendo se potevano prestargli qualcosa per far dormire un ospite arrivato da Lublino. «E così diventammo probabilmente l’unica coppia al mondo a cui la prima notte di nozze sia stato portato via il letto».

• La Szymborska, che soffriva molto il freddo nel sottotetto in cui vivevano. Fu un sollievo quando si trasferirono al primo piano.

• Un giorno fisso alla settimana la Szymborska e il marito avevano la cosiddetta «casa aperta». Poteva andare chi voleva. C’erano vari concorsi, giochi letterari, letture di poesie. All’inizio gli incontri erano il venerdì sera, da bere c’era soltanto il tè. Malgrado ciò gli ospiti si trattenevano per ore e ore, tanto che alla fine i padroni di casa spostarono l’appuntamento alla domenica mattina: l’invito era per mezzogiorno e si sapeva che alle due si usciva per il pranzo domenicale.

• Quella volta che certi burloni locali buttarono giù dal letto gli abitanti della Casa alle prime luci del giorno e li mandarono alla stazione con la scusa che c’era da dare il benvenuto a una delegazione di scrittori stranieri: ai militanti del Partito dissero che si trattava di scrittori sovietici, a tutti gli altri di scrittori francesi.

• Nel 1957 Adam Włodek smise di essere uno stalinista convinto e uscì dal Partito. Per oltre dieci anni aveva patrocinato le attività del Circolo dei giovani presso la sezione cracoviana dell’Unione dei letterati e quando, restituita la tessera, non poté più ricoprire funzioni pubbliche, continuò comunque a occuparsi dei giovani scrittori.

• La Szymborska e Adam Włodek divorziarono nel 1954.

• Dopo il divorzio la Szymborska continuò a vivere nell’edificio di via Krupnicza, mentre Włodek ottenne due stanze con cucina a Nowa Huta. Ben presto però si trasferì a Grzegórzki nel monolocale di venti metri quadri di un suo amico.

• Ancora nel maggio del 1955 la Szymborska firmava su Zycie Literackie un editoriale di prammatica in cui esprimeva gratitudine all’Armata rossa e al maresciallo Konev per aver liberato Cracovia. Meno di un anno più tardi l’autrice cominciò a fare i conti con il passato.

• Nell’autunno del 1957, anno in cui uscì Appello allo Yeti, la Szymborska partì per Parigi con una borsa di studio, insieme ai colleghi scrittori Sławomir Mrozek e Tadeusz Nowak.

• Sempre nell’autunno del 1957, quando fu chiuso Po Prostu, la rivista che aveva preparato il terreno per l’Ottobre polacco, Adam Włodek uscì dal Partito. La Szymborska non seguì le sue orme, ma dal 1956 non scrisse più neanche una poesia di cui abbia dovuto vergognarsi o che non abbia poi potuto ripubblicare.

• Quando la Szymborska uscì dal Partito, era certa che l’avrebbero licenziata, ma si tranquillizzò calcolando che, se avesse mangiato solo kasza e bevuto solo latte cagliato, i suoi risparmi le sarebbero bastati per due anni, o forse addirittura tre.

• Verso la metà degli anni Sessanta, quando nacque l’amicizia tra la Szymborska ed Ewa Lipska, più giovane di lei di oltre vent’anni e a quel tempo legata sentimentalmente ad Adam Włodek.

• «Non considero quegli anni del tutto sprecati. In fondo mi hanno immunizzato per sempre da ogni dottrina che esima dall’obbligo di pensare in modo autonomo. So come funziona: vedere solo ciò che si vuole vedere, sentire solo ciò che si vuole sentire, e soffocare ogni dubbio» (Wisława Szymborska sul suo distacco dall’ideologia).

• La Szymborska, a capo della sezione di poesia di Zycie Literackie. Andava in redazione tutti i giorni e vi restava dalle undici alle quattordici e trenta. I suoi colleghi raccontano che parlava poco e raramente interveniva durante le riunioni.

• Quella volta che il professor Julian Aleksandrowicz telefonò alla Szymborska dicendo che lì da lui, in ospedale, c’era una giovane poetessa gravemente malata di cuore che scriveva buone poesie. Fu così che conobbe Halina Poswiatowska, poi morta all’età di trentadue anni.

• Wisława Szymborska sedeva alla stessa scrivania dal 1958, quando la redazione di Zycie Literackie si trasferì in via Wislna. Teneva sempre la sigaretta tra le dita mentre passava al setaccio pile di poesie. A lei spettava decidere quali pubblicare subito, quali mettere in attesa e quali gettare nel cestino, compito che doveva pesarle non poco.

• La Szymborska, che interrogata sulla pronuncia corretta del nome Montaigne rispose: «Montègn, con l’accento sull’ultima sillaba e l’inchino su un ginocchio».

• La Szymborska ricordava di un giovane poeta di talento, che aveva avuto un buon debutto e voleva essere pubblicato ogni settimana. Però era uno schizofrenico. Le scriveva lettere con il sangue, le lasciava bottiglie incendiarie davanti a casa. Alla fine fu ricoverato nel reparto del professor Antoni Kepinski, che le consigliò di cambiare casa per un po’. Poi ricevette un mandato di comparizione dalla milizia. Così venne a sapere che il poeta in questione si era suicidato, avevano ritrovato il suo corpo nel bosco Wolski.

• La Szymborska, che ha lavorato in pianta stabile a Zycie Literackie per quindici anni. In questo tempo ha pubblicato tre volumi di poesie: Appello allo Yeti, Sale e Uno spasso. Sulla rivista per la quale lavorava, tuttavia, pubblicava non più di tre o quattro poesie all’anno.

• Nell’autunno del 1963 la Szymborska lasciò il kolchoz letterario di via Krupnicza e si trasferì in un casamento di sei piani all’angolo tra via 18 Gennaio (oggi Królewska) e via Nowowiejska. Il suo nuovo appartamento al penultimo piano, con il rumore costante dell’ascensore dall’altra parte del muro, era composto da un’unica stanza con cucinotto. Era talmente piccolo che nessuno dei mobili a incasso disponibili sul mercato ci sarebbe entrato, così l’artista Stefan Papp realizzò dei mobili su misura. La panca e le sedie non invogliavano a trattenersi a lungo: era impossibile resistervi seduti per più di mezz’ora.

• La Szymborska, che chiamava il suo appartamento «il cassetto».

• Quando il poeta Zbigniew Herbert fece visita alla Szymborska nel suo nuovo appartamento proprio la mattina in cui le avevano finalmente installato il telefono. Herbert disse che bisognava inaugurarlo e cominciò a fare telefonate a tutti i suoi conoscenti di Cracovia. Contraffaceva la voce e si presentava come Frackowiak, autore di duemila sonetti, che si dichiarava pronto a leggere all’istante per telefono oppure a recapitare.

• Nell’appartamento della Szymborska, dove cominciarono a fare la loro comparsa le scimmie di peluche, di cui lei era affascinata.

• Un giorno alla Szymborska si era guastata la cucina a gas: era venuto un tecnico e aveva sentenziato che per ripararla ci sarebbero volute due settimane. Uscendo aveva chiesto se, per caso, lo Szymborski calciatore del Wisła Kraków fosse suo parente. Lei mentì ammettendo la parentela e così lui le riparò la cucina all’istante.

• La Szymborska, affascinata dal film Viale del tramonto. Andava spesso al cinema, ma evitava i cosiddetti drammi psicologici, perché diceva che in quell’ambito il cinema non ha molto da dire, tanto più che tutto è già stato detto prima e meglio dalla letteratura. Invece, non amava il teatro. Le piaceva però quello amatoriale e leggere le opere teatrali.

• Quando nel 1966 la Szymborska restituì la tessera del Partito, Władysław Machejek le comunicò che non poteva continuare a dirigere la sezione di poesia. Le fu tolta la scrivania e smise di andare in redazione.

• Poco dopo aver abbandonato la redazione, la Szymborska cominciò ad avere problemi ai polmoni. A metà del 1968 andò per qualche mese in sanatorio, dove la raggiunse la notizia dell’intervento dell’esercito polacco in Cecoslovacchia.

• Dopo l’addio a Zycie Literackie la Szymborska non sarebbe più stata assunta in alcun posto.

• La Szymborska, che ha iniziato a scrivere le Letture facoltative per caso, ma poi ha continuato per scelta. Dopo che ebbe lasciato il Partito, Władysław Machejek non volle privarsi del tutto della sua collaborazione, perciò le propose di scrivere qualche articolo o recensione. Si può dire sia stato lui il padrino del ciclo, insieme a Leszek Kołakowski, a motivo del quale era uscita dal Partito. La prima «lettura facoltativa» apparve l’11 giugno del 1967.

• Ewa Lipska affermava che i temi delle Letture non erano frutto del caso. Spesso erano gli amici a portare alla Szymborska i libri
quando s’imbattevano in qualcosa di interessante, divertente o bizzarro. Se il libro la incuriosiva, allora lo prendeva.

• Quella volta che il marito della Lipska aveva portato alla Szymborska il catalogo di una mostra canina allestita al parco Jordan e lei ne aveva scritto una recensione.

• Nella prefazione a una delle raccolte di Letture facoltative la Szymborska dichiarava di considerare la lettura di libri come il più bel passatempo mai escogitato dall’umanità.

• La Szymborska leggeva di tutto, per pura curiosità: libri di scienze naturali, di storia, di antropologia, dizionari enciclopedici, manuali, monografie, ma non libri di fisica perché non ci capiva nulla. Unica eccezione le Lezioni di fisica di Feynman, che considerava una delle opere più appassionanti che avesse mai letto.

• Durante una serata d’autore fu chiesto alla Szymborska come mai, anziché di alta letteratura, scrivesse di opere divulgative e manualetti vari. Rispose: «Le pubblicazioni di questo tipo non finiscono mai né bene né male, ed è soprattutto per questo che mi piacciono».

• La Szymborska, che leggeva il Miles gloriosus di Plauto non tanto per ridere, quanto per sapere di che cosa si rideva duemila anni fa.

• Quando, nel dicembre del 1981, fu introdotta la legge marziale, la Szymborska ruppe la collaborazione con Zycie Literackie ed ebbe una pausa di due anni nelle Letture. La pausa più lunga, di alcuni anni, durò fino al 1993, quando Tadeusz Nyczek le suggerì di riprendere la pubblicazione dei suoi elzeviri su Gazeta Wyborcza.

• Gli elzeviri della Szymborska, che erano sempre stati di un solo capoverso.

• «Le Letture facoltative hanno un solo capoverso per dare l’impressione di essere state scritte tutto d’un fiato. In linea di principio devono essere brevi, concise, mi impongo di stare in una pagina di dattiloscritto. Voglio ottenere compattezza, dare l’idea che si tratti di un unico pensiero. A volte, a dire il vero, non ci riesco, e allora dove bisognerebbe andare a capo metto i puntini di sospensione» (Wisława Szymborska).

• Nel 1954 la Szymborska fece il suo primo viaggio all’estero, in Bulgaria, nell’ambito di uno scambio culturale. Era inverno, accompagnatrice e guida della Szymborska in quel viaggio fu Blaga Dimitrova, che aveva conosciuto in precedenza in via Krupnicza.

• La Dimitrova, poetessa, traduttrice e saggista, che negli anni Settanta avrebbe avuto un ruolo di punta all’interno dell’opposizione democratica e sarebbe poi giunta, nella Bulgaria libera, fino a ricoprire la carica di vicepresidente.

• Quando le fu possibile, non appena il disgelo aprì uno spiraglio nella cortina di ferro, la Szymborska andò in Francia. A Parigi correva entusiasta per negozi e grandi magazzini. Per rifarsi del tempo perduto andava tutti i giorni al cinema insieme a Sławomir Mrozek e si divertiva in modo particolare quando davano i cartoni animati.

• La prima volta che la Szymborska visitò l’Unione Sovietica fu nel 1960, con una delegazione di scrittori polacchi che comprendeva anche Władysław Broniewski, Ziemowit Fedecki e Stanisław Grochowiak.

• Furono a Mosca, a Leningrado, a Tbilisi. A Sukhumi fece loro da guida l’autore del poema Grenada, Michail Svetlov, e tutti insieme visitarono il celebre zoo, conosciuto nel mondo per le sue scimmie antropomorfe.

• A Leningrado ciò che più colpì la Szymborska furono i singhiozzi di Władysław Broniewski nella fortezza di Pietro e Paolo, alla vista delle celle in cui erano stati imprigionati i polacchi, da Kosciuszko in poi.

• Quando la Szymborska rivelò di aver pianto all’Ermitage di fronte al Ritorno del figliol prodigo di Rembrandt: «Non so nemmeno io perché, non sono mai stata una figlia prodiga, è stato una specie di miracolo».

• Nel 1963 la Szymborska andò in Iugoslavia, con i colleghi scrittori Lesław Bartelski e Tymoteusz Karpowicz. Li portarono in gita in Dalmazia. Viaggiarono in pullman, costeggiando l’Adriatico.

• A Skopje, dove la Szymborska era stata subito dopo un terremoto e dove l’aveva colpita la vista di un motel musulmano di fronte al quale, anziché parcheggi, c’erano box per cammelli.

• A volte la poetessa andava all’estero per serate poetiche, ad esempio a Praga e a Gand nel 1992, a Stoccolma e a Londra nel 1993.

• Quella volta a Gand, dove fu allestita per la Szymborska una pedana, sulla pedana un tavolino, sul tavolino una candela. Il tutto si svolgeva in una povera università statale, perciò il tavolino era ordinario, rotondo, piccolino. Per addobbarlo un po’, avevano rivestito le gambe con della carta dorata. La poetessa si era seduta, aveva guardato in basso e le era venuto da ridere, perché aveva rivisto il tavolino di una sua poesia.

• «Wisława appariva impacciata, come se non sapesse cosa fare con le mani, con i piedi. Indossava un vestito che sembrava acquistato in uno di quei negoziucci al dettaglio dei tempi della Prl (Repubblica popolare di Polonia – ndr). Ma quando iniziò a leggere le sue poesie, tutta quell’aria da Prl si volatilizzò all’istante» (la scrittrice Hanna Krall, presente anche lei a Gand, di Wisława Szymborska).

• Un accessorio immancabile nei viaggi all’estero della Szymborska era un orrendo thermos cinese che la sera si faceva riempire di acqua bollente, per poterla versare, al mattino, sulla bustina del tè.

• La Szymborska, che si affezionava agli oggetti di uso domestico e non le piaceva gettarli nella pattumiera.

• A Londra, dove la Szymborska si precipitò a vedere innanzitutto la casa di Sherlock Holmes in Baker Street visto che quand’era ragazza era innamorata di lui.

• Di un viaggio attraverso la Repubblica Ceca la Szymborska si tenne per ricordo un kupon na pokutu, cioè una multa che lei e il suo compagno di viaggio Jerzy Illg si presero per eccesso di velocità.

• La Szymborska, che non viaggiava mai da sola e aveva bisogno di compagnia.

• Una volta, prima di un viaggio, chiesero alla Szymborska se avesse già tutto l’indispensabile, al che lei rispose: «In un viaggio l’unica cosa davvero indispensabile è il biglietto di ritorno».

• La composizione di limerick (in cui il primo verso deve chiudersi con un nome geografico, per il quale si cerca poi la rima) era il passatempo preferito della Szymborska quand’era in viaggio.

• La Szymborska amava farsi fotografare sotto le insegne di località, meglio se dai nomi curiosi e originali. Ed era sempre pronta a deviare dall’itinerario per il piacere di uno scatto a Hultajka [«briccona»], a Piekło [«inferno»], a Niebo [«cielo»], a Zimna Woda [«acqua fredda»], a Pcim [«buco di provincia»]. O a programmare addirittura un’apposita puntata a Sodoma o a Neandertal. Non aveva bisogno di visitare nulla, le bastava una foto ricordo per la sua collezione. A incuriosirla, a volte, erano anche i nomi dei negozi: ad Amsterdam, per esempio, si fece fotografare sotto l’insegna «Baba», espressione rustica o spregiativa polacca per «donna».

• La Szymborska visitò anche Corleone. Una volta lì, si piazzò sotto l’insegna, fece un inchino in direzione della telecamera e lesse un limerick composto espressamente per l’occasione.

• In quasi tutti i viaggi successivi al Nobel, la Szymborska è stata accompagnata da Michał Rusinek, il suo segretario.

• In tutto la Szymborska è stata in Italia sei volte. L’ultima nella primavera del 2009, a Bologna e a Udine.

• A Udine la Szymborska cenò all’osteria Pieri Mortadele, dove servono affettati del diametro d’un vassoio. Si illuminò di gioia quando rifletté sul significato che evoca la parola “mortadella”. Lei e Mikołajewski provarono a tradurla e alla fine si accordarono su “trupiatko” o “trupienio” [in pol. trup vuol dire «cadavere»].

• «Non sono fatta per le interviste e non ne rilascio. Ritengo che il poeta non sia chiamato a esprimersi sulla propria opera. Il silenzio è d’obbligo. Ma se proprio devo dire qualcosa, allora vorrei rifarmi – toute proportion gardée, naturalmente – a Goethe. C’è un suo pensiero, nelle conversazioni con Eckermann, mi pare, che dice più o meno così: il poeta sa che cosa voleva scrivere, ma non sa che cosa ha scritto. Mi sembra un’osservazione intelligente e anche spiritosa» (Wisława Szymborska a Elzbieta Sawicka dopo l’uscita della raccolta Due punti nel 2005).

• Per la Szymborska le poesie, la loro stesura, appartenevano alla sfera del silenzio. Temeva che, se avesse cominciato a parlare di una poesia, poi non l’avrebbe più scritta. E quando ormai l’aveva scritta, a maggior ragione non voleva parlarne.

• Una volta la Szymborska vide una scultura che raffigurava Atlante e pensò al ruolo di grande responsabilità che svolgeva: un attimo di debolezza e la terra sarebbe crollata. Scrisse una poesia e la nascose in un cassetto, dove rimase a lungo. Finché una sera, durante un incontro d’autore, sentì recitare una poesia su Atlante scritta da un altro, e non tornò mai più alla sua. «È la riprova – diceva – che non conviene aver fretta di pubblicare».

• La Szymborska, che sulla poesia polacca contemporanea e soprattutto sui suoi colleghi poeti non si è mai pronunciata. Non prendeva parte alle discussioni sulla poesia. Solo una volta è intervenuta in un dibattito promosso, a metà degli anni Sessanta, da Zycie Literackie sulle poesie di Broniewski, Gałczynski e Tuwim e sul posto che occupano nella letteratura e nella storia polacche.

• Alla Szymborska non piacevano le domande sui suoi maestri, ma a volte capitava, soprattutto nelle Letture facoltative, che menzionasse autori e titoli prediletti: ammirava Rilke e Kavafis, Lesmian e Czechowicz, considerava la poesia di Mickiewicz Quando il mio corpo un capolavoro assoluto, riteneva capolavori minori, ma pur sempre capolavori, la Ballata dell’andata al negozio di Miron Białoszewski e Vecchie donne di František Halas.

• La Szymborska, che appuntava le poesie su foglietti perché questo le garantiva il contatto tra ciò che stava nella sua testa e la mano. Un tempo usava una penna d’oca, poi sostituita da una a sfera.

• «Pubblico poco perché scrivo di notte, e di giorno ho la pessima abitudine di rileggere quello che ho scritto, constatando così come non tutto regga alla prova di una sola, misera rotazione del globo terrestre» (Wisława Szymborska).

• La Szymborska non amava i discorsi sulla sua poesia, ma con gli amici editori e redattori discuteva volentieri della copertina, delle bozze, del formato e di tutti i dettagli editoriali dei suoi volumi.

• La Szymborska, che ideava lei i titoli delle raccolte.

• La Szymborska non ha mai tenuto a vendere tante copie. Negli anni Settanta c’erano due case editrici, Młodziezowa Agencja Wydawnicza e Ludowa Spółdzielnia Wydawnicza, che volevano pubblicare un’antologia delle sue poesie, ma lei acconsentì a farne uscire soltanto una. I Krynicki raccontavano che del volume La fine e l’inizio non aveva voluto presentazioni e loro non avevano fatto pressioni. Quando la tiratura di diecimila copie era andata esaurita in due settimane, loro ne avevano ristampate tremila, ma per molto tempo poi la Szymborska non autorizzò ulteriori ristampe, argomentando che il mercato era già saturo.

• Quella volta che Broniewski era a Cracovia e aveva invitato la Szymborska a una sua lettura all’Accademia Metallurgico-Mineraria. Avevano preso un taxi, lui recitava poesie e il tassista immancabilmente ne indovinava l’autore. Broniewski cominciò ad alzare l’asticella, declamava brani sempre meno noti, e il tassista non ne sbagliava una: Mickiewicz, Norwid, Słowacki, Krasinski. Alla fine provò con una sua nuova poesia. Il tassista storse il naso e disse: «Lo riconosco, è Broniewski, ma non mi piace».

• La Szymborska teneva un taccuino, sul quale annotava parole, idee e temi da cui un giorno potevano nascere delle poesie. I primi appunti risalivano alla metà degli anni Sessanta e la prima frase annotata è: «Ad alcuni piace la poesia». Le parole, le frasi e le idee già sfruttate in una poesia poi le cancellava.

• La Szymborska, che stava molto attenta a che non circolassero versioni o varianti delle sue poesie.

• La Szymborska non datava mai le sue poesie: «Vorrei che una poesia potesse fare a meno della data. Io non riuscirei a mettere in ordine cronologico le mie poesie. Nel costruire una raccolta seguo un percorso di contenuto o di pensiero e non sempre si tratta di poesie scritte nello stesso periodo».

• Wisława Szymborska teneva le foto in buste da lettera grigie stipate nei cassetti. Le foto dell’infanzia erano mischiate a quelle degli amici e degli amori.

• La prima volta che la Szymborska vide Kornel Filipowicz fu intorno al 1946 o 1947. Non ricordava dove, ma ricordava che era un bell’uomo. Era biondo, leggermente brizzolato, carnagione abbronzata, vestito di diversi colori con i pantaloni blu stinti e la blusa di un giallo sbiadito.

• Durante l’occupazione tedesca Filipowicz lavorava come aiutante in una nota libreria antiquaria sulla Łobzowska, dove era possibile procurarsi sottobanco gli stampati clandestini e anche i libri d’anteguerra messi all’indice dai tedeschi. Era legato a un gruppo sovversivo di intellettuali di sinistra molto attivo nella vita letteraria clandestina, e fu lì che conobbe Adam Włodek, futuro marito della Szymborska. Quando nella primavera del 1944 Filipowicz fu arrestato dalla Gestapo, Włodek decise di pubblicare un suo volumetto di poesie, I superati.

• Filipowicz aveva sposato Maria Jarema, pittrice d’avanguardia. Solo in seguito scoccò la scintilla con la Szymborska.

• Quel giorno che Tadeusz Chrzanowski, professore di storia dell’arte, diretto in stazione alle prime luci dell’alba, era rimasto sbalordito incrociando la Szymborska con una canna da pesca in mano. Da quando frequentava Filipowicz lo accompagnava sempre nelle sue battute di pesca.

• La Szymborska, che a Cracovia creava scalpore lasciandosi portare in moto da Jan Paweł Gawlik, noto per essere un motociclista spericolato.

• Filipowicz e la Szymborska, che non avevano un’auto ma spesso invitavano alle loro gite amici muniti di patente e di mezzo di locomozione.

• Nawoja, la sorella di Wisława, la perfetta casalinga vecchio stampo. Per le feste era sempre lei che si occupava dell’organizzazione. Secondo la tradizione, a Cracovia per la vigilia di Natale si faceva il barszcz (zuppa di barbabietole – ndr), ma da Nawoja c’era di regola anche una fantastica minestra di funghi. Il giovedì organizzava pranzi per Wisława e i suoi amici più stretti, e alla fine lei ripartiva con scorte di cibo per l’intera settimana.

• La Szymborska non ha mai avuto cani o gatti, e neppure uccelli (a parte una pappagallina di nome Zuzia da bambina), ma provava simpatia nei loro confronti e lo scrisse nelle sue poesie. Grazie a Kornel Filipowicz amava particolarmente i gatti.

• La poetessa, affascinata dai mercatini delle pulci e dai negozi di antiquariato. Conservava ninnoli di gusto kitsch, gadget curiosi riportati dai viaggi all’estero oppure scovati nei mercatini dell’usato.

• La Szymborska collezionava vecchie cartoline perché, diceva, è l’unico collezionismo che è possibile praticare in un appartamento piccolo. Seguiva un preciso criterio, che nel suo caso era sostanzialmente il Kitsch.

• All’origine della collezione di cartoline di Wisława ce n’era una rinvenuta in mezzo alla corrispondenza dei suoi genitori, tra le vedute di Torun e quelle della località termale di Truskavec’: un pittoresco collage raffigurante un aereo senza pilota, tre fate maligne in volo e nuvole rosazzurre.

• Nell’appartamento della Szymborska, nei posti più disparati, si potevano trovare vari oggetti curiosi: un carillon a forma di maialino peloso con la coda che fungeva da manovella, una gamba di donna di marzapane, un posacenere pieghevole a forma di aquila, un cuscino di straordinaria bruttezza che in Spagna si usa dare agli sposi novelli, un ventaglio di legno con i ritratti dei generali dell’imperatore Francesco Giuseppe dipinti a mano, una penna a forma di osso della mano, una seggetta di plexiglas trasparente con dentro del filo spinato, ecc.

• La Szymborska, che dopo cena era solita organizzare a casa sua una sorta di lotteria, dove metteva come premio alcuni dei suoi strani oggetti. L’idea le era venuta così: quando le capitava di fare un viaggio all’estero non aveva mai troppi soldi, ma voleva comunque portare qualcosa in regalo a ognuno dei suoi amici. Quindi comprava, per esempio, una bottiglia di vino buono e per il resto gingilli, tanto più apprezzati quanto più stravaganti, e sarebbe stata poi la sorte a decidere che cosa doveva toccare a ciascuno.

• Bronisław Maj, che sosteneva di pescare sempre i premi migliori.

• La prima volta che la Lipska andò all’estero, negli anni Settanta, quando Kornel Filipowicz le affidò una missione speciale: doveva comprargli delle cacchette di plastica. Lei si vergognava un po’ a chiedere dove poteva trovare una cosa del genere, ma per fortuna Julian Rogozinski in un precedente viaggio si era imbattuto in un negozio che teneva quell’articolo. Così partirono per le remote periferie di Parigi, dove l’articolo era disponibile in diverse fogge e colori. Ne comprò tre. Non sapeva a chi Wisława e Kornel le avessero poi messe di nascosto tra i piedi.

• Un topone finto cucito su ordinazione nella fabbrica di pellicce dove Nawoja era capocontabile. Varie persone se lo ritrovarono di sorpresa nella vasca da bagno, che sembrava vivo.

• Kornel e Wisława, che si inventavano giochi linguistici in continuazione. Amavano anche guardare i telequiz e i serial televisivi. Tutti a Cracovia sapevano che era impossibile prendere appuntamento con loro per l’ora in cui trasmettevano il serial La schiava Isaura.

• La Szymborska, che nutriva particolare simpatia per Il tenente Colombo, perché lì c’erano «meravigliosi omicidi in famiglia».

• La grande passione della Szymborska erano le cartoline-collage, che faceva lei stessa. Dopo il Nobel, quando divenne famosa, gli amici cominciarono a mostrarle in tv, a pubblicarle su riviste e giornali, a esporle in minimostre. Per farle adoperava la miglior colla disponibile nel blocco dei paesi comunisti: quella sovietica in tubetto. Purtroppo non se ne poteva fare scorta, perché si seccava.

• Un collage, in un formato molto più grande di una cartolina, venne consegnato a Woody Allen, a nome della Szymborska, da Michał Rusinek nel documentario di Katarzyna Kolenda-Zaleska. Lui rispose che si trattava di un trofeo più prezioso di qualunque statuetta dell’Oscar.

• La Szymborska, se stringeva un’amicizia, le restava fedele per sempre. Coltivava con cura le vecchie conoscenze e i vecchi affetti. Soprattutto dopo il Nobel si preoccupava che nessuno dei suoi vecchi amici si sentisse trascurato.

• La Szymborska, che ammirava l’opera di Vermeer.

• Wisława Szymborska non si è mai iscritta a Solidarność: «Non ho sentimenti collettivi. Nessuno mi ha mai visto a un raduno di massa. Forse è stata la lezione ricevuta in passato a far sì che poi non fossi più capace di appartenere a nessuna organizzazione. Posso solo simpatizzare. L’appartenenza per uno scrittore è un intralcio, uno scrittore dovrebbe avere le sue convinzioni e vivere secondo quelle convinzioni».

• Negli anni Ottanta la Szymborska cominciò a pubblicare su Pismo le sue nuove poesie e accettò anche di condurre, nell’ultima pagina, una rubrica tutta sua dal titolo Testi rifiutati.

• La mattina del 13 dicembre 1981, quando Wisława Szymborska si diresse in ansia verso la casa di Kornel Filipowicz. Da anni si telefonavano ogni mattina, per darsi il buongiorno, ma quel giorno il telefono era rimasto muto. Da via 18 Gennaio a via Dzierzynski, dove, in un grande appartamento pieno zeppo di cose, abitava Filipowicz con la gatta Kizia, sempre distesa sulla scrivania in mezzo alle carte, c’erano appena un centinaio di metri. Quando raggiunse casa di lui accesero la radio e sentirono: «Il Consiglio di Stato ha decretato l’entrata in vigore, dalla mezzanotte di oggi, della legge marziale sull’intero territorio del paese».

• Filipowicz era un accanito giocatore di bridge, giocava sempre a soldi.

• La Szymborska si prese cura del suo ex marito Adam Włodek quando si ammalò. Lo andava a trovare in ospedale e quando lo dimisero gli portava la spesa e le minestrine. In tutti gli anni del loro matrimonio e poi della loro lunga amicizia, Włodek fu sempre il primo lettore delle sue poesie: nessuna veniva mai mandata in stampa prima che lui l’avesse letta e approvata.

• Una volta Włodek regalò alla Szymborska un dattiloscritto accuratamente rilegato che conteneva tutte le poesie da lei scritte tra il 1944 e il 1948, tra cui quelle uscite su rivista, ma anche molti inediti, presi in considerazione nelle varie fasi di composizione del volume Cucire la bandiera, alla fine mai pubblicato. Ogni poesia era accompagnata da una scrupolosa nota editoriale.

• Quando Włodek morì, il 19 gennaio del 1986, la Szymborska invitò i partecipanti al funerale a casa sua per il tradizionale banchetto funebre e propose che ciascuno raccontasse quando e in che circostanze aveva conosciuto Adam. Da allora, per il quarto di secolo successivo, in ogni anniversario della morte di Włodek gli amici presero l’abitudine di ritrovarsi a casa di lei per ricordarlo.

• La Szymborska, che non rinunciò mai al cognome dell’ex marito ed è stata sepolta come Wisława Szymborska-Włodek. Dopo il Nobel capitava spesso che lei usasse il cognome Włodek per camuffarsi, presentandosi come Wisława Włodek per esempio in lavanderia oppure quando ordinava una pizza.

• La Szymborska, a partire dai primi anni Sessanta, ogni tanto traduceva, principalmente dal francese, poeti barocchi, ma anche Baudelaire, Musset.

• Ci sono paesi nei quali la poesia della Szymborska è entrata nella circolazione della lingua viva. Per esempio in Olanda, dove sue citazioni compaiono in articoli di giornale, discorsi politici, manuali e persino necrologi.

• Una volta un olandese ha visto sulla recinzione di un’azienda lattiera uno striscione con la scritta «Le mucche sono un vero miracolo», firmato W. Szymborska.

• All’indomani della morte della poetessa, Roberto Saviano, intervenendo durante il programma di Fabio Fazio Che tempo che fa lesse alcune sue poesie, tra le quali La gioia di scrivere, che dà il titolo all’intera raccolta dei versi uscita in edizione paperback da Adelphi nel 2009. Lo scrittore non aveva ancora terminato di leggere l’ultimo verso che già su Amazon erano state vendute ottocento copie del libro. Adelphi lo mandò subito in ristampa per diverse migliaia di copie. In totale dal 2009 all’inizio del 2015 ne sono uscite dodici edizioni, con oltre ottantamila copie vendute.

• La gioia di scrivere, per qualche tempo il libro più venduto in Italia, precedendo in classifica il Vangelo e gli Atti degli Apostoli a cura della Commisione episcopale italiana, e persino il nuovo romanzo di Andrea Camilleri.

• Nulla due volte, una delle poesie della Szymborska più conosciute in Italia. Il cantante Jovanotti ne ha parafrasato due versi nella sua Buon sangue: «Si nasce senza esperienza, / si muore senza assuefazione»; la Gazzetta dello Sport ha usato il suo incipit, «Nulla due volte accade / né accadrà», durante i Campionati europei di calcio del 2012.

• Un amore felice e Amore a prima vista sono le poesie che i giovani italiani postano più spesso sui propri blog.

• Negli anni Novanta si è riversata sulla Szymborska una pioggia di premi e riconoscimenti: il Premio Zygmunt Kallenbach, il Premio Goethe, il Premio Herder, la laurea honoris causa e, pochi giorni prima del Nobel, anche il Premio del Pen Club polacco per il complesso dell’opera.

• Ci fu un periodo in cui la Szymborska era un’accanita consumatrice di minestrine in polvere austriache (la migliore, a quanto pare, era quella di asparagi) e quando aveva ospiti metteva in tavola un pentolone di acqua calda e un vassoietto con varie bustine. Ciascuno prendeva quella che voleva e se la preparava da solo, rovesciando nel piatto la polverina e versandoci sopra l’acqua bollente. Si beveva un po’ di «kornelówka», un liquore al limone inventato da Filipowicz che la Szymborska aveva imparato a fare anche da sola, e poi, con il caffè e il dessert, in genere si svolgeva la lotteria.

• Nel 1995 la Szymborska divenne membro dell’Accademia polacca di scienze e lettere (Pau) di Cracovia. In verità, la sua candidatura era stata già avanzata l’anno precedente, quando era stata istituita la nuova sezione di scrittura artistica, ma in seduta plenaria uno dei professori, appena prima della votazione, aveva ricordato la sua opera del periodo staliniano e così la poetessa era stata respinta.

• La Szymborska trascorreva regolarmente il mese di ottobre a Zakopane e si trovava proprio lì quando la raggiunse la notizia che aveva vinto il Nobel. Era il 3 ottobre del 1996 e Wisława stava scrivendo una poesia nella sua stanza alla Casa del lavoro creativo Astoria, quando venne chiamata al telefono. All’altro capo c’era un funzionario dell’Accademia di Svezia, incaricato di comunicarle ufficialmente che aveva vinto il Nobel. Rispose che era disorientata, che non sapeva che fare in una situazione così terribile.

• Nella prima conversazione con i giornalisti, accorsi in fretta e furia all’Astoria, la Szymborska dichiarò di sentirsi al tempo stesso stordita, sbigottita, felice, contentissima e spaventata.

• La Szymborska era già a Stoccolma quando la stampa diffuse la notizia che avrebbe indossato capi realizzati dalla Casa di moda Telimena. In valigia trovò quattro tailleur, tra cui uno grigio, uno a quadretti bianchi e neri e uno bordeaux, due abiti da sera e due soprabiti. Alla cerimonia di consegna del premio si presentò in un abito lungo color tabacco di raso francese elasticizzato, mentre al ballo del re indossò un abito blu cobalto orlato di merletti color argento antico.

• Il menu del ricevimento in cui era presente il re Carlo XVI Gustavo: come antipasto fu servito astice in gelatina con crema di cavolfiore e caviale e un panino ricoperto di quattro tipi di semi detto Nobel; come portata principale, faraona guarnita con patatine della Lapponia e verdure lesse affogate in salsa di limone. Milleduecentocinquanta gli ospiti, sessantacinque i tavoli, trecentocinque i camerieri.

• Al banchetto la Szymborska era seduta al posto d’onore, alla destra del re Carlo XVI Gustavo.

• La Szymborska era un’accanita fumatrice. Edward Balcerzan ha raccontato di quella volta che la poetessa gli aveva chiesto: « Lei ha smesso di fumare? Ah, significa che non vuole morire?».

• «Accoglierò con piacere la proposta quando sarò più giovane» (formula di diniego adottata da Rusinek, segretario della Szymborska, quando lei rifiutava di presentarsi agli inviti).

• Formalmente l’indirizzo dell’ufficio della Szymborska era la sede dell’Associazione degli scrittori polacchi in via Kanonicza, ma in realtà il suo ufficio erano il computer, il cellulare e il fax di Rusinek. Ogni mattina alle dieci si telefonavano, commentavano gli avvenimenti e discutevano le cose da fare. S’incontravano in genere due volte alla settimana per smistare le carte, come diceva la Szymborska.

• Quando la Szymborska telefonò la prima volta a Rusinek con il cellulare, rimase sbalordita nel sentirlo dire: «Buongiorno, signora Wisława». «Come fa a sapere che sono io?» chiese. «Lo vedo» rispose Rusinek, al che lei, spaventata: «Ohi ohi, ma sono svestita».

• La poetessa faceva di tutto per scoraggiare i seccatori, ma ciò nonostante il telefono squillava senza tregua e ogni giorno arrivavano fiumi di lettere, telegrammi, fax. Una volta un tedesco, molto pratico, le mandò una busta contenente numerosi fogli bianchi, pregandola di autografarli.

• Nelle lettere che la Szymborska riceveva le si rivolgevano con i titoli più svariati: «Professoressa Wisława Szymborska», «Presidentessa dell’Unione dei letterati polacchi», «Regina della Poesia Polacca», «Madre Polacca».

• L’ordine con cui Rusinek presentava la corrispondenza alla Szymborska: 1. Congratulazioni; 2. Congratulazioni con proposte; 3. Proposte editoriali; 4. Varie; 5. Matti; e insieme discutevano a chi e che cosa rispondere.

• Nei primi tre anni dopo il Nobel la Szymborska non scrisse nemmeno una poesia. Quando finalmente diede a Rusinek Il ballo e Qualche parola sull’anima affinché le trascrivesse, lui era così eccitato che cominciò a leggerle in sua presenza. Al che lei: «Signor Michał, non le legga in mia presenza. E quando le avrà lette, non mi dica comunque niente. Se le lodasse non ci crederei e se le criticasse mi dispiacerebbe».

• La Szymborska, che invidiava Dario Fo, vincitore del Nobel dopo di lei, per il cognome corto, perché a lei a volte venivano i crampi alla mano mentre firmava gli autografi, mentre Fo in pochi minuti poteva autografare tanti libri quanti lei in un’ora.

• Alla Szymborska piacevano Discovery Channel e Reality Tv, su Mezzo guardava l’opera. Si segnava sulla guida ai programmi tv della settimana quelli che voleva guardare, per esempio certi vecchi gialli tratti dai romanzi di Agatha Christie o con Sherlock Holmes.

• La Szymborska, che preferiva di gran lunga partecipare alle serate d’autore altrui che alle proprie.

• La Szymborska adorava le alette di pollo bollenti del Kentucky Fried Chicken.

• Nei quindici anni successivi al Nobel, Wisława Szymborska ha pubblicato tre volumi di poesie: Attimo, Due punti e Qui, e ha fatto in tempo a considerare compiute altre tredici poesie, andate poi a costituire la raccolta postuma Basta così. Settantadue poesie in tutto, sei all’anno.

• La sorella di Wisława, Nawoja, morì pochi mesi dopo il Nobel e la poetessa passava le feste di Natale sempre da sola. Non festeggiava né gli onomastici, né i compleanni, e non telefonava neppure agli amici per fare gli auguri.

• L’ultimo viaggio della Szymborska è stato nel settembre del 2011, a Breslavia, dov’era in corso il Congresso europeo della cultura. L’ultimo film che ha visto Midnight in Paris di Woody Allen. Gli ultimi appunti nel taccuino contenente gli abbozzi di poesie sono dell’autunno 2011; l’ultima firma fu quella apposta nel novembre del 2011, insieme tra gli altri a Mario Vargas Llosa, Yoko Ono, Sting, Jimmy Carter e Lech Wałesa, in calce a un appello per cambiare la politica mondiale sulle droghe. L’ultimo breve testo che ha scritto è stato una noterella destinata al risvolto di copertina del libro di Edward Gorey, L’ospite equivoco, una raccolta di storie macabre tradotte da Michał Rusinek. L’ultima poesiola scherzosa che ha composto alludeva al suo stato di salute dopo l’operazione a cui si era sottoposta nel novembre del 2011. L’ultima poesia che inviò fu a Gazeta Wyborcza, arrivata a gennaio del 2012.

• Wisława Szymborska è morta il 1° febbraio 2012, a casa sua, nel sonno. Il giorno del funerale, il 9 febbraio, a mezzogiorno in punto, anziché lo hejnał (la chiamata a raccolta – ndr) il trombettiere ha suonato la melodia della sua poesia più nota, resa famosa da Łucja Prus, Maanam e Kora, e chi si trovava a passare in quel momento per la piazza del Mercato di Cracovia ha alzato il capo verso il campanile della chiesa di Santa Maria, da dove arrivavano le note di Nulla due volte.