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 2015  aprile 16 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA LOTTA INTORNO ALL’ITAICUM


ROMA - Il giorno dopo l’assemblea del Pd, che ha visto 190 sì all’Italicum, il premier è soddisfatto per l’esito ed esprime grande rispetto per la discussione che si è sviluppata ieri alla riunione e per le varie dinamiche in atto all’interno della minoranza Pd: "Adesso, però, concentriamoci sulle priorità a cominciare dai temi che saranno al centro del’incontro con Obama", ha detto Renzi. Ottimista il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi: "Ci prepariamo all’aula un passo alla volta. La commissione sta lavorando. Ieri il gruppo ha discusso e votato scegliendo la linea della direzione", ha risposto ai cronisti che le chiedono se considera messo in cascina l’Italicum.

Lo scontro interno al partito sulla legge elettorale si è concluso in nottata. All’ennesimo appello della minoranza a modificare l’Italicum, Matteo Renzi ha detto no. E ha avvertito che lo stesso destino del governo era legato "nel bene e nel male" all’approvazione di questo testo così com’è, senza cambiare neanche una virgola. È il fallimento di ogni tentativo di mediazione: Roberto Speranza ne trae le conseguenze e si dimette da capogruppo. La minoranza chiede di sospendere i lavori dell’assemblea, ma si va avanti. E allora Civati, Bindi, Fassina, D’Attorre e altri si alzano e vanno via. Pier Luigi Bersani resta e parla: "Se si vuole, si può cambiare. Se non volete farlo, non sono convinto, se si va avanti così non ci sto". Alla fine il sì all’Italicum passa con 190 voti, l’unanimità dei presenti mentre all’appello mancano tutti gli esponenti della minoranza, i non votanti sono stati 120: quasi un terzo del gruppo. Renzi, nel suo intervento di replica, ha ribadito le sue ragioni, ma ha chiesto a Speranza una ulteriore riflessione sulle ragioni delle sue dimissioni e ha proposto una assemblea ad hoc per la prossima settimana.
Pd, minoranza abbandona assemblea, Bindi: "Da Renzi atto di cinismo"
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Guerini: appello a Speranza. A Roberto Speranza "rivolgo ancora una volta l’invito a riflettere perchè c’è bisogno che il partito sia unito in questo passaggio". Lo afferma il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, dopo le dimissioni annunciate dal capogruppo Pd alla Camera. "Il tema di ieri era non porre le dimissioni che rischiavano di bloccare il dibattito. C’era un’assemblea del gruppo convocata per decidere sulla legge elettorale e c’era l’impegno che era stato assunto in direzione. La presentazione delle dimissioni all’inizio del dibattito hanno rischiato di interrompere questa discussione, che giustamente abbiamo proseguito e ci siamo confrontati nel merito. La prossima settimana il gruppo parlamentare si incontrerà per confrontarsi sul tema delle dimissioni"

Nessuna ritirata. Non ci sta a considerare quella di ieri una ’ritirata’ Pier Luigi Bersani: "Leggo ricostruzioni strane sui giornali" dell’assemblea pd di ieri. "Ma quale ritirata? Ho visto più un’idea di combattimento che di ritirata", ha detto l’ex segretario, contestando le letture della maggioranza che vedono le minoranze divise. "Divisioni fin qui non le ho. Chiedo: ieri sono uscite posizioni diverse? Io non le ho viste e non le vedo. Poi ognuno ha i suoi occhiali". Sulla fiducia all’Italicum, Bersani non ha dubbi e a chi gli domanda se voterà, qualora Matteo Renzi la ponesse, risponde: "Non voglio neanche considerare questa ipotesi, pensa un po’ te". E risponde con una battuta alla domanda sulle dimissioni di Speranza: "La speranza è l’ultima a morire, anche se è la prima a dimettersi...".

Fiducia estrema ratio. Anche per il presidente Pd, Matteo Orfini, la fiducia all’Italicum è un’ipotesi lontana: "Ieri la fiducia non è stata nemmeno nominata e non ce ne sarà bisogno, speriamo non ce ne sia", ha detto all’indomani della spaccatura del gruppo parlamentare alla Camera sulla legge elettorale. Per Orfini la fiducia è "l’estrema ratio, ma faremo di tutto per evitarla, sarebbe un errore innanzitutto per il nostro gruppo parlamentare. Dobbiamo dimostrare di essere in grado di svolgere la nostra funzione e gran parte del gruppo rispetterà la decisione che abbiamo preso ieri". "È legittimo che chi non condivide la decisione non abbia partecipato ieri al voto ma molti di loro hanno detto che la rispetteranno", quanto alle dimissioni del capogruppo, Speranza, Orfini osserva: "Speranza ha posto un tema politico, non se la sentiva di andare avanti ma proprio per rispettare la sua scelta bisognava continuare a fare la discussione ho trovato inopportuno chi ha cercato di strumentalizzare quel gesto non partecipando più alla discussione. Il problema di un partito è se non discute non se discute, in passato io ho assunto decisioni complicatissime senza alcun tipo di discussione tra noi".

21 senatori: "Riaprire confronto". "Un gesto lineare e coerente, quello di Roberto Speranza che ha rassegnato le proprie dimissioni da capogruppo Pd alla Camera. Un gesto tanto più apprezzabile in tempi di trasformismo e opportunismo. Sentiamo, dunque, di manifestargli, senza riserve, condivisione e solidarietà, per una scelta di autonomia e responsabilità", si legge in una nota congiunta 21 senatori appartenenti alla minoranza Pd. "Nel contempo - scrivono Corsini, Broglia, Cucca, D’Adda, Fornaro, Gatti, Gotor, Guerra, Guerrieri Paleotti, Lai, Lo Giudice, Lo Moro, Manassero, Martini, Mineo, Migliavacca, Mucchetti, Pegorer, Ricchiuti, Sonego, Tocci - formuliamo l’auspicio che la sua decisione, così politicamente connotata, possa consentire, prima del voto in Aula, l’apertura e la ripresa di un confronto su un tema, come quello della legge elettorale, segnato da rilevanti risvolti costituzionali e delle evidenti ripercussioni sulla qualità della democrazia nel nostro Paese. Un confronto che possa consentire dovute correzioni e suscitare più ampi consensi a livello parlamentare e presso l’opinione pubblica".

Camusso: "Voto a nessun partito". Nell’ambito delle fratture all’interno della sinistra si inserisce anche la leader Cgil, Susanna Camusso, che in un’intervista al Foglio dice che, data la situazione attuale, non voterebbe per nessun partito: "Sono particolarmente contenta di essere una cittadina lombarda non costretta a votare a queste elezioni, ma se mi chiedete per chi voterei oggi io dico che voterei comunque a sinistra, voterei per qualche candidato singolo, magari, ma per la prima volta in vita mia non voterei nessun partito attualmente presente nella nostra cartina politica...Sono convinta che l’elettore di sinistra, per come è fatto, è incompatibile con il modello di uomo solo al comando". Secondo Camusso nel futuro prossimo è possibile un’evoluzione del sistema che porti alla formazione di un nuovo soggetto esterno al Pd. "Credo che alla lunga - ha detto - è una dinamica naturale. Lo spazio c’e, è evidente, il Pd non è più un tradizionale partito di sinistra e da qui alle prossime elezioni immagino che qualcosa di importante succederà". Ma a promuovere questo soggetto "non può essere il sindacato come sta facendo Landini in modo improprio ma, nel modo più naturale, deve essere la politica".



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Argomenti:
Italicum
Pd
legge elettorale

Protagonisti:
Matteo Renzi
roberto speranza

© Riproduzione riservata
16 aprile 2015
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1179 commenti

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19 minuti fa
Altilio Pressi
un solo commento, mi spiace: si parla di un gesto alla Bertinotti Bis,essia. In questo caso il PD, navigherebbe in quella cosa che non odora ed il livello sarebbe per i dissenzienti al punto del labbro superiore.
Vorrei vedere Mattarella dare l’incarico a Prodi o a Letta,gli italiani anticiperebbero il carnevale....

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20 minuti fa
giufar
Non si tratta di fare il tifo per una parte o per l’altra. bisogna chiedersi se la legge elettorale (accoppiata allo svilimento del Senato),che Renzi, il potere esecutivo, vuole fare approvare in Parlamento, potere legislativo, ad una risicata maggioranza e contro parte consistente(120 su 310 deputati) del suo partito, sia la soluzione giusta, nel senso che garantisca la Democrazia parlamentare rappresentativa e favorisca la partecipazione dei cittadini, o invece non serva solo a concentrare nelle mani dell’uomo forte di turno al Governo tutto il potere, riducendo un Parlamento di nominati in un docile strumento nelle mani del premier. Io temo che il risultato sia la seconda ipotesi e mi spiace che Repubblica non aiuti a fare chiarezza, tranne Scalfari la Domenica. Specie dopo gli articoli di Pellegrino e di Tito mi chiedo: dove sono finite le lodevoli battaglie civili dei tempi di B

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23 minuti fa
Richard Lionheart
L’Italia con renzi sta diventando uno dei paesi più tristi e derelitti del mondo.
Un paese che per colpa della sua non classe dirigente, tesa a mantenere i propri privilegi e incurante del bene comune, ogno giorno sprofonda.
Quei piloni d’autostrada che cedendo hanno fatto collassare la carreggiata è immagine del collasso dell’Italia sotto questa classe dirigente economica finanziaria burocratica accademica giornalistica che ha trovato il suo punto di sintesi in renzi, che ha il compito.di garantire i loro privilegi anche riducendo in schiavitù i lavoratori impoverendo le classi più deboli svendendo il patrimonio nazionale distruggendo il patrimonio di piccole e medie imprese facendo scappare all’estero quelle migliori.
In questa cornice di squallore sinstaglia la legge elettorale e le schiforme varie tese a esautorare il parlamento e accentrare il potere sul pdc demolendo il welfare.

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35 minuti fa
lapiccolavedetta
cosa dicevano i renzidi a proposito di occupazione ed economia? :Whirlpool chiude tre fabbriche: 1350 esub­eri

Per Renzi l’acquisizione di Indesit era ‘fantastica’

Il gruppo Usa ferma gli stabilimen­ti di Caserta, None e Albacina. Governo: “Forte contrarietà”. A luglio
il premier aveva rivend­icato: “Non conta il passaporto, ma il piano industriale"


"I tecnici del Senato lanciano l’allarme su alcuni elementi di criticità emersi con il Documento di programmazione economica. Obiettivi a rischio e possibile manovra da 6 mld, senza le privatizzazioni e l’attuazione delle riforme. Decreti attuativi assenti su alcune norme del Jobs Act"


" Ciucci, come raccontato da Il Fatto Quotidiano, è ufficialmente uscito dall’elenco dei dipendenti Anas il 31 agosto 2013, portandosi a casa 779.682 euro +266.397 euro per mancato preavviso=1.825.745 euro mancato preavviso ,se si è dimesso???

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17 minuti fa
Francesco V
Renzi cucù , Il tesoretto non c’è più , la Paita indagaita, il buon accordo Elettrolux , 500 milioni di euro stanziati e gettati al vento e 1350 lavoratori lasciati a casa .Per oggi può bastare così , cos’altro deve accadere ogni giorno per farvi capire nelle mani in cui ci hanno messo ?

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35 minuti fa
Richard Lionheart

Questa legge elettorale da democratura andrà bene a quella componente della società italiana conformista, tendenzialmente familistico amorale, piccolo borghese perbenista benpensante che vuole l’uomo forte al governo pensando che le ingiustizie tocchino sempre e solo agli altri.

C’è una forte componente asociale di conformismo e indifferenza verso i problemi sociali da parte di una componente importante della malata società italiana, questa componente piccolo borghese è il problema dell’Italia che ne impedisce lo sviluppo la fine dei pregiudizi dei luoghi comuni della cialtronaggine amministrativa propria di molte amministrazioni locali del tutto inadeguate e fallimentari e della cialtronaggine politica che caratterizza buona parte della politichetta italiana e che sta minando la democrazia.

Speriam­o che i giovani all’estero siano motore di cambiamento se un giorno torneranno in Italia.

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2
26 minuti fa
zebulo
lo hai gia scritto ieri 3 volte forse a furia di dire idiozie sei rimasto a corto di idee??????

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18 minuti fa
Richard Lionheart
Repetita juvant

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37 minuti fa
wulfthari
La Camusso e’ l’unica con un po’ di buon senso rimasto....oggi NESSUNO dei partiti e’ votabile.

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40 minuti fa
Stefano Di Giacomo

Lega Nord. Estrema destra, un po’ nazionalista, un po’ federalista, molto razzista.

Forza Italia. Destra berlusconiana, viva Silvio.

FdI. Estrema destra. Nazionalisti, post fascisti.

NCD. Destra moderata, cattolici.

UDC. Destra moderata, cattolici.

Montiani­. Liberali.

PD. Centro-sinistra, democratici, progressisti.

Sel. Sinistra, ecologisti, comunisti, pacifisti.

Rifondaz­ione. Estrema sinistra, comunisti, antagonisti.

M5s. Sinistra-centro-dest­ra (oltre), anti tutto e pro tutto, ultra democratici (a parole) e dittatoriali (nei fatti)


Camusso ... Ma che vuoi di più dalla vita? Cosa aggiungeresti tu a tutto questo?

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19 minuti fa
Richard Lionheart
Ucd e ncd di realmente cattolico non hanno nulla sono peggio dei farisei.
Il giorno del giudizio se non si saranno pentiti e convertiti conosceranno il Signore nel giorno della sua ira.
Esiste una giustizia divina e chi si dice cattolico e poi si comporta come i politici ncd udc ecc sarà giudicato molto severamente.

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17 minuti fa
wulfthari
Chi sono i presentabili fra questi?

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41 minuti fa
Ezio Bei
Oramai quest’uomo bluffa giocando pure a carte scoperte. E’ talmente convinto di poter dire qualsiasi cosa senza essere contraddetto che non ha più pudore. L’ultima? "Se non passa l’italicum rassegnerò le dimissioni al PdR". Lo voglio proprio vedere come ci torna PdC con il consultellum totalmente proporzionale. Aspetta e spera.......

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23 minuti fa
mirdepastor
Se non passa l’Italicum avrai la soddisfazione di vedere come ci torna anche con il Consultellum !!!

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43 minuti fa
tsebmot1
Purtroppo, finchè in M5S

ci sarà un pregiudicato del calibro di Grillo, a comandare da padrone,

e che oltretutto,

Berlusconi, a reti quasi unificate, può chiamare " assassino ",

M5S non sarà mai credibile come movimento di persone oneste,

e, tanto meno,

sarà degno di essere votato dagli italiani onesti.

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1
5
43 minuti fa
international
altra frottola: le politiche del governo e il jobs act che dovrebbero attirare investimenti esteri... chiedetelo ai 1.300 esuberi della whirlpool...

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Maria teresa Meli
ROMA Matteo Renzi non ha voluto concedere niente alla minoranza del Partito democratico. E ha detto ripetutamente «no», ieri, anche all’ultima richiesta degli oppositori interni: quella di non votare nell’assemblea serale del gruppo. Glielo hanno domandato in molti, a cominciare da Gianni Cuperlo, che nel pomeriggio è andato a Palazzo Chigi per vederlo.
Ecco la motivazione ufficiale fornita al premier? L’Italicum arriverà in Aula tra parecchi giorni, perché andare alla conta adesso? La verità è che l’area riformista è spaccata e sapeva bene che i cento «no» alla riforma elettorale erano propaganda: non c’è un pezzo di carta con quelle firme nero su bianco e non è un caso se nessuno lo ha mai fatto vedere ai giornalisti. I contrari sono in realtà una sessantina. E di questi solo una piccola parte voleva votare contro in assemblea. Di qui il tentativo di far cambiare idea al segretario. Che se ne è guardato bene: «Si vota. E loro con questa richiesta tardiva fanno un po’ ridere, rischiano una figuraccia». Cosa che, a dire il vero, pensa anche qualche esponente della minoranza: «Non siamo degli arditi», sussurra ironico Cesare Damiano a un amico.
Ma il premier non vuole infierire. È vero che, come ama dire, preferisce «l’arroganza alla mancanza di ambizioni», però ha portato a casa il risultato e questo gli basta. Ha gestito lui l’assemblea decidendo anche l’ordine degli interventi e impedendo al capogruppo del Pd Roberto Speranza di aprire i lavori. Ha vinto anche un’altra partita importante, perché ha l’avallo del presidente della Repubblica. Sergio Mattarella lo copre per quel che riguarda l’iter veloce dell’Italicum.
Non solo: dal Quirinale si fa anche sapere che il dibattito sull’utilizzo o meno dello strumento fiducia da parte del governo in materia di riforma elettorale non riguarda le prerogative del Colle.
Insomma, Renzi non aveva motivo alcuno per frenare e, tanto meno, per fermarsi, anche perché ha più volte pubblicamente promesso che intendere mandare in porto questo ddl prima delle elezioni regionali. Ma non è soltanto questo il motivo che lo ha spinto ad andare avanti e a non soddisfare le richieste della minoranza che sperava di rimandare tutto. C’è un’altra ragione, ancora più importante che ha spinto Matteo Renzi a non indietreggiare di un millimetro e, anzi, ad accelerare. Lo ha spiegato lo stesso presidente del Consiglio facendo il punto con i suoi: «La posta in gioco con l’Italicum non è solo la legge elettorale in sé. In questa polemica che si è aperta con la nostra minoranza interna e con le opposizioni c’è in gioco ben di più: il bipolarismo. Noi vogliamo un cambio di sistema, vogliamo l’innovazione e non vogliamo fare un passo indietro sul bipolarismo, anzi vogliamo fare dei passi avanti, perché, come sapete, per me, bipolarismo significa bipartitismo».
Dunque, secondo il presidente del Consiglio, « ciò che si vuole rimettere in discussione, criticando questa legge elettorale, attaccandola e cercando di fermarla, non sono le preferenze, non sono i capilista bloccati, no, niente di tutto questo. «Siamo sempre alle solite — ha spiegato Renzi ai suoi — contro di noi, dall’altra parte, ci sono i conservatori che tentano in tutti i modi di non farci andare avanti con le riforme. Ma noi rimaniamo sempre dello stesso parere: ha un senso che questa legislatura continui solo se fa le riforme, e noi vogliamo farle».


ROMA Miguel Gotor, perché volete tornare al Vicolo Corto del Monopoli?
«Per evitare che le riforme istituzionali finiscano in un vicolo cieco».
Non ci siete finiti voi in un vincolo cieco?
«No. Ma per fare le riforme bisogna puntare sull’unità del Pd. Renzi sbaglia a non avere fiducia nel suo partito. Una volta migliorata la legge non avremmo difficoltà a votarla».
Detto da uno di cui Renzi si fida pochino...
«Noi stiamo chiedendo di evitare che la base politica delle riforme si riduca troppo. Si è passati da una cosa stretta e ambigua, come era il patto del Nazareno, alla incomunicabilità e questo è sbagliato. Dall’altra parte si tiene il Pd diviso. Ricordo che 24 senatori del Pd, tra cui il sottoscritto, l’Italicum non lo hanno votato».
Appunto. Perché mai Renzi dovrebbe fidarsi?
«Siamo gente seria e leale, se la Camera lo migliora lo votiamo. Restano due punti. No a un parlamento di nominati, sì alla democrazia dell’alternanza».
Il capogruppo si è dimesso.
«Sono un estimatore di Speranza, è un uomo e un dirigente di qualità. E di fronte a una chiusura ha scelto l’autonomia. Si apre una fase nuova».
Gli italiani capiscono l’astensione in assemblea e il «forse sì» in Aula?
«Il sì in Aula è uno scenario che non mi aspetto, lo troverei altamente contraddittorio. Ma poiché tutte le minoranze non hanno partecipato al voto in direzione e in assemblea, mi aspetto in Aula comportamenti coerenti».
I kamikaze saranno una sparuta pattuglia?
«A gennaio sostenevo, nel dileggio generale, che oltre venti senatori non avrebbero votato la legge. Ci chiamavano l’armata Brancaleone, invece siamo stati 24. Auspico alla Camera la stessa capacità di tenere l’azione politica».
Se non votate l’Italicum sarà rottura?
«Di inevitabile c’è solo la morte. Miglioriamo l’Italicum e la riforma del Senato, facciamo un patto di legislatura e smettiamo di lucrare un mediocre consenso elettorale sulle divisioni».
La scissione peserebbe su Renzi o su Bersani?
«Quel concetto non appartiene al nostro vocabolario, siamo una sinistra di governo. Tra l’obbedienza a una cosa sbagliata e la scissione c’è una autostrada per fare politica nel Pd. È il tempo dell’autonomia e della costruzione di un’alternativa a Renzi, nel Pd. Si apre una fase politica nuova e chi ha più filo tesserà».
Se Renzi mette la fiducia?
«Sarebbe un errore grave. Chiediamo a Renzi di avere fiducia nel Pd e nel Parlamento».
Se cade la legge tutti a casa, è pronto?
«La politica del ricatto non conviene a nessuno, pensiamo a fare delle buone riforme».
M.Gu.

ROMA La linea ai ribelli l’aveva suggerita Pierluigi Castagnetti via Twitter: «Sull’Italicum la minoranza del Pd potrebbe fare come i dossettiani sull’adesione alla Nato. Voto contrario nel gruppo, voto favorevole in Aula....». Ma neanche questa alchimia tutta democristiana ha retto davanti allo sfarinarsi delle opposizioni interne del Pd. In risposta alla linea intransigente di Matteo Renzi — «Avanti senza indugi con la legge elettorale che non si cambia più» — il capogruppo Roberto Speranza ha rimesso il mandato all’assemblea e per evitare lo scontro frontale (e le conte) la componente di Area riformista (bersaniani, dalemiani e seguaci di Letta) guidata dal medesimo Speranza alla fine non ha partecipato al voto sulla proposta del segretario. Che nella notte è stata approvata a maggioranza (190 sì, mancavano 120 all’appello): «Siamo profondamente divisi, ma il confronto tra tutte le posizioni non può essere ridotto a un derby», ha replicato Renzi.
Nelle stesse ore, però, è scoppiata una grana addirittura più pericolosa per Renzi che non ha escluso di porre al fiducia sulla legge elettorale per «evitare la palude» della decina di voti segreti. Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega (per i grillini il «passo è prematuro») hanno scritto al presidente della Repubblica denunciando «lo strappo costituzionale» se si mette la fiducia sulla legge elettorale: «L’Italicum è una scelta eversiva di un dittatorello di provincia», ha detto Renato Brunetta (FI). Dal Quirinale Sergio Mattarella per ora segue con attenzione l’evolversi dell’iter parlamentare e si guarda bene dall’interferire con l’attività della Camera.
Dunque Matteo Renzi — citando il Libro della Giungla di Kipling («Ci sono troppi sciacalli Tabaqui») — ha chiesto al gruppo parlamentare un voto chiaro per confermare la strada già tracciata dalla direzione pd: approvare definitivamente a maggio l’Italicum, anche se «non è la legge elettorale perfetta». Chiudere la discussione sulla legge elettorale «perché il testo è già stato oggetto di mediazione e di miglioramenti al Senato e il relatore Migliore (prima contrario, con la casacca di Sel, e ora favorevole con quella del Pd, ndr) è il simbolo del cambiamento».
I motivi per votare l’Italicum, ha argomentato Renzi, sono 5: «1) Tecnicamente funziona; 2) è in linea con la storia del Pd; 3) il governo è legato alla legge elettorale; 4) si riafferma il primato della politica; 5) il Pd ha salvato il Paese dalla palude e ora bisogna lavorare al Paese dei prossimi 20 anni». Per addolcire la pillola il segretario ha aperto sulle modifiche alla riforma costituzionale e ha annunciato per il 27 una direzione sul caos periferia del Pd: «Io i nostri amministratori non li lascio soli».
Dopo Renzi ha parlato Speranza: «Errore grave procedere così sulla legge elettorale, la stiamo facendo da soli e pure divisi...». Detto questo, Speranza si è dimesso ed è intervenuto duro anche Pier Luigi Bersani ma è mancata la spallata e già si inizia a lavorare al dopo-Speranza (in lizza, tra gli altri, Rosato, Richetti, Amendola). Ora si prevede un Italicum senza voti in I commissione e poi, solo a maggio, si capirà se Renzi è disposto a rischiare in Aula 10 voti segreti oppure se utilizzerà lo scudo-fiducia (ci sarà comunque un voto finale segreto) sfidando l’Aventino delle opposizioni. E regalando anche alla minoranza Pd un facile slogan per l’ultima battaglia, a quel punto di retroguardia.
Dino Martirano


ROMA Non sarà un voto alla Armageddon...» esordisce Matteo Renzi aprendo l’assemblea del gruppo al posto del capogruppo, in barba alle barbose tradizioni parlamentari. Nel palazzo dei gruppi l’aria è un mix di emozioni contrastanti, renziani eccitati per la «resa dei conti» e minoranze abbacchiate. Sì, perché solo a riunione iniziata i nemici dell’Italicum trovano la «quadra» e, per non finire in cocci, decidono di non partecipare al voto sulla relazione di Renzi, come suggerito da Pippo Civati.
Ma come, Area riformista non aveva deciso di votare contro la relazione del premier? Contrordine, compagni. Indietro tutta. D’altronde, quanti sono i riformisti pronti a mandare in fumo la legge elettorale per gettarsi in mare aperto e senza scialuppe? «Il mio timore — sospira preoccupato Gianni Cuperlo — è che gli italiani non ci capiscano».
Brutto clima in casa Pd. La giornata era filata via per nulla liscia, tra telefonate cruciali (Renzi-Speranza), faccia a faccia (Renzi-Cuperlo) e l’inquietudine di tanti dem di sinistra stretti tra riconoscenza verso Bersani e lealtà a Renzi. «Tu ci sei stasera, vero?» è stato l’angoscioso interrogativo che, in Transatlantico, correva nei capannelli dell’opposizione, divisa tra non-renziani e aspiranti renziani. E alla fine il panico della diserzione ha spinto i bersaniani soft alla resa.
Ma adesso, alle nove della sera, parla lui e cita Kipling: «Per chi ama il Libro della giungla , fuori di qui ci sono tanti Tabaqui». Grazioso sinonimo di sciacallo. Renzi rispolvera il leit motiv del «Letta impantanato», strappa l’applauso sulle intercettazioni e finalmente, come i dialoganti speravano, semina qualche apertura sulla riforma costituzionale. Ma l’Italicum no, la madre di tutte le riforme non si tocca. Sancita l’intangibilità della legge elettorale il premier si mette a discettare di Imu agricola («un errore»), di università, povertà, città metropolitane...
Alle 21.30 Renzi ha finito e tocca al «povero» Speranza, come lo chiamano perfidi i renziani da quando hanno capito che le dimissioni del capogruppo erano ormai inevitabili. Nell’intervento più difficile della sua carriera spiega le «ragioni vere di un profondo dissenso», ma conferma lealtà al premier la cui «leadership è fondamentale». E poi, sposando la causa renziana: «Il destino del partito della nazione coincide con quello del Paese».
Lui in quella sfida ci sta dentro in pieno assicura Speranza e spiega che, se ha lanciato la sfida di «allargare», lo ha fatto perché in Aula si rischia di non reggere: «Nemmeno tutto il nostro campo, ora, è con il Pd...». Evocata la spaccatura dei dem, Speranza recita il suo atto di fede, «credo con forza in questo governo e nel Pd» e però ammette che la distanza tra quel che lui pensa e la «direzione di marcia è troppo ampia». Sono le 21.30 quando il deputato di Potenza, classe ‘69, annuncia: «Rimetto con serenità il mandato da presidente del gruppo». E mentre ci si interroga sull’irrevocabilità delle dimissioni il quasi ex si accomoda in platea: «Ho fatto la cosa giusta».
La riunione prosegue come nulla fosse. Cuperlo deve trovarlo surreale e prova a scuotere i renziani dicendo che le dimissioni di Speranza «sono un fatto serio», che merita la sospensione dei lavori... Ma no, Renzi non si ferma. Vuole un voto che formalizzi il trionfo e rimanda il dibattito sulle sorti di Speranza: «Non condivido la scelta, Roberto rifletti». Rosy Bindi è una furia e grida: «Fallo te un atto magnanimo e permetti di discutere di queste dimissioni adesso». Appello respinto e la presidente dell’Antimafia che gira i tacchi: «Non è giornata».
La proposta di rinvio è messa ai voti e bocciata e qui, alle 22.15, l’intransigente Fassina e lo sconcertato D’Attorre vanno a dormire, mentre i «buoni» di Area riformista (e Cuperlo) restano. Civati è basito: «Tutti matti!». Zitti, tocca a Bersani. «Molto incazzato», lo descrivono. «Non è un tema di disciplina di partito né di voto di coscienza, ma di responsabilità. Se si vuole si può cambiare, se invece si sceglie di andare avanti così io non ci sto». Sfida Renzi a ridiscutere «davvero» i pilastri della riforma del Senato e infine, come dopo uno schiaffo ricevuto: «Un partito che davanti alle dimissioni del capogruppo va avanti come se nulla fosse ha un problema».



L’Italicum — nella nuova versione approvata a gennaio dal Senato, ora all’esame della Camera — assegna il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione. Al vincitore vanno 340 seggi su 630: al primo turno, se la lista raccoglie almeno il 40% dei voti; in caso contrario, si va al ballottaggio tra le prime due formazioni λ Il restante 45% dei seggi è assegnato alle altre liste in maniera proporzionale. La soglia di sbarramento per accedere alla ripartizione dei seggi è fissata al 3% λ Il territorio nazionale è suddiviso in 100 collegi: ognuno assegna circa 6 seggi. I capilista di ciascuna delle formazioni sono bloccati: gli altri, per le liste che eleggono più di un deputato, sono eletti con le preferenze. L’elettore potrà indicare sulla scheda due candidati, di sesso diverso λ La nuova legge elettorale regolerà soltanto l’elezione della Camera dei deputati, in attesa della riforma che renderà il Senato non elettivo. Una «clausola di salvaguardia» posticipa l’entrata in vigore del nuovo sistema di voto: anche se approvato adesso, varrà solo a partire da luglio 2016