Eugenio Arcidiacono, Famiglia Cristiana 16/4/2015, 16 aprile 2015
NULLA È PIÙ VERO DI UN BUON TRUCCO
[Francesco Freda]
Tra le tante foto di divi e dive del cinema mondiale che adornano la sua casa nel cuore di Pistoia, ce n’è una che ritrae una bellissima Sophia Loren. Sopra, lei ha scritto: «E ora basta, stringimi forte». Il mondo di Francesco Freda da quasi 70 anni è questo: esaltare con il trucco la bellezza in volti spesso già di per sé bellissimi. Con un solo obiettivo: la ricerca della verità. «Se un attore può uscire dal set e andare al ristorante senza bisogno di struccarsi, allora sono contento di ciò che ho fatto».È la grande lezione del neorealismo che Freda apprese alla fine degli anni ’40, quando, grazie a un amico, si ritrovò a Cinecittà e rimase abbagliato «dalle luci, dai colori, dagli specchi delle sale trucco dove vedevo passare Gina Lollobrigida e Gloria Swanson». E decise che sarebbe diventato L’artigiano della bellezza, il titolo del libro in cui racconta gli incontri e le storie che hanno segnato la sua vita. «Quando iniziai, si usavano solo un fondotinta per gli uomini e uno per le donne. Alla fine erano tutti e tutte uguali. E soprattutto non erano volti, ma maschere. Io ero invece affascinato dalla possibilità di mischiare i colori, di modellare un volto per far emergere la personalità del personaggio del film. E quindi la sua bellezza».Non ha mai trovato attori o attrici su cui non ha dovuto intervenire? «Posso dire quali sono i volti su cui in genere ho lavorato di meno: tra gli attori, Gian Maria Volonté e Jack Nicholson. Pochi tocchi, ed erano pronti. Tra le attrici, Claudia Cardinale. E poi Ava Gardner: bastava sfiorarle le labbra e gli occhi e acquistava subito una carica, un fuoco... Era una donna così piena di vita. Ma anche così tormentata. Ricordo le lunghe, appassionate telefonate che da Roma faceva ogni mattina a Frank Sinatra».Ha truccato pure Katharine Hepburn. Lei com’era?«All’inizio il nostro rapporto fu molto difficile perché lei era abituata al divismo americano, con quelle ciglione arcuate... Ma nel film che doveva girare, Le troiane, tratto da Euripide, doveva interpretare Ecuba, un personaggio che doveva risultare il più naturale possibile. Lei all’inizio fece un po’ di resistenza, poi quando si rese conto dell’amore che mettevo nel mio lavoro si affidò ciecamente a me. Alla fine delle riprese, mi donò una sua foto con questa dedica: “Ricorderò sempre il tuo cuore e le tue mani”».Qual è stata l’attrice più difficile da truccare?«Sophia Loren per Una giornata particolare di Ettore Scola. Lei, che in quel periodo arrivava da grandi produzioni hollywoodiane, si sarebbe dovuta calare in una casalinga in ciabatte nella Roma fascista del 1938. All’inizio era un po’ diffidente perché io ero stato imposto alla produzione da Scola. E io ero un po’ intimorito, non sapevo come avrebbe reagito. Mi presentai nella sua villa alle 4 e mezzo del mattino e lavorai per un’ora e mezza cercando più ancora che in altre occasioni il massimo della naturalezza. Alla fine, mi sembrò più bella che in altri film che aveva fatto prima. Da allora abbiamo lavorato insieme in ogni parte del mondo per vent’anni».Il protagonista maschile di quel capolavoro era Marcello Mastroianni. Con lui come andò?«Fu diverso, perché con lui lavoravo già da tanti anni, fin dai tempi di Divorzio all’italiana di Pietro Germi. A proposito di quel film, mi viene in mente un episodio che spiega bene come spesso grandi invenzioni nel cinema nascano quasi per caso. Sul tic alla bocca di Marcello, che caratterizzò così tanto il suo personaggio del barone Cefalù, ne sono state scritte di tutti i colori, ma la verità e che dopo un pranzo gli rimase del cibo conficcato tra i denti. Lui iniziò a muovere la bocca per toglierlo e dopo un po’ disse a Germi: “E se continuassi a farlo anche nel film?” Comunque, tra gli attori con cui ho lavorato, era tra quelli più bisognosi di trucco, anche a causa delle sue abitudini. Per lui il sonno era una perdita di tempo sottratto alla vita. Così, al mattino, cercava di recuperare affidandosi a me e restando per ore quasi in trance. Poi, quando avevo finito, d’improvviso scattava come una molla e sul set era perfetto».Ci può essere bellezza anche in ciò che sembra brutto?«Le faccio due esempi. In Deserto rosso di Michelangelo Antonioni, in una scena i due protagonisti, Monica Vitti e Richard Harris, dovevano camminare sotto un cielo plumbeo. Michelangelo mi disse: “Devono apparire come due fantasmi”. L’unica luce era il fuoco che ardeva sotto le castagne di un venditore di caldarroste. Era una scena di un’infinita desolazione. E allo stesso tempo di un’incredibile bellezza. Secondo esempio. In Brutti, sporchi e cattivi, sempre di Scola, Nino Manfredi, nei panni di un borgataro ripugnante, si siede sotto un cartellone pubblicitario vicino a una prostituta. Sembra una scena squallida e invece, se la si vede, esprime tenerezza, poesia. La bellezza, in definitiva, è emozione».Quindi cosa pensa delle attrici che ricorrono alla chirurgia estetica?«Che sono delle illuse. Poverine, si riducono a essere delle maschere tutte uguali. Guardi Claudia Cardinale, invece. Accetta serena il passare del tempo ed è ancora una donna bellissima. Come lo è stata fino alla fine Virna Lisi».Sua moglie Anna da qualche anno non c’è più. Truccava pure lei?«Qualche volta gli occhi, perché erano bellissimi. Avrei voluto dedicarle lo stesso impegno che ci mettevo con Sophia Loren. Ma lei, dopo un po’ si spazientiva: “Basta, Franco, basta...” Però, poi, quando si rivedeva allo specchio, era contenta».