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 2015  aprile 16 Giovedì calendario

CLAUSURA ALLA NAPOLETANA


Quando è esplosa la bomba mediatica sul monastero di clarisse cappuccine napoletano delle Trentatré, l’abbadessa Rosa Lupoli ha trovato fuori dalle mura cinquecentesche del convento di Santa Maria in Gerusalemme, nella zone borderline dell’Anticaglia, telecamere, giornalisti e pure una tv turca. Luciana Littizzetto le aveva prese in giro per il comportamento troppo pimpante durante la visita del Papa («Non hanno mai visto un uomo...»). E allora, come scrisse Alessandro Manzoni a proposito della monaca di Monza, «la sventurata rispose», e con spirito, non dalle grate, bensì attraverso Facebook. «Se avessimo voluto abbracciare un uomo avremmo scelto un altro luogo e ben altri uomini». Oggi aggiunge: «Il Papa era lì a pochi passi da noi, non salutarlo era un delitto di lesa maestà. Avevamo preparato un regalo, che cosa dovevamo fare? Mi sono ricordata di quando giocavo a pallavolo e saltavo e allora ho detto: Sorelle, andiamo adesso o mai più».
Per parlare con madre Rosa bisogna salire la ripida scala del più antico monastero napoletano e arrivare alla ruota di legno, dove si recano i fedeli per lasciare offerte e chiedere preghiere. Una voce sottile dietro il muro dà le indicazioni per arrivare al parlatorio, le chiavi girano dentro la ruota. Si apre una piccola porta di ferro: una stanza spoglia, qualche sedia e poi la grata. Rosa, l’abbadessa, ischitana, 49 anni, è imponente, ha una tonaca marrone, è scalza e al polso ha un orologio della squadra del cuore, il Napoli. Entrata venticinquenne, è uscita una sola volta per il funerale del padre, dopo 19 anni. «Ho iniziato la clausura che Barbara D’Urso era riccia, bruna e faceva la valletta». Del can can dei media c’è una cosa che non capisce: «La curiosità morbosa degli uomini: pensano che siamo donne represse in attesa di un maschio. Ma se desideravamo questo, non ci saremmo mai rinchiuse in convento, o no?».
Come è arrivata qui, dove le grate delle celle sono a tre metri da terra e al massimo vedete un pezzettino di cielo? Fuori pensano che si entri in clausura per sfuggire a problemi d’amore. Non è così: qui ho incontrato donne molto libere, nel pensiero e nella scelta. Sono arrivata con una mia amica che voleva farsi monaca. Volevo vedere queste strane donne che non uscivano mai. Poi sentii una chiamata cui non potevo sottrarmi. La mia amica non resistette e uscì, io sono rimasta.
Ma oggi dalle grate uscite con i social network. Da quando usate il computer? Quando sono entrata c’erano consorelle arrivate qui in calesse che non sapevano niente di auto, tv e computer. Oggi siamo in 13 e c’è una novizia di 28 anni, laureata in architettura, arrivata nel 2003. Con lei abbiamo iniziato a usare i social. Servono anche per capire come viviamo. Ci arrivano messaggi, richieste di preghiere. E il telefonino? Dovreste stare in silenzio.
Serve per contattare i medici in caso di emergenza. Abbiamo un po’ di wi-fi, usiamo anche WhatsApp, ma solo per ragioni economiche.
Come è la vita delle suor Gertrude 2.0?
Sette volte al giorno cantiamo, preghiamo e meditiamo. Mentre mangiamo leggiamo il giornale, anche se abbiamo sospeso l’abbonamento al Mattino, costava troppo. Abbiamo un’ora di tempo libero, ma dobbiamo trascorrerla in silenzio. Leggiamo molto e non solo testi liturgici, anche Alice Munro o i gialli di Maurizio De Giovanni ambientati a Napoli.
Chi era prima di diventare suor Rosa? Una ragazza che amava la pallavolo. Ho giocato anche in serie B.
Mai fidanzata?
Avevo tanti corteggiatori. Ma pensavo che un uomo mi avrebbe condizionato. Volevo viaggiare, studiare e vedevo le mie amiche sposate in balia di mariti pesanti.
Dal marito pesante al monastero, la scelta è estrema.
Gesù mi ha invitato, non potevo rifiutarmi. Pochi mesi prima andai con mia madre a comprare vestiti leggeri, rimasti intonsi nell’armadio. Mia madre li ha conservati per vent’anni, dicendomi: «Magari un giorno torni e li vuoi mettere». Come la presero i suoi genitori?
Per mia madre fu il dolore più grande, aveva 50 anni, la mia età di oggi. Venne alla grata a piangere e disperarsi. Mio padre fece come fanno i maschi: scappò. Cosa ha trovato tra queste mura?
La libertà. Ho avuto quello che volevo. Il mio sogno era diventare archivista, oggi entro in tutti gli archivi digitali del mondo perché mi sto occupando della causa di beatificazione della madre fondatrice, la Venerabile Lorenza Longo. Il Signore ha realizzato i miei sogni, a modo suo.
Non è stata madre.
Tanti mi chiamano «mamma», si può essere fecondi in altri modi.
Di che cosa vivete?
Di carità e provvidenza. Molti pensano che campiamo sulle spalle degli altri, ce lo hanno brutalmente scritto su Facebook. Ma viviamo del nostro lavoro, ceri decorati e bambinelli Gesù che si vendono a Natale. Correggiamo tesi universitarie.
Che cosa mangiate?
Quello che ci regalano. Mia madre temeva che morissi di fame. Invece arrivano doni inaspettati. Come il latte condensato. Un lusso.
Come le sembra il mondo fuori?
Buio. Le donne che vengono alla ruota a sfogarsi raccontano di vite difficili, di dolore e disinganno del matrimonio.
E gli uomini?
Fragili. A chi ho chiesto: sei innamorato? mi ha risposto: è la domanda più difficile. Come fa una monaca a sapere che cos’è l’amore?
Le grate non salvano dal mondo. Il monastero è il luogo più grande per le tentazioni. È nel silenzio che incontri te stesso.
E qui c’è davvero un silenzio perfetto.
C’è un momento della settimana in cui il silenzio è ancora più perfetto e profondo: quando gioca il Napoli. Non si sente più nulla, il tempo è sospeso.
È anche tifosa?
Assolutamente. E quando mi chiedono di pregare per la squadra non mi sottraggo. O almeno prego per i calciatori.
Ora madre Rosa si ferma un attimo e aggiunge: «Sì, qui in clausura abbiamo una vita simpatica».