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 2015  aprile 16 Giovedì calendario

IL VANTAGGIO DI CHIAMARSI OSCAR

Non è mica facile essere Oscar Farinetti, fondatore del partito enogastronomico «Forza Eataly». Anzitutto, bisogna seguire le sette regole del farinettismo, sciorinate dal Nostro in persona nel 2011 durante il ciclo d’incontri «Italian session: per rifare l’Italia». E non tutti se le possono permettere: «Coltivare l’amicizia, essere onesti, alimentare il dubbio, essere tenaci, furbi, avere capacità d’analisi e molta originalità». La prima, la regola dell’amicizia, sembra essere molto importante per Farinetti: con quella gli si sono aperte molte porte. «Uno straordinario uomo di comunicazione, poi riesce a ottenere tutto gratis», ha sentenziato Bernardo Caprotti, patron di Esselunga, in un’intervista al Fatto Quotidiano.
L’ultimo caso è quello di Expo. A Eataly è stato affidato direttamente l’appalto: 8 mila metri quadrati, 20 ristoranti e circa 2,2 milioni di pasti da distribuire, tutto senza gara. Raffaele Cantone, capo dell’Autorità anticorruzione ha però chiesto la documentazione relativa al contratto e ha avanzato dieci rilievi specifici all’amministratore delegato di Expo Giuseppe Sala, che ha assegnato la concessione sottolineando, come motivazione, l’unicità di Eataly. Cantone però vuole capire «sulla base di quali valutazioni è stata determinata l’unicità tecnica di Eataly, atteso che non risulterebbe effettuata alcuna preventiva ricerca di mercato». Il magistrato poi vuole sapere «qual è l’importo atteso dei ricavi, indicato solo nel verbale del Cda in 44 milioni di euro, e, di conseguenza, su quali basi sono state determinate le royalty che la concessionaria retrocederà, quantificate nel 5 per cento del fatturato, cui si somma un ulteriore 1 per cento per fatturati sopra i 40 milioni».
Da contratto, infatti, a Farinetti spetta il 95 per cento del fatturato. E perché? Su che basi? Sono le domande di Cantone. «Una polemica inutile che non doveva neanche nascere», ha replicato Farinetti. Ma Eataly quanto guadagnerà con Expo? «È molto difficile» ha spiegato l’imprenditore «perche ci sono dei grandi investimenti dietro. Credo che non ci perderemo, il punto di pareggio è a 20 milioni di fatturato, che non è facile da raggiungere in 6 mesi, soprattutto per i costi di ammortamento. Per questo noi riutilizzeremo tutti gli elementi di Expo nei futuri Eataly che apriremo». Magari con l’aiuto di qualche amico, appunto.
A Torino, Eataly ha aperto nel 2007. Nell’aprile del 2005, Eataly srl, vincitrice e unica partecipante del concorso, si era aggiudicata l’affidamento dell’area Carpano per la realizzazione di un «Parco enogastronomico». La concessione, data dal Comune allora guidato da Sergio Chiamparino, è per 60 anni, anche se Farinetti voleva i capannoni per 99 anni, ma (si legge nella biografia autorizzata «Il mercante di utopie») fu l’ex sindaco a stopparlo: «Esageruma nen», non esageriamo in piemontese. A Bari, invece, dopo alcuni problemi burocratici e un po’ di scazzi con i sindacati, Eataly ha occupato parte della Fiera del Levante, che nel 2012 ha inaugurato un concorso pubblico per affittare 8 mila metri quadri di spazio espositivo: anche qui unica partecipante al bando Eataly Puglia, una newco costituita ad hoc tra i cui soci, oltre a Farinetti, c’è la Casillo Group.
L’inaugurazione di Bari era fissata per il 31 luglio 2013; a pochi giorni dall’apertura, il Comune bloccò i lavori per mancanza di autorizzazioni. Tutto però si risolse velocemente, grazie a una mano dell’allora sindaco Michele Emiliano. «Siamo arrivati lunghi ma grazie alla comprensione di Regione, Provincia e Comune oggi siamo qui» gongolò Farinetti il giorno dell’inaugurazione. Ed Emiliano si vantò della celerità della burocrazia: «Questo è solo l’inizio di un percorso: abbiamo una grossa possibilità in questa straordinaria città. Per questo abbiamo emesso il certificato di agibilità più veloce del mondo».
Gli amici ci sono anche a Verona, come ha ricordato sempre Caprotti: lì è la Fondazione Cariverona ad aver messo a disposizione l’area e l’edificio, negli ex Magazzini, proprio di fronte a Veronafiere, mentre a Siena, invece, non è andata come Farinetti sperava. C’era l’ipotesi del Santa Maria della Scala, ma la notizia si venne a sapere e, dopo qualche giorno di articoli di giornale contrari alla «svendita» del Santa Maria, tutto si arenò. Farinetti incontrò il sindaco Bruno Valentini «al quale» disse piccato «mi è sembrato stia a cuore lo sviluppo occupazionale e di contenuti della città... Non abbiamo tempo per le polemiche, né predisposizione. Quindi non entriamo in nessun merito. Il nostro programma di aperture è pieno fino al 2016, soprattutto all’estero, dove Eataly non è vista come un supermercato qualunque».
Anche a Forlì le richieste non sono andate, per il momento, a buon fine. A febbraio, durante l’inaugurazione della nuova «boutique» del cibo, Farinetti ha chiesto che il Comune riaprisse al traffico piazza Saffi, dove ha sede la nuova Eataly. L’assessore alla mobilità, Alberto Bellini, ha detto no e l’ex sindaco Roberto Balzani è stato ancora più pungente: «Un’idea un po’ contraddittoria... Molto semplicemente: una cazzata». Nei dintorni di Bologna invece aprirà a fine anno il Fico (Fabbrica italiana contadina), un parco tematico di 80 mila metri quadri «con 40 ristoranti, stalle, acquari, campi, orti, officine di produzione, laboratori, banchi serviti, grocery»; nascerà nel Centro agroalimentare di Bologna (Caab), che è di proprietà pubblica all’ottanta per cento ed è guidato dal renziano Andrea Segré. Vale 55 milioni di euro e il Comune di Virginio Merola, ex bersaniano folgorato sulla via di Rignano, li ha «regalati» a Farinetti per farci la sua Disneyland del cibo.
Però mica basta: il signor Eataly annuncia di essere «molto gasato. È indispensabile avere un trasporto veloce, spero che il sindaco faccia un piano perché chi arriva in aereo o col treno veloce possa arrivare dentro Fico rapidamente». Dagli amici, questo e altro.