VARIE 15/4/2015, 15 aprile 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - GUERRA NEL PD PER COLPA DELL’ITALICUM
REPUBBLICA.IT
ROMA - Mancano poche ore: è prevista per stasera, nell’assemblea dei deputati Pd con il premier Matteo Renzi, la resa dei conti all’interno del Partito democratico sull’Italicum. E l’attesa è carica di tensione. ’Area riformista’, con a capo Roberto Speranza non cede e annuncia di non voler votare in assemblea una legge elettorale ’blindata’. Ma il segretario Pd non vuole più perdite di tempo: a suo parere sono già state fatte molte modifiche e ora è il momento di andare avanti con le riforme costituzionali: "Non è il Monopoli", aveva già ammonito ieri. È certa di una conclusione rapida il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia: "È vero che ci sono state molte resistenze, ma vedrete che una volta che si arriva alla fine del percorso legislativo in parlamento e quindi che avremo - io dico a breve, a brevissimo - una nuova legge elettorale, la volta dopo si vota con la legge elettorale approvata. E’ una riforma che ha un problema di attuazione limitato, anzi inesistente".
"Se le posizioni della minoranza" sulla legge elettorale "rimarranno inamovibili non c’è alternativa alla fiducia", ha detto in un’intervista a Repubblica la vicesegretaria Pd Debora Serracchiani, che sottolinea come arrivare a una resa dei conti nel partito "non è l’intenzione di Renzi e della maggioranza del Pd. Considerare questo passaggio come una sfida non serve al Paese. L’Italicum è il frutto del lungo lavoro fatto anche nel partito per accogliere i contributi della minoranza oltre che di altre forze politiche".
Ma le parole di Serracchiani non sono piaciute a Sel: "Come si permette la Serracchiani, che non è deputata né ministro, di minacciare la fiducia sull’Italicum? Tratta il parlamento come una sezione del Pd", è la reazione su Twitter del capogruppo dei deputati vendoliani a Montecitorio, Arturo Scotto. E scongiurare la fiducia sull’Italicum, che equivarrebbe a un "golpe" e a un gravissimo "strappo costituzionale", è la richiesta inoltrata da Sel, Forza Italia e Lega Nord, che hanno inviato, ciascuno per proprio conto, tre lettere distinte al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Alle tre forze di opposizione si aggiungerà poi anche Fratelli di Italia di Giorgia Meloni.
Di contro, il Movimento 5 Stelle si distingue dalle opposizioni e decide di non scrivere al presidente della Repubblica. Per la capogruppo pentastellata, Fabiana Dadone, Mattarella ha "tutti gli strumenti per valutare la situazione. Le forze politiche alla Camera hanno ritenuto di dover scrivere nonostante la fiducia sia stata fatta capire. Per noi è prematuro".
Si augura che non si arrivi al voto di fiducia, invece, Linda Lanzillotta, vicepresidente del Senato: "La legge elettorale è stata oggetto di una lunghissima elaborazione e anche di una faticosa mediazione all’interno del Pd, ora è arrivato il momento di decidere. Mi auguro - ha aggiunto - che non si ricorra al voto di fiducia, questa è una valutazione che spetterà al governo. Quello che appare evidente è che non si può tornare indietro, ricominciare a discutere e perdere altro tempo prezioso perché, ad oggi, non abbiamo una legge elettorale. La minoranza del Pd si deve rendere conto che ha una grande responsabilità. Sembrerebbe incomprensibile agli italiani che, nel momento in cui ci sono i primi segnali di ripresa economica, noi ci fermassimo tre mesi per fare la campagna elettorale perché c’è uno scontro interno al Pd. Penso che questo gli italiani lo considererebbero demenziale" ha concluso Lanzillotta.
"Immaginare di cambiare ancora la legge elettorale significa riportare la discussione al punto di partenza" e questo non avverrà perché "per noi questa legge funziona e funziona bene, garantisce la governabilità, si sa chi vince e chi perde, ha il premio di maggioranza alla lista che è una spinta formidabile alla semplificazione del panorama politico", ha ribadito il vice segretario del Pd, Lorenzo Guerini.
Contrario all’ipotesi fiducia anche Ncd: "Io credo che la fiducia sull’Italicum sarebbe un grande errore e faremo di tutto per evitarla perché la fiducia sulle regole non si mette e non è mai stata messa. Solo De Gasperi nel ’53 dopo un lungo ostruzionismo alle Camere lo fece quando il Paese era sull’orlo di una guerra civile", ha detto l’esponente alfaniano, Gaetano Quagliariello. "Non sto facendo una minaccia, noi non soltanto garantiamo lealtà, ma faremo uno sforzo per capire che non tutti possono ottenere tutto quando si tratta di regole e su questo noi siamo i primi. Vogliamo far rispettare i patti anche a voto segreto".
Duri i toni di Forza Italia: "La legge elettorale della quale discuterà oggi il gruppo del Pd alla Camera è una legge fatta su misura per Renzi. Il premio alla lista, cosí come la previsione del ballottaggio, che avvantaggia sempre la sinistra, sono tutte cose pensate esclusivamente per favorire il Partito democratico", dichiara in una nota Alessandro Cattaneo, membro del Comitato di presidenza di Forza Italia e responsabile Formazione del partito. "La prima versione dell’Italicum, scritta anche con l’aiuto di Forza Italia, era senza dubbio una legge elettorale più equilibrata e con meno incoerenze. Ricordo infatti il premier che ci diceva mai più partitini, salvo poi inserire nel nuovo testo lo sbarramento ridotto al 3% per favorire le formazioni minori che sostengono il governo. Ci prepariamo dunque a vedere approvata una legge elettorale fatta su misura per il Pd ed i suoi alleati; una vera legge a favore del Premier e ad personam. Vedremo tuttavia se ci saranno sorprese vere grazie all’azione della minoranza interna del Pd o se saremo di fronte all’ennesimo penultimatum", conclude.
GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Dicono, renziani e dissidenti, che il tempo dei penultimatum è finito. Ci si conta e si decide. Il rischio è scattare la seguente fotografia: il capogruppo (Speranza), l’ex segretario e candidato premier (Bersani), gli sfidanti delle primarie (Cuperlo e Civati), ovvero una parte dello stato maggiore democratico, che vota contro la linea di Renzi. La certificazione di una frattura forse definitiva nel Pd. E se si dovesse confermare nel voto dell’aula a maggio, porterebbe dritti alla scissione.
Avendo questo possibile scenario presente Matteo Renzi si prepara alla battaglia nell’assemblea dei deputati: "Ricostruirò il percorso che abbiamo fatto fin qui. Più di un anno di lavoro sulla legge elettorale fatto con il contributo di tutti. Spero che il gruppo non si spacchi, ma non posso preoccuparmi più di tanto". Bersani prova a scherzarci su: "Mi rifugerò dal Papa. Francesco mi piace molto". Non prima di aver combattuto l’Italicum fino in fondo. Con quali truppe però? Sulla carta la minoranza conta su 110 deputati. E’ un numero che non apre una ferita nel Pd ma mette in pericolo la stessa approvazione della legge, visto anche l’alto numero di voti segreti quasi certi. Ma è un numero molto ballerino.
Già ieri durante la riunione di Area riformista, la componente di Speranza, tanti hanno fatto capire che la strategia non è quella del muro contro muro. "Segniamo un punto politico in dissenso al gruppo. Ma poi al momento del voto vero ci atteniamo alle decisioni della maggioranza ", è la rotta indicata da Dario Ginefra. Come lui la pensano in tanti. Ancora una volta l’area dei dissidenti può spaccarsi favorendo la corsa del segretario. Gli occhi sono soprattutto puntati sul capogruppo Speranza. "Deve decidere cosa vuole fare da grande", spiega il vicesegretario Lorenzo Guerini.
Come dire: sceglie di stare con il futuro o rimane legato alla vecchia guardia? Su Speranza il pressing del mondo renziano è forte da tempo. Più o meno benedetti dal capo, sono parecchi a volergli fare le scarpe, malgrado finora abbia sempre tenuto unito un gruppo parlamentare che conta più di 300 teste. Ora circola la voce che potrebbe essere lo stesso Speranza a farsi da parte, a dare le dimissioni.
Il passaggio non è indolore. Stamattina il capogruppo vedrà Renzi per fare il punto. Ha una posizione netta sull’Italicum: va cambiato e non è giusto che lo approvi una maggioranza risicata con un Pd spaccato. Renzi potrebbe mettere sul piatto un ipotetico ritocco alla riforma costituzionale spostando il problema. Per alcuni può essere sufficiente. Per i più oltranzisti no. Adesso il pressing per le dimissioni Speranza lo deve subire anche dai suoi amici. Il gesto clamoroso di un capogruppo "moderato" e non antirenziano avrebbe l’effetto di terremotare il Pd molto più delle accuse di ex sconfitti.
Speranza replica con molta calma. "Aspettiamo di sentire Renzi. Ci sono ancora 24 ore per trovare una soluzione e dopo il gruppo altri 15 giorni per ragionare". Non c’è dubbio però la conta di oggi segnerà un punto di non ritorno. "E’ un giorno cruciale - ripete Alfredo D’Attorre, bersaniano - Non sono possibili scambi con la riforma costituzionale. Forse perderemo qualche pezzo ma non credo che rimarremo 20-30 che è la vulgata renziana". Gianni Cuperlo fa ancora un appello a Renzi per l’apertura ad alcune modifiche mirate. Ma non nega la difficoltà del momento: "Stavolta i dissidenti non potranno abbandonare l’aula quando si voterà. Perché lo faranno anche le opposizioni e mancherebbe il numero legale". Insomma, bisognerà votare si o no, niente scorciatoie. Francesco Boccia invita il premier a fidarsi del Pd: "Approviamo insieme Senato e Italicum a luglio, facendo correzioni condivise".
L’obiettivo dei trattativisti è prendersi tutto il tempo possibile. Ci si aggrappa alla possibilità che i 12-13 membri della commissione Affari costituzionali contrari all’Italicum si facciano spontaneamente da parte lasciando il posto a fedelissimi renziani. Sono pronti a resistere solo Carlo Lauricella e Rosy Bindi. In questo modo ci sarebbero altre due settimane di contatti senza plastiche divisioni in commissione. Ma sono toppe temporanee. Resta un passaggio importante per una minoranza divisa e confusa ma anche per un segretario chiamato a difendere l’assetto di un partito del 41 per cento, con tutte le sue anime.
PEZZO DI MARIA TERESA MELI
ROMA Matteo Renzi non vuole fare forzature con la sua minoranza interna, né inasprire i toni della polemica, ma ciò non significa che non sia più determinato che mai, anche perché considera già vinta questa partita. All’assemblea di oggi chiederà ai deputati di votare sulla sua proposta che contiene due punti precisi: l’immodificabilità dell’Italicum e la richiesta ai parlamentari del Pd di non presentare emendamenti sulla legge elettorale voluta dal governo.
Prima della riunione il segretario ha in programma un colloquio con Roberto Speranza, che ha già rimesso il mandato di capogruppo a Montecitorio in Direzione e che potrebbe confermare le dimissioni. L’idea di Speranza è che, libero dai vincoli impostigli dal ruolo, potrebbe rafforzare la sua leadership nella minoranza. Però non ha ancora sciolto tutti i nodi e aspetta di parlare con il premier per compiere un passo definitivo. Spera di convincerlo che «la spaccatura del Pd sull’Italicum potrebbe diventare un problema per la segreteria». Ma da quell’orecchio Renzi non ci sente. In compenso ha già fatto sapere al capogruppo che non vuole farlo andare via, nonostante sia uno dei leader della minoranza, ma che a questo punto sta a lui decidere il da farsi.
Per quel che riguarda invece il suo, di programma, il premier è più che sicuro: «Il confronto è durato un anno, il testo della legge è stato modificato, se ora dico che non ci sono margini di manovra non lo faccio per forzare ma perché è arrivato il momento di decidere. Adesso si vota nel gruppo e l’esito di quel voto sarà vincolante per tutti».
Renzi è convinto di avere i numeri. A suo giudizio «la maggioranza sull’Italicum è blindata, anche perché alla stessa minoranza non conviene esasperare i toni». E infatti Renzi dà per scontato che una grossa fetta di quell’area in Aula voterà «sì» alla riforma della legge elettorale: «Una decina voterà contro e qualche altro magari se ne andrà», sostengono nello staff del premier.
Ma gli scrutini segreti rischiano di essere tanti. E segreto sarà, con tutta probabilità, anche il voto finale. Quindi il rischio di possibili imboscate trasversali è sempre dietro l’angolo. Eppure il segretario del Pd è ugualmente convinto che alla fine prevarranno le ragioni della prudenza: «Se la legge non passasse, io non potrei fare altro che trarne le inevitabili conseguenze e salire al Quirinale da Mattarella». Una frase, questa, che il presidente del Consiglio ha ripetuto a diversi interlocutori in questi giorni e che induce alla cautela quanti vogliono evitare lo scioglimento anticipato delle legislatura e l’incognita delle urne.
Quanto alla fiducia, per ora resta uno spauracchio. Agitato più che altro per raffreddare i bollenti spiriti degli oppositori interni, che, per la verità, con il passar delle ore, si stanno facendo sempre più tiepidi. Insomma, la fiducia, in realtà appare assai improbabile, anche se i renziani difendono questo strumento e non accettano le critiche di chi dice che utilizzarlo per l’Italicum sarebbe una forzatura inaudita. Questo il ragionamento che viene opposto alle critiche: «La fiducia è un atto eminentemente politico e che cosa c’è di più politico di una riforma elettorale voluta dal governo?».
Insomma, il premier non lascia più margini di mediazione. Il suo è un «prendere o lasciare», posto in maniera urbana ma molto netta. La minoranza lo ha capito e non si fa troppe illusioni. Ci potrebbe essere una sola apertura, perché lo stesso premier, benché si senta già vincitore anche di questa partita, non vuole strafare. E l’eventuale apertura potrebbe riguardare un altro fronte. Quello della riforma costituzionale che dalla Camera tornerà prossimamente a Palazzo Madama. Lì (anche se la cosa non è stata ancora decisa) potrebbero essere accettate delle modifiche. Ovviamente solo nella parti del testo che sono state cambiate dall’assemblea di Montecitorio, perché ciò che è già passato nella stessa versione sia al Senato che alla Camera non è più emendabile.
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