Leonardo Maugeri, Affari&Finanza – la Repubblica 13/4/2015, 13 aprile 2015
LA SFIDA DEI NUOVI GIACIMENTI IL TESORO NASCOSTO NEL DESERTO
La strada è ancora lunga, ma se l’Iran uscirà dalla lista nera delle nazioni che minacciano l’ordine mondiale e tornerà nel consesso delle nazioni “normali”, l’effetto che potrà avere sul mercato del petrolio sarà dirompente. Il potenziale del paese è enorme, e in parte ha a che vedere con una storia disastrata.
Nella seconda metà degli anni ’70, alla vigilia dello scoppio della rivoluzione islamica, la produzione iraniana di greggio raggiunse i 6 milioni di barili al giorno, e sarebbe potuta crescere ancora se la tempesta interna innescata dall’avvento di Khomeini e dei suoi seguaci, gli otto anni di guerra con l’Iraq e l’isolamento internazionale gravato da ondate successive di sanzioni non avessero fatto regredire il settore petrolifero del paese a uno stato di permanente precarietà. Una regressione solo in parte frenata grazie a una parziale e problematica apertura alle compagnie petrolifere internazionali alla fine degli anni ’90, peraltro bloccata in seguito da nuove sanzioni.
Oggi l’Iran è ben lontano dai fasti di fine anni ’70. Potrebbe meno di 3 milioni di barili e potrebbe arrivare a quasi 4 milioni se avesse piena libertà di esportazione che, invece, gli è negata dalle sanzioni. Ma il potenziale iraniano non risiede soltanto in quel milione di barili al giorno (pari a circa il 60% del consumo di petrolio italiano) che Teheran non può mettere sul mercato. Come in Iraq, la maggior parte dei giacimenti maturi del paese non ha mai visto l’applicazione di tecnologie avanzate che permetterebbero di incrementare notevolmente il tasso di recupero di greggio, inferiore al 20% a fronte di una media mondiale prossima al 35%. Anche le tecniche di gestione delle riserve (il “reservoir management”) sono arretrate. Questo significa che, anche senza la scoperta di nuovi giacimenti, l’Iran potrebbe produrre molto di più se potesse attingere alle migliori competenze e tecnologie disponibili sul mercato internazionale.
Non solo. Negli ultimi quindici anni, l’Iran ha scoperto nuovi giacimenti che ancora attendono di entrare in produzione: in sostanza, tutto il greggio iraniano proviene ancora da vecchi giacimenti scoperti decine e decine di anni fa. Eppure, i piani di sviluppo dei nuovi giacimenti prospettano una produzione incrementale di un milione di barili al giorno. Inoltre, molte analisi geologiche suggeriscono che l’impiego di tecnologie di esplorazione avanzate (di cui il paese non dispone) potrebbero portare ad ancora nuove scoperte.
L’eliminazione di una parte delle sanzioni internazionali, quella che colpisce direttamente il settore petrolifero, consentirebbe a Teheran di raggiungere in poco più di un anno la produzione di 4 mbg, che potrebbe crescere nel tempo fino a sfiorare – nell’arco di un decennio – quella toccata negli anni ’70, grazie a una combinazione di ri-sviluppo di vecchi giacimenti e avvio alla produzione di nuovi.
Questo senza considerare il gas naturale, di cui l’Iran è ricchissimo. La sua produzione attuale di metano supera i 200 miliardi di metri cubi (molto più del doppio del consumo italiano), ma potrebbe crescere esponenzialmente non solo se il paese si aprisse al mondo, ma se potesse contare su adeguate infrastrutture di esportazione, oggi sostanzialmente nulle. Gli ostacoli non mancano. Al di là delle sanzioni, gli investimenti per rilanciare l’intero settore degli idrocarburi ammontano almeno a 200 miliardi di dollari, le formule contrattuali offerte nel passato da Teheran alle compagnie petrolifere sono poco remunerative, la burocrazia “bizantina” del paese è capace di rallentare qualsiasi progetto di sviluppo e renderlo estremamente oneroso.
E’ presto per dire se il primo accordo sulla questione nucleare sfocerà in un’intesa solida e definitiva che consenta all’Iran di riemergere sul piano internazionale. Ed è presto per capire se Teheran sarà davvero in grado di sfruttare una simile opportunità per offrire vantaggi irrinunciabili alle compagnie internazionali, dato che molte forze all’interno del paese non sono così disposte a fare troppe concessioni a imprese e investitori stranieri. Ma non c’è dubbio che un’evoluzione positiva su entrambe i fronti trasformerebbe l’Iran in un Giano Bifronte: un nuovo Eldorado per l’industria petrolifera, ma anche un potenziale incubo per ogni produttore di greggio, costretto a fare i conti con un fantasma che tornerebbe a materializzarsi nel momento peggiore. Quello, cioè, di un mercato già saturo di petrolio e che minaccia di rimanerlo più a lungo di quanto molti si aspettano.