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 2015  aprile 15 Mercoledì calendario

PERISCOPIO

Giorgio Napolitano perde il pelo ma non il monito. Jena. La Stampa.

Esce il libro di Enrico Letta. Postfazione di Matteo Renzi. Spinoza. Il Fatto.

Promemoria per la Santanchè: l’attentatore di Milano guidava la moto e non l’autobus. Il Rompispread. MF.

Ghedini, l’avvocato di Berlusconi, è sospettato di aver corrotto testimoni per conto del suo assistito. Un’accusa degradante visto che, un tempo, gli avvocati di Berlusconi, corrompevano direttamente i giudici. Edelman. Il Fatto.

Tutti pazzi per Toti (e un po’ per La Russa). Incredibile, quel centrodestra che non fa passare giorno senza farsi del male, riesce ad avere ancora un pizzico di popolarità perfino fra le nuove generazioni. Vedere per credere: davanti a Montecitorio un gruppo di ragazzi di una scuola di Milano scorge Giovanni Toti e sembra impazzire: «C’è Toti, c’è Toti...». Tutti corrono e penso che abbiano capito «Totti». Invece no: vogliono un selfie proprio con lui, l’attuale candidato di Forza Italia per la guida della Regione Liguria. Toti si concede felice. Ma i ragazzi sono assatanati: poco più in là vedono Ignazio La Russa e chiedono al cronista di intercedere per loro. Voilà, eccoti il selfie con ’Gnazio che li fa felici. Franco Bechis. Libero.it.

Irene Brin, che sulla Settimana Incom fingeva di essere la Contessa Clara, dovrebbe diventare libro di testo nelle scuole di giornalismo dove si insegna a far gli articoli telefonando a dieci persone a caso, pur di non far lo sforzo di leggere mezza pagina. Alberto Arbasino, Ritratti italiani. Adelphi.

In Italia una bottega del barbiere rischia di essere sottoposta alla stessa disciplina di uno stabilimento dell’Eni nello smaltimento dei proprio rifiuti. Una piccola impresa deve seguire le stesse procedure sulla sicurezza di un’industria siderurgica. Nicola Porro. Il Giornale.

Ratzinger è un professore, un intellettuale, un teologo interessato ai contenuti. Siamo uniti alla ricerca della verità che entrambi crediamo di aver trovato. Abbiamo idee opposte, ma l’approccio è lo stesso. Bergoglio è agli antipodi. Quando Scalfari gli ha posto quesiti concettuali, ha detto: «Lei mi ha fatto tante domande, ma io risponderò ad altro». Forse perché non sapeva come rispondere. Piergiorgio Oddifreddi. Il Fatto quotidiano.

La madre di Gianni Baget Bozzo era una ragazza catalana che lo partorì da nubile, gli diede il proprio cognome, Baget, e morì quando lui aveva appena 5 anni. L’altro cognome lo prese dagli zii Bozzo, che l’avevano adottato. Aveva una scrittura un po’ asfittica. Ma era un vulcano d’idee e dimostrava un’intelligenza decisamente superiore alla media. Ogni tanto si faceva prendere da esaltazioni un po’ infantili, come apparve chiaro quando Silvio Berlusconi, nel decimo anniversario della fondazione di Forza Italia, lesse un articolo di don Gianni nel quale egli attribuiva allo Spirito Santo la discesa in campo del Cavaliere. Quando mi chiamava, era capace di tenermi al telefono una mezz’ora. Al termine non ci avevo capito un cazzo però gli dicevo sempre di sì, perché pochi potevano vantare un fiuto politico più fine del suo. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, I buoni e i cattivi. Marsilio.
Il nudo viene avanti e la sua avanzata è potente e rapida. In molte case si cena nudi; in qualche scuola l’inglese è già insegnato da professori nudi; una Messa nuda, per officiante e devoti nudi, è allo studio alla Congregazione dei Riti. Ci sono proposte perché l’ordine pubblico sia affidato a una polizia nuda. E tutto, da serene inchieste esclusive, viene messo a nudo. Guido Ceronetti, La musa ulcerosa. Rusconi, 1971.

La Scala, nei camerini. Dieci minuti alle venti. Batteva forte il cuore anche a me, che ero solo una spettatrice. Immaginavo, giù nel foyer, l’affollarsi del pubblico frivolo e elegante. Lassù, invece, pareva d’essere nel ventre di una gran nave pronta a salpare. Un altoparlante scandiva la prima chiamata, poi la seconda. Da chissà dove, nei meandri della vecchia Scala, veniva la nota di uno strumento accordato – sola, interrogativa come una domanda. Dagli ascensori vedevi scendere crociati, o i mozzi laceri del vascello fantasma; e, come in un sogno, nessuno se ne meravigliava. Mi commoveva, alla terza chiamata, il correre delle coriste giù per le scale strette, trattenendo con la mano le gonne lunghe, come le dame dei secoli passati. Era così femminile e aggraziato quel gesto, e l’ondeggiare vaporoso delle gonne fruscianti. Poi, era l’ora, e io ormai ero in sala. Il pesante velluto del sipario si alzava, e mi pareva il diaframma fra la Milano vera e quel sogno splendente. Quelle coriste, molte almeno, saranno anziane ormai, le belle voci asciugate dalla vecchiaia. Mi ricordo che in un abbaino cieco una di loro aveva dipinto una finestra, col cielo azzurro, e un sole splendente. Lo vedo ancora quel sole, giallo oro come un girasole, nel grigiore di questa gentile pioggia di aprile. Marina Corradi. Tempi.

La sensazione del tempo che passa non è in noi. Esso viene dal di fuori, dai bambini che diventano grandi, dai vicini che partono, dalla gente che invecchia e muore. Dalle drogherie che chiudono e sono rimpiazzate da delle autoscuole e da dei riparatori di televisioni. Dal bancone dei formaggi che viene trasferito (e nascosto) in fondo al supermercato. Annie Ernaux, La vie extèrieure. Folio.

Traversai un piccolo giardino dove l’aria aveva un profumo dolce che scendeva dai fiori di glicine e c’era uno stridio intenso, d’arrotino; erano uccelli, invece, che roteavano folli, smerigliando tutto il cielo. Valerio Neri. Anna e il meccanico. Marsilio. 2005.

Rispondeva al telefono solo se erano donne. «Da me», diceva, «gli uomini non vogliono che soldi». Nantas Salvalaggio, Un uomo di carta. Rizzoli, 1968.

Fu introdotto don Corpi, che si tolse adagio il cappello: con un gesto prelatizio. Era un bel prete, alto e massiccio, con qualche rado fil bianco appena appena tra i capelli corvini, con due occhioni da gufo molto vicini al naso; il quale, in immagine, in mezzo a loro, non potè non adeguarsi a becco. Decorosamente inguainato nella veste, reggeva dalla manca, inzieme cor cappello novo, una busta de cuoio nero de quelle che cianno certe vorte li preti, p’annà da l’avvocati a faje capì la ragione, de chi è. Du scarpe nere, lustre lustre, lunghe e forti, bone da camminà su l’Avetino, oltreché sul Celio, a sòla doppia. Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Garzanti, 1957.

Non ho abbastanza tempo per perderne altro. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 15/4/2015