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 2015  aprile 15 Mercoledì calendario

CRISI FINITA, DICE RENZI. MA L’ENNESIMO CALO DEI PRESTITI E IL LIVELLO RECORD DELLE SOFFERENZE BANCARIE LO SMENTISCONO

Cercare sul fronte delle banche qualche conferma sulla presunta ripresa economica, è come cercare l’acqua nel Sahara. Nonostante la Bce di Mario Draghi stia inondando il sistema bancario europeo di liquidità (60 miliardi al mese), le banche italiane hanno sempre il braccino corto. L’ultimo Bollettino della Banca d’Italia ha registrato l’ennesimo calo dei prestiti alle famiglie e alle imprese: meno 2% in febbraio, dopo il meno 1,8% in gennaio. Un crollo che dura da anni, benché i tassi d’interesse siano ormai su valori molto bassi: i mutui per l’acquisto della casa, comprensivi delle spese accessorie, in teoria si potrebbero ottenere al 3,01% d’interesse. Ma ben poche banche li concedono, gravate come sono da una montagna di crediti incagliati o inesigibili.
Stando al Bollettino della Banca d’Italia, le sofferenze bancarie hanno raggiunto in febbraio i 187 miliardi di euro, pari all’11,6% del pil. Un livello preoccupante per la tenuta dell’intero sistema, per di più in continuo aumento: a novembre 2011, quando il governo di Mario Monti varò il cosiddetto decreto “Salva Italia”, le sofferenze bancarie erano pari al 6,1% del pil, la metà di oggi. E nonostante l’ottimismo pre-elettorale di Matteo Renzi (“La crisi è finita, basta sacrifici”), nulla induce a prevedere che la situazione possa migliorare a breve.
Come ha spiegato Paolo Savona su questo giornale, l’austerità europea imposta da Berlino continua a comprimere i consumi, mentre la politica della Bce di Draghi favorisce un modello trainato dall’export, e non anche dai consumi, men che meno dall’edilizia e dalle grandi infrastrutture, che in passato sono sempre stati un motore potente per l’economia italiana, capace di trainare altri settori di attività, dagli elettrodomestici ai mobili, dai prodotti per l’edilizia a quelli elettrici. Tutti questi settori potranno riprendersi soltanto quando le banche torneranno a prestare soldi alle imprese, soprattutto a quelle piccole e medie. Ma che questo punto di svolta sia dietro l’angolo, sono le stesse banche ad escluderlo.
Uno studio Abi-Cerved, postato da pochi giorni sul sito dell’Abi, osserva che lo stock delle sofferenze bancarie è, non solo quadruplicato rispetto ai 43 miliardi del 2008 (inizio della crisi), ma non ha alcuna probabilità di ridursi nei prossimi mesi, tanto che nel 2016 – prevede l’Abi - il tasso d’ingresso in sofferenza si attesterà al 3% delle società non finanziarie prenditrici di un prestito, con un lieve calo rispetto al 3,7% attuale. Un miglioramento più apparente che reale, visto che ad entrare in sofferenza non saranno più solo le società piccole, come è avvenuto finora, ma anche quelle medio-grandi. Per inciso: le società non finanziarie sono quelle che hanno accumulato il grosso delle sofferenze, con 130,8 miliardi sul totale di 187.
L’enorme livello delle sofferenze, unito alle perdite registrate nel 2014 dai 13 maggiori istituti bancari (6,3 miliardi), avevano alimentato nei mesi scorsi l’ipotesi di una «Bad bank» pubblica, promossa dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, in cui fare confluire i crediti incagliati e restituire così una maggiore agibilità al sistema bancario. La «Bad bank» avrebbe poi provveduto a cartolarizzare i crediti incagliati, mediante titoli che il Tesoro pensava di poter cedere alla Bce di Draghi nell’ambito del quantitative easing. Ma poiché l’ipotesi si è rapidamente incagliata, in quanto sospettata di sconfinare negli aiuti di Stato, vietati dall’Europa, e poiché le due maggiori banche (Intesa e Unicredit) la «Bad bank» se la sono già fatta in casa propria, sarebbero ora allo studio del governo misure di vario tipo, per lo più fiscali, per rendere in qualche modo possibile la cessione dei crediti incagliati.
Inutile dire che questa ipotesi ha già messo sul chi vive le associazioni dei consumatori, che si lamentano in coro: «Per le pensioni e la sanità i soldi non si trovano mai, mentre per salvare le banche ci sono sempre, ovviamente a spese nostre». Insomma, una partita politicamente difficile, che Renzi e Padoan dovranno prima o poi affrontare, quanto meno per evitare che i prossimi stress test della Bce colpiscano le banche italiane più duramente dell’ultima volta.
Draghi ha già detto che in futuro i fallimenti bancari sono da mettere in conto in tutta l’eurozona. Il che, a giudizio di Angelo Baglioni, docente di economia alla Cattolica di Milano, avrebbe dovuto stimolare la Banca d’Italia a studiare a fondo, con il proprio Servizio studi, i problemi connessi alla «vigilanza prudenziale» e i metodi usati dalla Bce negli stress test, per verificare se è vero che quelli usati finora hanno avvantaggiato le banche tedesche e francesi, e svantaggiato quelle italiane. Ma, scrive Baglioni su lavoce.info, scorrendo la lunga lista dei Workink papers e degli Occasional papers prodotti dalla Banca d’Italia, «si ha l’impressione che manchi una focalizzazione sul tema della vigilanza, che pure rappresenta il core business della banca centrale, insieme alla politica monetaria, mentre non vengono lesinate risorse per ricerche sui temi più svariati, per esempio sulla lettura dei bambini». Un tema interessante, quest’ultimo, ma a dir poco estraneo ai compiti di una banca centrale.
Tino Oldani, ItaliaOggi 15/4/2015