Lorenzo Cazzaniga, SportWeek 11/4/2015, 11 aprile 2015
DARÒ RAGIONE A FEDERER
[Simone Bolelli]
Come moglie ha una bellissima modella sudamericana, Ximena, vive in un appartamento a Monte Carlo a due passi dalla spiaggia e in carriera ha guadagnato 3,5 milioni di dollari in soli montepremi. Detta così, la vita di Simone Bolelli, 29 anni da Budrio, provincia di Bologna, sembra un paradiso. Invece, per guadagnarsela (non solo Ximena...) ha dovuto superare tanti ostacoli: dalla querelle con la Fit nel 2008 con la minaccia di non giocare più la Coppa Davis all’infortunio al polso che l’ha tenuto lontano dai campi per 6 mesi nel 2013.
Il tutto mentre tanti lo indicavano come il messia del nostro tennis. A buttarla lì, aveva cominciato addirittura Roger Federer: «Per come gioca a tennis potrebbe stare nei primi 10 del mondo». Bolelli l’ha sentito ripetere da coach, addetti ai lavori e semplici appassionati, ammirati da una capacità esecutiva con pochi paragoni.
Ma forse la sua storia serve a dar ragione a uno che la vetta del ranking mondiale l’ha davvero raggiunta, Juan Carlos Ferrero: «Il tennis è un gioco mentale per il 50%, fisico per il 45% e tecnico per il 5%». Ecco, Bolelli è sempre stato accusato di essere troppo lento e troppo buono per arrivare in alto, dove servono sprint e cattiveria. Solo l’anno scorso, dopo l’infortunio al polso, è tornato tennista a tutti gli effetti, risorto dopo un calvario durato ben più di tre giorni. E con la maturata convinzione che Roger Federer potesse anche aver ragione.
Quando ha capito che sarebbe tornato ad alti livelli?
«Già l’anno scorso mi sentivo molto bene, perché l’obiettivo era tornare nei top 100 e ci sono riuscito in cinque mesi. Chiudere nei top 50 mi ha dato fiducia e convinzione di poter superare certi limiti».
Qual è stato il momento di maggior frustrazione?
«Quando tutti mi dicevano che non avevo niente e invece io sentivo un male pazzesco al polso. Non capivo cosa stesse succedendo ed è la sensazione peggiore per uno sportivo che vive del suo fisico. Superata la riabilitazione, invece, sono sempre stato molto tranquillo, non mi sono messo pressione. Certo, aver conquistato subito qualche buon risultato ha molto aiutato. Il doppio vinto in Coppa Davis contro l’Argentina è stato fondamentale in termini di fiducia».
Chi l’ha aiutata in particolare?
«È stato un lavoro di squadra: dall’anno scorso mi accompagnano nei tornei Giancarlo Petrazzuolo, che mi dà tranquillità, e il preparatore Carlo Ragazzi, fondamentale per la mia ripresa atletica. Però devo ringraziare soprattutto Eduardo Infantino, il responsabile del settore tecnico nazionale: mi ha preso che ero distrutto e mi ha letteralmente rivitalizzato».
Come?
«Mi ha sfondato! Sono andato da lui in Argentina e ha rivoluzionato il mio modo di lavorare, correre, colpire. Mi ha limato tutti i colpi e mi ha migliorato gli spostamenti, le giocate, l’aspetto tattico».
Ma allora è vero che in Argentina c’è una mentalità migliore?
«Lavorano molto duro: cominciavo alle 7 del mattino e finivo alle 9 di sera. I primi giorni sono un inferno, poi quando prendi il ritmo ti senti un toro».
Quali differenze ha ritrovato nel circuito prò?
«I top player son sempre quelli, ma dietro il livello medio si è molto alzato. Il gioco è diventato ancora più veloce e la condizione atletica è fondamentale. Io non mi muovevo benissimo ma ora ho imparato a correre verso il dritto e a difendermi meglio dal lato del rovescio: per riuscirci ho lavorato tantissimo in campo».
Con Fabio Fognini ha vinto l’Australian Open in doppio: quanto aiuta questa specialità?
«A parte il lato economico, che non è da sottovalutare, vincere aiuta a vincere. La priorità rimangono i tornei di singolare, ma abbiamo cominciato benissimo la stagione e probabilmente ci qualificheremo per il Masters. Ma il doppio deve rimanere un bonus. Sia io sia Fabio non pensiamo certo di trascurare il singolare per il doppio».
Pure Federer disse che aveva un tennis da top 10: che effetto fa sentirselo ripetere di continuo, senza ancora esserci mai arrivato?
«Per adesso è un traguardo che vedo ancora molto lontano. L’obiettivo a lungo termine è arrivare lì o comunque nei dintorni, ma senza mettermi pressione. Per prima cosa devo migliorare il mio gioco, il resto si vedrà».
Lei, Fognini e Seppi siete amici ma lottate anche per il primo posto del ranking italiano: è un obiettivo che interessa e c’è un po’ di rivalità in questo senso?
«Essere vicini nel ranking è una situazione che fa gioco a tutti e tre, è uno stimolo a livello agonistico. Prendi gli australiani: è esploso Kyrgios e, guarda caso, si è svegliato anche Tomic ed è cresciuto Kokkinakis. Però a livello personale non ci sono gelosie: sono contento se Andreas vince, contentissimo se ci riesce Fabio».
A proposito di giovani: i nostri sono ancora così lontani dal livello mostrato da tanti loro coetanei?
«A livello internazionale posso dire che Kyrgios è fortissimo e gioca un gran bel tennis, che Kokkinakis è buon giocatore ma non dello stesso livello, che Coric è un gran lottatore ma a livello tecnico non mi fa impazzire, che Zverev serve benissimo e potrà diventare molto forte e che i nostri hanno un certo potenziale ma per adesso sono ancora piuttosto indietro rispetto a questi altri».
Arriva la terra battuta, la sua superficie meno amata, ma anche il torneo di Monte Carlo.
«Che invece è uno dei miei tornei preferiti, non fosse altro che posso dormire a casa! Vivo a Monaco da quattro anni e mi piace un sacco perché non c’è il caos di una grande città, in scooter mi muovo senza problemi, non c’è criminalità: è un luogo dove ricarico bene le energie dopo una lunga trasferta. Il torneo è super organizzato, i campi sono bellissimi e la location... va beh, che gli vuoi dire, giochi di fronte al mare!».Ma com’è vivere a Monte Carlo?
«Puoi fare una vita molto mondana o molto tranquilla: io sono per la seconda e fortunatamente mia moglie la pensa come me! Cine e ristoranti: da Planet Sushi al porto, da Pino per la pizza. E la pasta... almeno quella ce la cuciniamo in casa».
Si è sposato giovane: com’è la vita matrimoniale?
«Bella, perché abbiamo le stesse abitudini e gli stessi interessi che sono fondamentali per stare bene insieme. Per esempio, se lei volesse andare in discoteca sarebbe dura: io non ce la faccio più a fare le 3 del mattino! Viviamo alla grande in tre: io, Ximena e Chichi, il nostro inseparabile cagnolino».
Frequenta altri giocatori che risiedono per vari motivi nel Principato?
«Djokovic torna spesso a Monte Carlo, altri so che hanno preso la residenza ma non è che li abbia visti molto...».
Quanto sono importanti i soldi?
«Il tennis è uno sport individuale dove guadagni tanto ma spendi anche parecchio, quindi una certa sicurezza economica è fondamentale perché ti permette di investire in allenatore, sede di allenamenti, fisioterapista, eccetera».
E magari di finire la carriera senza dover più lavorare...
«Per quello, di soldi, bisogna averne fatti veramente tanti! Chiaro, l’obiettivo è guadagnare il più possibile, ma qualcosa farò perché non mi ci vedo a stare in spiaggia tutto il giorno. Magari mi riposo per un annetto, poi si ricomincia...».
Anni fa è stato coinvolto in una spiacevole polemica con la Federazione riguardo a una convocazione in Coppa Davis. Polemica che a giudizio di alcuni l’ha danneggiata notevolmente: crede che la sua carriera avrebbe preso una piega diversa senza quella querelle?
«Non credo abbia influito così tanto. È stato un episodio negativo e certamente antipatico al quale ormai non penso più, ma non penso proprio che mi abbia cambiato la carriera. Che spero invece di far svoltare adesso: l’impegno, la dedizione e la convinzione non mancano e il primo obiettivo è migliorare il mio miglior piazzamento nel ranking, quel numero 36 raggiunto nel 2009. Ci credo e lavoro per questo».