Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 15 Mercoledì calendario

Ulivi per Sette – È allarme per la xylella fastidiosa, un batterio che attacca gli ulivi e li secca

Ulivi per Sette – È allarme per la xylella fastidiosa, un batterio che attacca gli ulivi e li secca. È attivissima in Puglia da settembre 2013. Ora si calcola che siano almeno un milione le piante già infette. La xylella muta di continuo e nei laboratori del Cnr di Bari non sono ancora riusciti a capire di quale variante genetica si tratti. Viaggia su una cicala, chiamata sputacchina perché lascia un grumo di saliva sulla pianta. Tutte le altre regioni produttrici di olio sono in allerta. La procura di Lecce indaga sull’origine del batterio. Due ipotesi: una riguarda un workshop del 2010 all’Istituto agronomico mediterraneo (Iam) di Valenzano, in provincia di Bari. Quella volta, per motivi scientifici, fu autorizzata l’introduzione nel nostro Paese di germi patogeni a scopo di sperimentazione: si studiavano alcune malattie delle piante fra le quali anche quelle di cui è responsabile la xylella. Purtroppo, però, non si possono fare perquisizioni e controlli nella sede dello Iam, perché l’autorità giudiziaria italiana non può violare il domicilio dell’istituto, non può effettuare sequestri, perquisizioni o confische. La seconda ipotesi, invece, dice che a introdurre il batterio sono state le piante ornamentali importate dall’Olanda (oleandri, ciliegi, mandorli). Questo spiegherebbe perché i primi focolai dell’infezione sono stati a Gallipoli che è una delle città pugliesi che importa piante ornamentali olandesi. Secondo alcuni (tra cui Sabina Guzzanti), la xylella è stata introdotta da quelli della Monsanto, la quale vuole sostituire gli ulivi pugliesi con quelli ogm. In Italia l’olivo è presente coltivato tutte le regioni tranne Valle d’Aosta e Piemonte. Dei 180 milioni di ulivi italiani un terzo è concentrato in Puglia. «La Puglia senza ulivi sarebbe coma Roma senza la Cappella Sistina» (Al Bano). L’Italia produce circa 5 milioni di quintali di olio d’oliva, due terzi dei quali extravergine. Tre quarti dell’olio d’oliva viene prodotto nell’Unione europea. Il 62% è spagnolo, il 20% italiano, il 14% greco, 3% portoghese. In Italia, l’88% dell’olio di oliva è prodotto al sud (Puglia, Calabria, Sicilia, Campania). Olivo, in botanica Olea europaea. La ricercatrice Catherine Breton è convinta che derivi da undici diverse specie di piante diffuse intorno al Mediterraneo. La pianta comincia a fruttificare intorno al terzo anno. È pienamente produttiva a dieci anni. In condizioni climatiche favorevoli vive millenni. Olivi millenari si trovano a Borgagne (Salento), Palombara Sabina (Roma), Santo Baltolu di Carana (Olbia), eccetera. Già dodici milioni di anni fa sulle coste del Mediterraneo esistevano molte varietà di alberi del genere Olea. Settemila anni fa, dopo la creazione dei primi villaggi di agricoltori, l’uomo iniziò a selezionare le piante che conosciamo oggi. Probabilmente ebbero il loro habitat originario in Siria. Da lì fu facile il trapianto in Grecia, e quindi del Mediterraneo. Sulle coste dell’attuale Israele sono state trovati resti dell’olio più antico che si conosca, estratto oltre seimila anni fa dai frutti di olivi selvatici. Negli anni Ottanta una campagna archeologica scoprì a Tel Mique Akron, non lontano da Tel Aviv, un enorme impianto per la lavorazione delle olive con quasi 100 presse e macine. In questa centrale venivano schiacciate le olive mediante pietre tondeggianti, mentre sulle due laterali, venivano accatastati dischi riempiti di pasta oleosa e, successivamente pressati da torchi. Nella Bibbia l’ulivo è citato circa settanta volte. Christos vuol dire unto. Era d’olivo il gigantesco tronco usato da Ulisse per accecare Polifemo. D’olivo il letto che lo stesso costruì per sé e Penelope, simbolo di unione duratura. Nell’antica Grecia l’ulivo era considerato pianta sacra al punto che chiunque fosse sorpreso a danneggiarlo veniva punito con l’esilio. Persino gli Spartani, nel saccheggio di Atene, li risparmiarono, temendo la vendetta degli dei. Il legislatore spartano Licurgo abolì ogni fasto alle cerimonie funebri, stabilendo di adagiare i cadaveri sopra foglie di olivo e di alloro, per alludere alle vittoria riportata dal defunto sulle miserie della vita. I vincitori delle Olimpiadi ateniesi erano incoronati con un serto di fronde di olivo e un’ampolla d’olio. Coroncine di ulivo anche nell’antica Roma, per decorare il capo dei cittadini più valorosi. Gli antichi greci credevano che il primo ulivo fosse nato dalla lancia della stessa Atena. Secondo la leggenda, Romolo e Remo vennero alla luce sotto un ulivo. Tra gli antichi Romani, all’alba delle Calende, due fanciulli entravano nelle case con ramoscelli d’olivo per augurare abbondanza di figli, porcellini e agnelli. Narra lo storico Polibio che la battaglia sul fiume Tebbia (218 a.C.) fu vinta dai Cartaginesi contro i Romani, perché gli africani prima dello scontro che si svolse in una giornata invernale, si erano protetti con l’olio, mentre i romani no. I Romani distinguevano: “Oleum ex albis ulivis”, di altissimo pregio ottenuto da olive di colore verde; “Oleum viride“, ricavato da olive di maturazione incipiente; “Oleum maturum“, quello ottenuto invece da olive nere, di qualità inferiore ai primi due; “Oleum caducum“, estratto da olive raccolte a terra; “Oleum cibarium“, di pessima qualità, ottenuto da olive aggredite da parassiti e destinato in parte all’alimentazione degli schiavi. A Roma capitale dell’Impero ogni anno giungevano 321mila anfore contenenti 224mila quintali di olio. Frammenti di anfore olearie (non riutilizzabili per la facile e rapida alterazione dei residui) usate per il trasporto dell’olio a Roma hanno formato una collina artificiale, chiamata Monte Testaccio. È alto 49 metri, con una circonferenza di un chilometro e una superficie di 22mila metri quadrati. Gli olii provenienti da Spagna e Africa, dai sapori troppo forti, dai Romani erano usati soprattutto per l’illuminazione. Secondo l’Inran (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti) bere infuso di foglie di ulivo abbassa la pressione. L’infuso si prepara con 20 grammi di figlie in mezzo litro di acqua. Assumerne tre tazze al dì, prima dei pasti. Di moda abbinare a ogni portata un olio d’oliva diverso: fragrante sulle insalate, robusto sui fagioli, aromatizzato sugli antipasti di mare. Per ottenere olio pregiato, le olive devono essere lavorate a temperatura ambiente entro sei ore dalla raccolta e macinate a freddo con pietre di granito. Azioni dei degustatori di olio: lo osservano controluce, agitano in un’ampolla, annusano, scaldano con il palmo della mano, ne aspirano una piccola quantità «con una suzione prima lenta, poi più vigorosa». Per degustare appieno un olio non si deve aver fumato nella mezz’ora precedente l’assaggio e occorre essere digiuni da almeno un’ora.