Alberto Orioli, Il Sole 24 Ore 15/4/2015, 15 aprile 2015
IL BONUS CATTIVO E IL BONUS BUONO
C’è bonus e bonus. Quello concreto, di sostegno al settore del mobile-arredo, lustro di un made in Italy in piena celebrazione dei suoi fasti in una Milano trasformata in capitale di un mix irripetibile al mondo tra tecnologia, design e manifattura. E quello impalpabile, nato dai computi cartolari di un differenziale tra il previsto e l’atteso, tutta da rendere effettiva oltre quel tratto di penna che alza o abbassa un dato stimato di Pil e di deficit.
E c’è Renzi e Renzi. Il primo che annuncia, e fa bene, la conferma e l’estensione della dote (produttiva) destinata al settore dell’arredo. Il secondo che ammicca, e fa male, al “tesoretto” scoperto nelle celebri pieghe del bilancio.
Il cosiddetto bonus mobili ha un effetto-leva cospicuo: a fronte di uno sconto Irpef di 41,5 milioni l’anno si mobilitano acquisti per 3,5 miliardi in due anni e mezzo e incassi Iva immediati per lo Stato per oltre 70 milioni, oltre all’Irap e all’Ires. È un modo concreto per fare politica industriale.
Il bonus-deficit, invece, ha solo un effetto-annuncio e rischia di moltiplicare la lista di quanti, in un Paese prostrato da una crisi mai conosciuta prima d’ora, ritengono – e sono legittimamente moltissimi – di vantare un credito, di meritare un’attenzione, di avere diritto a un risarcimento a una prebenda, a un lenitivo economico, a una sussistenza, a un assegno, una mancia, una qualunque.
Ciò accresce aspettative pulviscolari e parziali di un’Italia dei piccoli e grandi egoismi, da sempre concentrati a guardare il proprio ombelico. Quanto di più distante da un’idea di bene comune, soprattutto perché si tratterebbe di una spesa in deficit e non – qualora effettivamente esistessero – di risorse vere.
Non sarebbe la prima volta che, per questo vizio antico, l’Italia spreca le buone occasioni e non riesce (o non sa) sfruttare al meglio il vento favorevole.
Se mai avessimo avuto bisogno di un’ulteriore conferma di quale sia il problema macroeconomico dell’Italia l’Ocse ha provveduto a rammentarcelo: il peso del cuneo fiscale, già alto, addirittura in crescita nel 2014. Siamo sesti nella classifica Ocse per peso di oneri fiscali e contributivi su un salario medio per chi non abbia carichi familiari e diventiamo quarti se esistono figli a carico. La Germania in teoria sta peggio di noi e la Francia vive una situazione simile alla nostra, ma l’Ocse non calcola la quota di Tfr, i premi Inail e il peso dell’Irap che ci portano saldamente in vetta alla classifica, purtroppo. Ma ciò che qui rileva è che quel dato, già grave, è in crescita.
Il tema italiano è questo da anni: la riduzione dei carichi fiscali su lavoro e imprese per liberare energie da destinare agli investimenti, all’occupazione e, quindi, al reddito e ai consumi. Il peso fiscale è abnorme sulla parte onesta dei contribuenti, che paga il sovrappiù dell’evasione da record e spesso ha in cambio servizi non all’altezza. Ed è un bene aver avviato la stagione di riforme che ha intaccato l’Irap e ha portato alla decontribuzione.
Rispetto al passato, però, va gestita una fase nuova: quella del passaggio da una fase considerata finora emergenziale dell’alleggerimento fiscale e parafiscale previsto dalla legge di stabilità a una riduzione degli oneri duratura e stabilizzata per il futuro. Per l’Irap discorso analogo: va esteso il mini taglio previsto nella legge di stabilità e va cambiato il quadro generale del finanziamento alla sanità.
Sono già incerte le coperture dei bonus per le assunzioni a tempo indeterminato e, per paradosso, tanto più saranno incerte quanto più l’economia darà fiato a una ripresa sempre più robusta.
E avvolte in una nebbia fitta appaiono le coperture affidate ai 5,2 miliardi di tagli in capo a regioni ed enti locali il cui prologo è già stato quello di un conflitto difficile da redimere. A fronte dell’incertezza sui tagli c’è però la certezza _ ce lo dice sempre l’Ocse _ che sono proprio le addizionali locali ad avere appesantito ancora di più il costo del lavoro nel 2014.
Se la politica sta organizzando uno scaricabarile sulla responsabilità fiscale tra centro e periferia, il risultato per il cittadino-contribuente non cambia e rischia di peggiorare. E sperare che il cittadino-elettore non lo capisca è illusorio. Anzi, è offensivo.