Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 12/4/2015, 12 aprile 2015
VULCANI
Esattamente 200 anni fa, nell’aprile 1815, il vulcano del monte Tambora nell’isola indonesiana di Sumbawa si risvegliò da un sonno secolare. Si trattò della più disastrosa eruzione a memoria d’uomo, e rimane tuttora quella con le conseguenze più disastrose. Lo spettacolo iniziò il 5 aprile con una scarica di boati che furono uditi fino a Sumatra, a una distanza di 2500 chilometri, e scambiati per scariche di fucile. Il 10 aprile l’attività esplosiva raggiunse il massimo. Tre colonne di fiamme si alzarono in cielo, fondendosi tra loro, e la montagna fu sommersa dal magma incandescente. Cadde una grandinata di pietre pomice del diametro di 20 centimetri, seguita da una pioggia di cenere. L’atmosfera si impregnò di odore sulfureo, e per una settimana una zona di 1300 chilometri di raggio fu coperta da una hard rain degna del primo Bob Dylan. Almeno 70.000 persone morirono subito. Nella primavera e nell’estate del 1815 il Sole fu oscurato e arrossato da una nebbia estesa fino agli Stati Uniti. Il 1816 viene ricordato come “un anno senza estate”. E per due o tre anni i mutamenti climatici provocarono carestie ed epidemie dall’India all’Irlanda. Al confronto l’eruzione islandese del 2011 che fermò i voli aerei per qualche giorno non fu che un pallido memento.