Varie, 14 aprile 2015
Cinecittà per Sette - Ha scritto il “New York Times” in prima pagina: «Hollywood ancora una volta torna a Cinecittà grazie ai benefici fiscali per le produzioni straniere voluti dal governo italiano»
Cinecittà per Sette - Ha scritto il “New York Times” in prima pagina: «Hollywood ancora una volta torna a Cinecittà grazie ai benefici fiscali per le produzioni straniere voluti dal governo italiano». A Cinecittà si sta lavorando a Ben Hur e Zoolander 2. A Roma sono state girate scene dell’ultimo James Bond e un remake della Dolce Vita. «Quando mi chiedono dove vorrei vivere, a Londra, New York... io penso sempre che vorrei vivere a Cinecittà» (Federico Fellini). Il 26 settembre 1935, in via Veio a Roma, finisce distrutta dal fuoco la Cines, società di produzione cinematografica. Il regio decreto-legge 172 del 3 gennaio 1936 stabilisce la creazione di un «centro industriale cinematografico». Lo Stato ci investe i primi 4 milioni. Il governatore di Roma Giuseppe Bottai espropria l’area fabbricabile «per cause di pubblica utilità». Il 26 gennaio 1936 iniziano i lavori di costruzione di Cinecittà. L’idea di costruire la città del cinema è di Luigi Freddi, capo della Direzione Generale per la Cinematografia. L’ingegner Carlo Roncoroni e l’architetto Gino Peressutti si occupano del progetto. L’opera viene ultimata in 457 giorni di lavoro. Il 28 aprile del 1937 Mussolini la inaugura. Cinecittà è un complesso di edifici e strutture su un’area di 40 ettari; 22 i teatri di posa di dimensione variabile da 450 metri quadrati fino ai 3.200 del teatro 5, che è il più grande d’Europa ed è stato il regno di Fellini: alto 14 metri, ha anche una piscina interna di 400 mq. Ogni teatro dispone di camerini, uffici, sale trucco, attrezzerie, magazzini. Sono inoltre disponibili strutture tecniche per la post produzione e laboratori per l’allestimento delle strutture sceniche. A Cinecittà sono stati girati più di 3.000 film, 90 dei quali hanno ricevuto una candidatura all’Oscar e 47 lo hanno vinto. Si racconta che il primo lungometraggio (1937) girato negli studi sia stato L’allegro cantante, di Gennaro Righelli. Nel 1940 a Cinecittà si producevano già 48 film, nel 1942 59. Nel 1943 25. In quell’anno furono licenziati circa 1.200 dipendenti. Mussolini ammiratore di Angelo Musco (che anche D’Annunzio considerava «maestro di riso»). Nell’ottobre 1922 gli aveva scritto: «Caro ed illustre Musco, vi mando, nella tem che vi sia sfuggito, questo ritaglio dell’ultimo numero della Revue des deux Mondes che si occupa di voi e dell’arte vostra, che io seguo e ammiro da tempo. Cordialità viva dal vostro Mussolini». Più tardi gli mandò una foto con questo autografo: «Al grande Musco che prodiga ampie parentesi di gioia agli uomini grigi di quest’età del ferro. Con ammirazione profonda». Nel primo periodo a Cinecittà si producevano tanti film musicali. Tra questi Giuseppe Verdi, di Carmine Gallone. Ricorda l’attore Fosco Giachetti: «Allora non c’era orario, come oggi. Non si lavorava sei o sette ore. Si andava avanti fino alle tre o alle quattro del mattino. Le epoche della storia erano diverse: ed io, a seconda del piano di lavorazione, che non rispetta la sequenza cronologica, dovevo staccare e riattaccare la barba tre o quattro volte lo stesso giorno. Un vero tormento!». Nel 1942 tra i responsabili dei film realizzati a Cinecittà c’erano Visconti, Rossellini, Blasetti, Mario Camerini, Soldati, Castellani, Zampa. María Mercader così richiesta che, nel 1941, partecipò a 11 film girati a Cinecittà. Spesso entrava e usciva in più teatri di posa nello stesso giorno, per recitare contemporaneamente in due pellicole. Quando i tedeschi occuparono la Francia e misero in piedi la società cinematografica Continental, Cinecittà acquistò parte delle azioni degli studi cinematografici di Nizza. Ciò piacque ad alcuni funzionari francesi, che vi vedevano la possibilità di salvare maestranze e industria francesi. Luigi Freddi, presidente di Cinecittà e uno dei principali artefici di questa operazione, disse di aver fatto lavorare lì anche italiani e fuggiaschi ebrei. L’uso dei telefoni bianchi nelle commmedie brillanti di Cinecittà dopo la guerra si deve a Gastone Medin, arredatore e scenografo. Una volta Emilio Cecchi, cercando Gastone Medin per affidargli un lavoro, si rivolse alla segretaria dicendo: «Chiamatemi quello dei telefoni bianchi». Virgilio Marchi, scenografo a Cinecittà, era stato anche lo scenografo di Luigi Pirandello e del suo Teatro d’Arte. Charlie Chaplin uscì in lacrime dalla proiezione di Umberto D. Rita Hayworth che usciva dal suo hotel in via Veneto con un abito attillato e scollato di seta celeste. Tazio Secchiaroli che si vantava di avere una foto di Ava Gardner che faceva la doccia nuda, salvo poi scoprire che si trattava della sua controfigura. Ben Hur girato a Cinecittà nel 1958, costato 20 milioni di dollari. Incassò tre volte tanto. Oscar vinti: 11. Sembra che le scene del circo e della corsa delle quadrighe non siano state girate dal regista, William Wyler, ma da Andrew Marton. Le scene di battaglia di Guerra e pace di King Vidor furono in realtà dirette da Mario Soldati. Cleopatra con Elizabeth Taylor e Richard Burton costò 37 milioni di dollari. Vinse solo 5 Oscar. Leggendario il camerino di Elizabeth Taylor a Cinecittà, composto da cinque saloni, con pareti drappeggiate, mobili antichi e quadri d’autore. C’era la cucina con cuoco, una dama di compagnia, una guardia per la vigilanza notturna. Ma l’attrice non abitava lì: la usava solo per truccarsi e vestirsi. L’amore tra Liz Taylor e Richard Burton sul set di Cleopatra, secondo la leggenda intuìto per la prima volta da un elettricista di Cinecittà insospettito da un bacio di scena che non finiva mai. La Taylor era affascinata dai set splendidi e fastosi di Cinecittà. Quando Mervyn LeRoy ci aveva girato Quo Vadis? aveva preteso di partecipare come comparsa, vestita con una tunica romana. Quel giorno che Sofia Loren (allora ancora Lazzaro) e la mamma arrivarono a Cinecittà dove Mervyn LeRoy stava girando Quo Vadis? con Peter Ustinov, Robert Taylor e Deborah Kerr. La mamma di Sofia, valigia in mano, superò lo sbarramento delle guardie, si presentò davanti al regista e gli urlò: «L’inglese non lo sappiamo, ma ce murimmo e famme, e questo you understand...». Furono prese come comparse. Gina Lollobrigida in Venere imperiale impersonava Paolina Bonaparte. Quando usciva dal teatro di posa di Cinecittà, spesso incrociava Elizabeth Taylor in costume da Cleopatra: «Ci salutavamo, ed era come se due importanti figure storiche rivivessero il loro glorioso passato in quei viali favolosi». Tra i registi più prolifici di Cinecittà ci fu Carlo Ludovico Bragaglia. In un solo anno (1942) riuscì a dirigere cinque film: Se io fossi onesto, La guardia del corpo, Non ti pago!, Casanova farebbe così, Fuga a due voci. A Cinecittà Bragaglia arrivò a dirigere, nel 1952, due film contemporaneamente: A fil di spada e Il segreto delle tre punte. Ciò accadde per via della lentezza di Jean Renoir, che allora dirigeva La carrozza d’oro. Andava avanti così lentamente da esasperare il produttore, il quale, per ottimizzare i costi, affidò a Bragaglia A fil di spada da girare nelle stesse scenografie. L’italiano, con la sua proverbiale sveltezza, riuscì a finire prima di Renoir. Allora il produttore, di nuovo esasperato dal fatto che il francese non avesse ancora finito, decise di affidare a Bragaglia un terzo film: Il segreto delle tre punte, usufruendo ancora delle stesse scene e costumi. Tra gli attori che più lavorarono a Cinecittà, Vittorio De Sica, che già nel 1937, anno di inaugurazione, prese parte a tre film. La prima volta che Christian De Sica andò a Cinecittà: «Si girava l’uccisione del finto generale della Rovere interpretato da mio padre. Rossellini gli diceva di fare di meno perché papà si rotolava, si rotolava e non moriva mai. E glielo diceva mentre mangiava la Coppa del Nonno». La prima volta che Pupi Avati andò a Roma fu nel 1950, in occasione dell’Anno Santo, in compagnia di un padre cappuccino amico di famiglia. Gli rimase veramente impressa solo una cosa: un cartello stradale a San Giovanni, una freccia di quelle azzurre con la scritta «Cinecittà». Alberto Sordi comparsa nel film Scipione l’Africano del 1937. Fu selezionato all’ingresso di Cinecittà da uno sbrigativo assistente che li divideva in base al colore dei capelli: «Gallo, romano, gallo, romano…». È girato a Cinecittà anche Non ci resta che piangere (1984) con Benigni e Troisi. Totò, sempre tra i primi ad arrivare ai camerini di trucco a Cinecittà. Una mattina giunse talmente presto che trovò ancora chiuso il portone del teatro di posa. Un guardiano, vedendolo, corse a prendere le chiavi. Gli disse: «Eccomi qua, Totò». Risposta: «Mi chiami principe, lo esigo!». Allora il guardiano: «Altezza, di principi ce ne stanno tanti, ma di Totò ce n’è uno solo». «A Cinecittà si entra per una porta piccola, ma si esce da una porta grandissima» (Renato Pozzetto). A Cinecittà si girarono una ventina di film con Maciste, una dozzina con Ercole, almeno sei con Ursus. Peter Ustinov, che parlava bene l’italiano, aveva appreso il dialetto romanesco dagli operai di Cinecittà. Luchino Visconti, girandosi Le notti bianche al teatro 5 di Cinecittà, chiese che gli si facesse «un cielo mobile». Qualche numero di Cinecittà World, il primo parco tematico in Italia dedicato al cinema, che sorge sulla via Tiburtina, dove prima c’era Dinocittà, la risposta a Cinecittà di Dino De Laurentiis: 20 attrazioni, 8 set cinematografici all’aperto progettati da Dante Ferretti, 4 teatri di posa per gli spettacoli unici su 25 ettari di terreno (espandibili). Costo: 250 milioni, messi a disposizione dalla cordata formata dalla Ieg, Italian Entertainment Group, che ha tra gli azionisti Luigi Abete, Andrea e Diego Della Valle, Aurelio e Luigi De Laurentiis, la famiglia Haggiag con la partecipazione di Generali Properties. «Quo Vadis? a Cinecittà ha fatto più bene all’Italia del Piano Marshall» (Giulio Andreotti).