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 2015  aprile 14 Martedì calendario

ARTICOLI SU PETRO CIUCCI DAI GIORNALI DEL 14 APRILE 2015


IL SOLE 24 ORE -
Pietro Ciucci, presidente dell’Anas, ieri mattina durante un incontro con il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio ha deciso di lasciare il vertice della società per azioni – partecipata al 100% dal Mef e sottoposta al controllo del Mit – che gestisce la rete stradale ed autostradale di interesse nazionale. Rimettendo il suo incarico a partire dall’Assemblea di bilancio prevista per metà maggio.

Classe 1950, Ciucci inizia a lavorare nel 1969 alla Società Autostrade dove rimane fino al 1987. Avrebbe terminato il suo mandato a maggio 2016
Un passato all’Iri
Negli anni Novanta Ciucci è all’Iri, di cui è direttore generale dal 1996. Sempre dal 1996 è direttore generale dell’Anas e lo rimarrà fino all’estate del 2013 quando andrà in pensione. Dal 2000 al 2002 fa parte del collegio dei liquidatori dell’Iri, rimanendone sempre direttore generale. Dal 2002 viene nominato amministratore delegato della Società Stretto di Messina. Per conto del Governo segue fino al 2013, anno in cui la società viene messa in liquidazione, la progettazione, il piano finanziario, l’avvio e completamento delle gare
Commissione collaudo del Mose
Nel 2006 Ciucci diventa presidente del consiglio di amministrazione dell’Anas e nel 2011 assume anche il ruolo di amministratore unico. Nel 2013 assume le funzioni di amministratore delegato e di presidente della società. Dal 2004 è anche presidente della commissione di collaudo del Mose di Venezia. Fra i suoi molti incarichi anche quello di consigliere della Banca Commerciale Italiana, del Credito Italiano, della Stet, di Aeroporti di Roma, di Autostrade, di Finmeccanica e della Sme

SERGIO RIZZO, CORRIERE DELLA SERA -
«Non farò le barricate», diceva al Corriere una ventina di giorni fa, quando le dimissioni di Sergio Dondolini l’avevano lasciato solo al timone dell’Anas. E ieri Pietro Ciucci faceva sapere che la decisione era già presa. Se ne sarebbe andato di sua volontà. Ieri, dopo la strage dei viadotti dalla Sicilia alla Sardegna. Ieri, che palazzo Chigi per bocca di D’Erasmo D’Angelis, e attraverso le colonne della Stampa ha intimato: «Basta scaricabarile!». Ieri, con le testimonianze da brivido raccolte da Report sui lavori in certe gallerie. Ma tutto questo, faceva sapere, non c’entrava niente. Granitico.
Non si arriva dov’è arrivato Ciucci, e soprattutto non si resiste 46 anni nelle più grandi aziende pubbliche se si è deboli di stomaco. Il presidente dell’Anas si può definire l’ultimo dei boiardi di Stato: non si offenderà. A 19 anni è già nella società Autostrade. Dove pian piano scala tutti i gradini. Il grande salto è quando Romano Prodi, nel 1987, gli spalanca la stanza dei bottoni: la direzione finanza dell’Iri. Per quanto ci provino, non riescono a mettergli addosso il bollino di qualche partito. «È parente di Antonio Maccanico», sussurrano allora i maligni facendo notare che la moglie del potentissimo ex segretario generale del Quirinale è Marina Ciucci.
Ma il giovane dirigente dell’Iri è abile e sveglio come pochi. Non ha il famoso bollino e anche se può sembrare assurdo, sarà la sua forza. Colleziona incarichi. I consigli di Alitalia, Rai, Stet, Finmeccanica, Comit, Credit, Banca di Roma, Sme, Autostrade, Aeroporti di Roma... La presidenza di Cofiri, stanza dei bottoni finanziaria del gruppo. Finché nel 2002 Silvio Berlusconi lo nomina al vertice della Stretto di Messina, la società controllata dall’Anas che dovrebbe realizzare il ponte fra Scilla e Cariddi. Un progetto che l’esecutivo di Prodi stoppa nel 2006. Ora lo faranno fuori, pensano tutti: Ciucci ha appena firmato il contratto con Impregilo, pur sapendo che Berlusconi avrebbe perso le elezioni. Invece no. Con assoluta indifferenza l’uomo del Ponte tanto odiato dal centrosinistra finisce all’Anas. Iri docet.
Berlusconi redivivo lo conferma nel 2009 e due anni più tardi lo fa amministratore unico. In più gli rimette in pista il Ponte. Il suo potere è enorme. Gestisce i lavori della Salerno Reggio-Calabria e il progetto della più grande opera pubblica mai pensata in Italia: commissario di governo, amministratore della concessionaria e capo supremo dell’azionista Anas. Non lo scalfisce il ritorno della sinistra al governo. Né la sepoltura del Ponte, avviata da un Berlusconi ormai in debito d’ossigeno e officiata da Monti. Nel 2013 Enrico Letta gli dà poteri assoluti. Però ecco Renzi e il copione cambia. Spunta la regola che dopo tre mandati si va a casa. Mentre Ciucci, fra Anas e Stretto non riesce nemmeno a contarli. Il governo che dice di voler cambiare tutto, lascia invece tutto com’è. Inutile farsi troppi nemici.
Ciucci sta andando in pensione e alla conclusione del suo mandato, primavera 2016, non potrà restare. Non resta che aspettare: un po’ di tempo, o magari un passo falso. Tutti sanno che i nuovi inquilini di palazzo Chigi non lo amano. È il solo manager pubblico, insieme all’amministratore di Invitalia Domenico Arcuri, a vedersi tagliare lo stipendio, ridotto ai 300mila euro annui fissati dal governo. Il Movimento 5 stelle non rinuncia però a infilzarlo con un’interrogazione sulla buonuscita da 1,8 milioni che il Ceo Pietro Ciucci avrebbe concesso nell’estate 2013 al direttore generale Pietro Ciucci per la «risoluzione consensuale del rapporto di lavoro» dipendente. Granitico, lui non fa una piega. Come sotto il bombardamento di polemiche per i collaudi del Mose, affidati a una selva di dirigenti Anas (dell’Anas per una diga?), fra i quali anche lui. O sui lavori della Salerno-Reggio Calabria. Lasciando basiti quanti leggono il suo nome fra i docenti che dovrebbero spiegare ai giornalisti in uno dei corsi di formazione dell’Ordine (!) i segreti della comunicazione per gli appalti pubblici (!). Era giovedì 9 aprile. Già sapeva che la slavina partita con le dimissioni di Maurizio Lupi sarebbe arrivata a valle.
Sergio Rizzo

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ALBERTO STATERA, LA REPUBBLICA -
Vagheggiato fin dai tempi delle guerre puniche, il Ponte sullo Stretto di Messina fu promesso da Benito Mussolini, che non amava i siciliani, con queste parole: «È tempo che finisca questa storia dell’isola, dopo la guerra farò costruire un ponte tra il continente e la Sicilia». Pietro Ciucci, che ieri si è dimesso dalla presidenza dell’Anas dopo un diapason di figuracce e arroganza, credeva di essere lui l’unto dal signore che avrebbe realizzato il miraggio di unire le due coste (qualcuno ha detto le due “cosche”) con la contemporanea guida della Società per il Ponte durata dieci anni e di cui qualcuno dovrà oggi accollarsi i costosi (mezzo miliardo?) pasticci combinati con le aziende progettiste. Altro che la manutenzione dei 20.760 chilometri di strade, ponti, cavalcavia affidati all’Anas, che non fanno passare alla storia, se non per il fatto che in molti casi sprofondano tra la momentanea indignazione del Paese.La grandeur è, in fondo, la cifra della Triplice Divinità («è uno e trino», ha detto di Ciucci il presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda) che è rimasta abbarbicata allo scranno fino all’ultimo istante, sfiduciato dai fatti, dall’azionista pubblico e dal governo. L’albagia dell’uomo, la sconfinata considerazione di sé stesso, è ben nota fin dai tempi in cui era un giovane funzionario dell’Iri. Toscano dal naso fino, Ettore Bernabei, capì subito il tipo, che non poteva sopportare. Ma non bastò a precludere al giovane Pietro una carriera napoleonica sotto ogni regime. Ma “simul stabunt, simul cadent” si può dire adesso che i due ultimi gran cancellieri delle gare, degli appalti, delle grandi o meno grandi opere che quadruplicano i costi rispetto al resto del mondo civilizzato sono caduti in rapida sequenza. Prima Ercole Incalza, che i giudici ritengono di aver finalmente preso con le mani nel sacco dopo decenni di potere incontrollato, adesso Pietro Ciucci. Al primo, nessuno ha negato l’estrema competenza in una materia in cui le coorti di ministri che si sono susseguiti — salvo forse Antonio Di Pietro – facevano spesso da consapevoli o inconsapevoli passacarte. L’uomo dell’Anas, invece, si è sempre segnalato come causidico burocrate, una specie che purtroppo non sembra ancora in via di estinzione nella giungla italica. Lo ha dimostrato l’ultima volta domenica sera nell’intervista di Report, con un concentrato di vaghezze in “stile burosauro”, condite dalla supponenza.L’uomo è fatto così ed è capace persino di sfidare il ridicolo. Come quando Il Fatto Quotidiano scoprì che nel 2013 la Triplice Divi- nità aveva realizzato un piccolo capolavoro: poiché all’Anas era contemporaneamente presidente, amministratore delegato e direttore generale, il presidente Pietro Ciucci licenziò “senza preavviso” il suo direttore generale Pietro Ciucci. Insomma non si era avvertito, pur essendo d’accordo con il licenziamento. Il che, per “mancato preavviso” a sé stesso, gli fruttò una buonuscita di 1.825.745,53 euro. Più che una pièce di Ionesco, un esempio del diciamo funesto folklore di cui sono capaci le classi dirigenti d’Italia.Nata di fatto durante il fascismo, l’Anas ha 6.200 dipendenti, 180 dirigenti, 20 compartimenti territoriali, un bilancio di un miliardo l’anno, 825 milioni di manutenzioni di 20.760 chilometri di strade e anche 905 chilometri di autostrade. Più la Salerno – Reggio Calabria, epitome dell’eternità dei lavori, dell’esplosione dei costi e delle infiltrazioni mafiose. Chi troviamo – guarda un po’ – nella realizzazione del mitico macrolotto 3.2 dell’autostrada fantasma? Quello Stefano Perotti, architrave del “Sistema Incalza”, beneamato negli uffici dell’Anas, come tante imprese tarde eredi della “TangentAnas”, ramo principale di Tangentopoli nell’ultimo decennio del secolo scorso, quando, secondo le stime dell’epoca, furono distribuiti 1.000 miliardi di lire di stecche ai partiti. Quelle per cui andarono nei guai l’ex segretario della Dc Arnaldo Forlani, il ministro dei Lavori Pubblici Giovanni Prandini e portarono alla latitanza Lorenzo Cesa, oggi esponente del Nuovo Centro Destra-Udc. Spulciando nella selva di imprese impegnate nella costruzione dell’autostrada fantasma troviamo persino gli eredi delle antiche glorie dette “I cavalieri dell’apocalisse”, cioè quei tre imprenditori catanesi cavalieri del lavoro che già più di trent’anni fa monopolizzavano gran parte delle opere pubbliche in Sicilia e in mezza Italia.Ora, sotto lo scranno vuoto di Ciucci, si muoverà più speditamente l’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, con l’ispezione scattata dopo il crollo del viadotto Scorciavacche della Palermo-Agrigento a una settimana dall’inaugurazione. Gli uomini di Cantone avranno un bel daffare di fronte alle opacità – vogliamo chiamarle così? – segnalate nella gestione dell’Anas: appalti assegnati con criteri discutibili, manutenzione carente della viabilità ordinaria, lavori arronzati, materiali inadatti. La Corte dei Conti ha già cominciato il lavoro imputando a Ciucci ed altri un danno erariale di 38 milioni di euro non dovuti pagati ad alcune imprese, tra cui l’Astaldi. Ma ora viene il capitolo di tutte le “Scorciavacche” d’Italia. Quante strade, ponti, viadotti si sono accasciati per un po’ di pioggia in più, o hanno addirittura collassato. Solo in Sicilia è un rosario infinito: dal ponte Ficili, al ponte Gurnieri di Modica, dal ponte Geremia II a Caltanissetta, fino al viadotto Verdura e chissà quanti altri. Se poi si allunga di qualche anno e si allarga l’indagine al resto d’Italia, ci si imbatte nei crolli del viadotto Capodiponte nel bresciano, del ponte sul Po tra San Rocco e Piacenza, di quello tra Vieste e Peschici, nei cedimenti sulla Teramo-Mare, sulla Cagliari-Villasimius e così via crollando.Poi forse si aprirà finalmente (anche con una vera inchiesta parlamentare?) il libro nero senza fondo sulla Salerno – Reggio Calabria, che qualcuno (chiedo scusa, ma non ricordo l’autore) ha ribattezzato «il corpo di reato più lungo d’Italia».
Alberto Statera

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EUGENIO FATIGANTE, AVVENIRE –
Sin troppo facile dirlo, oggi: sono state le strade collassate e i viadotti ’andati giù’ negli ultimi mesi a dare la spallata finale all’impero di Pietro Ciucci. Coincisa peraltro anche con la puntata di Report, domenica sera su RaiTre, dedicata per intero all’azienda delle strade. L’ultimo epigono di quelli che una volta erano definiti ’boiardi di Stato’ lascerà al termine di un incarico durato 9 anni (fu nominato nel 2006 dal governo Prodi, ministro Antonio Di Pietro). Durante i quali Ciucci ha dimostrato come si costruisce e si mantiene un sistema di potere come pochi in Italia, lui che in fondo - pur gestendo una rete stradale di oltre 25mila km. - nemmeno è un ingegnere. Sì, perché Ciucci, 64 anni, dal 2002 Cavaliere di Gran Croce della Repubblica, è un laureato in economia arrivato a essere definito «uno e trino» dal capogruppo Pd in Senato, Luigi Zanda. Un riferimento a una delle vicende più clamorose che lo hanno coinvolto quando, due anni fa, arrivò ad accentrare le cariche di presidente, ad e direttore generale. Già un’anomalia in sé, resa ancora più eclatante dal successivo sviluppo - reso noto dal Fatto quotidiano - che a settembre 2013 lo portò a incassare una buonuscita da un milione e 800mila euro (lordi), incluso il ’mancato preavviso’, per l’addio al solo incarico di direttore. Un ’assegno’ che bontà sua - il pensionato Ciucci così ha spiegato: «Non mi sono auto-licenziato. È stato l’azionista (cioè il Tesoro, proprietario al 100% di Anas, ndr) a chiedermi di risolvere quel contratto a tempo indeterminato, che prevedeva un incentivo di 2 annualità di stipendio». Non che mancassero i soldi a questo manager che, dopo essere entrato a 19 anni nella società Autostrade, negli anni passati all’Iri (di cui fu direttore generale) per un decennio è stato anche l’amministratore della ’Società per lo Stretto’ di Messina, che ha dilapidato centinaia di milioni in progettazioni rese poi inutili dallo stop al progetto. E altre polemiche hanno suscitato lo scorso anno le super-consulenze da almeno mezzo milione di euro ricevute negli anni dal Magistrato delle Acque di Venezia, come ’libero professionista’. «Incarichi perfettamente legittimi», disse Ciucci che si è sempre difeso su tutta la linea, all’Anas anche rivendicando il bilancio risanato («Prima di me perdeva 500 milioni l’anno»).
È stata però anche l’incredibile serie di crolli e lacune progettuali a far finire il ’presidente-pensionato’ Ciucci in un vicolo senza uscita. Tanto che, pur essendo stata solo lambita dall’inchiesta che ha portato agli arresti Ercole Incalza, il dominusdelle Infrastrutture, l’Anas, che è la più grande stazione appaltante del Paese, ha finito per meritarsi comunque l’attenzione dell’Anticorruzione di Raffaele Cantone. Gli uomini dell’Anac andarono il 3 marzo nella sede dell’Anas a Roma per chiedere tutti gli incartamenti sul viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento (venuto giù a inizio anno poco dopo l’inaugurazione, avvenuta in assenza di ’collaudo statico’) e anche sulla statale Maglie-Leuca in Salento. Una vicenda, quella del viadotto siculo, paradigmatica di certe gare in Italia. A fine 2008, in fase di assegnazione al consorzio formato dalle grandi coop emiliane Cmc e Ccc (poi allargato al gruppo catanese Costanzo), venne fuori che i viadotti progettati non rispettavano la normativa antisismica. La necessaria revisione avrebbe comportato però l’allungamento dei tempi e, soprattutto, messo a rischio gli 85 milioni di euro di fondi europei Fas, soggetti a scadenza. Per far quadrare il tutto si decise allora di togliere una campata al viadotto e di realizzare al suo posto il ’rilevato di appoggio’, cioè di collocare quella base di terra compressa che poi ha ceduto. Una soluzione da circa 5 milioni di euro al km. di costo, contro i 15 (il triplo) del viadotto.
Non meno eclatante è un’altra vicenda esplosa negli ultimi giorni, quella della galleria ’La Franca’, lunga un chilometro, tra Foligno e Civitanova. Hanno fatto scalpore le frasi di un operaio che ha lavorato all’opera, ancora da aprire: «Qua cemento ce n’è poco. Io ai miei figli ho già detto di non passarci». Parole liquidate da Ciucci come «una denuncia anonima priva di riscontri». A furia di denunce, però, attorno a lui si è fatta terra bruciata.


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ROBERTO GIOVANNINI, LA STAMPA -
Chissà, magari sperava di superare anche questa tempesta. Ma la verità è che c’è da meravigliarsi come abbia fatto Pietro Ciucci - classe 1950, da 45 anni nelle aziende di Stato - a resistere fino a ieri, contro la logica, contro il buonsenso. Al termine dell’incontro in cui Ciucci ha rimesso nelle mani del neoministro delle Infrastrutture Graziano Delrio il suo mandato, all’Anas dicono che «l’incontro era previsto da tempo», e che la decisione di dimettersi è stata presa «spontaneamente e da tempo» dallo stesso Ciucci. Ma sappiamo che la discussione è stata molto dura, e che Delrio ha chiesto con forza a Ciucci di fare un passo indietro, dopo il disastro incredibile della frana che ha spezzato in due l’autostrada Palermo-Catania. Ora resterà in sella solo fino a metà maggio, quando verrà approvato il bilancio 2014.
Collezionista di cariche
Pietro Ciucci è entrato nel sistema pubblico a soli 19 anni, nella società Autostrade. Romano Prodi nel 1987 lo fa entrare nella direzione finanza dell’Iri, di cui diventa capo nel 1993. È un accumulatore straordinario di cariche, mette un piede in tutti i Cda delle società di Stato, gestisce la liquidazione di Iri. Nel ’96 diventa direttore generale di Anas, carica mantenuta fino all’estate 2013. Nel 2002 Silvio Berlusconi lo mette alla guida della Stretto di Messina. Romano Prodi nel 2006 blocca il ponte, ma lo nomina presidente e ad di Anas. Lo confermano su questa poltronissima, nell’ordine, Silvio Berlusconi (2009), Enrico Letta (2013), Matteo Renzi (2014).
Evidentemente Ciucci ha molte qualità che finora gli hanno meritato tante promozioni e riconferme. Ad esempio, lo «straordinario» risultato che riguarda la Salerno-Reggio Calabria: nel dicembre 2012 annuncia che sarà completata nel 2013. «Pensiamo di farcela», dice. In dieci anni l’Anas ha realizzato solo 250 chilometri, ne mancano ancora 100. Sempre nel 2012 Ciucci «dimenticò» di avvertire l’allora ministro dello Sviluppo Corrado Passera che stava per scadere il termine per ricusare il contratto con il consorzio Eurolink: oggi c’è il rischio di dover pagare penali per il Ponte sullo Stretto. Che per Ciucci «è un’opera necessaria».
Gli stipendi d’oro
Ma il suo capolavoro risale all’estate del 2013. A 63 anni di età, Ciucci sa bene che difficilmente nel 2016 verrà confermato alla guida dell’Anas. E in più teme il taglio dello stipendio a 300mila euro annui. Così, il «presidente» Pietro Ciucci firma il pensionamento del «direttore generale» Pietro Ciucci (incidentalmente, dimenticando il «mancato preavviso»). Se ne va in pensione, riceve una buonuscita di 1,8 milioni, e lo stipendio da 240mila euro annui da presidente.
Negli ultimi mesi tiene duro, indifferente a tutto: indagato per abuso d’ufficio per gli appalti della statale Maglie-Lecce. Coinvolto nell’inchiesta «Sistema», che costa la poltrona a un altro superboiardo, Ercole Incalza, e a un politico che lo ha sempre stimato, Maurizio Lupi. I ministri Padoan e Delrio fanno dimettere i loro rappresentanti nel cda Anas. Nulla. Delrio non è Lupi. L’ennesima frana costa il posto a Pietro Ciucci.

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SANDRA AMURRI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Pietro Ciucci classe 1950, sposato, due figli, laurea in Economia e Commercio , insignito nel 2002 dell’Onorificenza di Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana, inizia a lavorare alla Società Autostrade, dove resta vent’anni, fino alla quotazione in borsa. Approda all’Iri dove gestisce e cura la realizzazione del piano di risanamento economico e finanziario, in particolare del programma di privatizzazioni che ha comportato il riposizionamento strategico, la ristrutturazione, il risanamento e la successiva cessione ai privati di tutte le principali aziende del gruppo, (alimentare, banche e finanziarie, acciaio, ingegneria e costruzioni, telecomunicazioni, meccanica, aeroporti, autostrade, trasporti marittimi) per un controvalore complessivo dell’ordine di 60 miliardi di euro. Da qui parte la sua inarrestabile ascesa. Nel 2001 viene nominato ad di Società Stretto di Messina (voluto da Silvio Berlusconi), nata per realizzare l’opera più discussa mai messa in cantiere con un preventivo di investimento in project financing di 6 miliardi di euro.
Il 20 luglio 2006, viene nominato Presidente del Consiglio di Amministrazione di Anas Spa. Nel 2013, l’Assemblea degli Azionisti lo nomina Presidente di Anas spa. attribuendogli anche le funzioni di Amministratore Delegato. Ciucci riceve uno stipendio da superenalotto: 900.000 euro l’anno. Dal 2006 al 2013, fino a quando la Sdm viene messa in liquidazione, ricopre quindi, contemporaneamente la carica di presidente della più grande azienda dello Stato, l’Anas, che è azionista di maggioranza della Sdm controllata dall’Anas di cui Ciucci è Presidente e Amministratore Unico. In sintesi: Ciucci è controllore del controllato, cioè controlla se stesso. Un personaggio, dunque, capace di incarnare il mistero della santissima trinità riuscendo a sedere, contemporaneamente, in due, tre consigli di amministrazione, dando vita ad un conflitto di interessi sovrumano. Senza considerare che più che un Ponte si è trattato di un incredibile pozzo di San Patrizio per le casse pubbliche. Basti solo ricordare che la sede della società Stretto di Messina, 3.600 metri quadrati su quattro piani, attico, seminterrato e giardino nella centralissima via Po della capitale, è costata negli anni 75 mila euro al mese di affitto incassato dalla srl Fosso del Ciuccio, immobiliare della Cisl. Sede che fu poi spostata a Piazza Cinquecento, dove si trova tuttora, proprio sopra alla galleria centrale della stazione Termini, una zona meno prestigiosa, sede più piccola, ma più costosa al metro quadro, di proprietà della società Grandi Stazioni di cui è azionista Sintonia del gruppo Benetton, che controlla Atlantia, cioè autostrade per l’Italia, che attraverso Igli detiene un terzo di Impregilo, impresa capofila dell’Eurolink che ha vinto la gara per un Ponte che mai vedrà la luce. Nel 2013 Pietro Ciucci resta Presidente e ad di Anas ma va in pensione come direttore generale con una liquidazione di 1.805.000 euro.
Il 31 agosto del 2014, in qualità di ex direttore generale in pensione, incassa altri 779.000 euro come indennità di mancato preavviso. Un ulteriore schiaffo di fronte alla difficoltà del vivere della gran parte degli italiani. Ma lui resta al suo posto. Nonostante la Procura della Corte dei Conti del Lazio, abbia chiesto, il 24 marzo scorso, di condannarlo, assieme ai condirettori generali Leopoldo Contorti, Stefano Granati e Alfredo Bajo, a risarcire 17,3 milioni di euro di danno erariale per “responsabilità per fatto colposo”. Vicenda che risale al 2013, riguardante la realizzazione del lotto della statale 106 Jonica tra lo svincolo di Squillace e quello di Simeri Crichi e di 5 chilometri di prolungamento della statale 280 dei Due Mari, tra lo svincolo di San Sinato e quello di Germaneto, sempre in Calabria.
Ciucci si limita a commentare tale richiesta con un “ho sempre considerato il mio incarico, nei 45 anni in cui ho lavorato con diversi governi e formazioni politiche, come un incarico che scade ogni giorno”. Un giorno interminabile, che per un pelo ha sfiorato la metà di un secolo, se non fosse stato seppellito dalle macerie.

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ALESSANDRO ARONA, IL SOLE 24 ORE -
Nato nel 1950 e laureato in economia, una carriera all’interno delle partecipazioni statali, prima alla società Autostrade e poi all’Iri, direttore centrale finanza all’epoca di Romano Prodi presidente (e oltre), condirettore generale protagonista delle privatizzazioni dal 1996 al 2002, poi presidente della Stretto di Messina Spa (fino al 2013) e direttore generale An as, infine negli ultimi nove anni presidente/amministratore delegato della stessa Anas.
Pietro Ciucci ha veleggiato ai vertici delle aziende di Stato dalla prima repubblica ai governi Berlusconi ai governi di centro-sinistra a quelli tecnici. Nel luglio 2006 fu l’esecutivo Prodi in cerca di svolte (Di Pietro ministro delle Infrastrutture) a nominarlo commissario dell’Anas al posto di Vincenzo Pozzi. Ma Ciucci venne poi confermato anche dall’esecutivo Berlusconi nel 2008-2011, e poi da quello di Monti nel 2012-2013. Sempre in sella anche con Letta e finora anche con Renzi, tant’è che ci si poteva aspettare che la sua carriera arrivasse alla naturale conclusione del mandato nel maggio 2016.
Mai sfiorato dalla varie inchieste anti-corruzione degli ultimi due anni , Ciucci è stato però indebolito, negli ultimi mesi, da almeno tra vicende.
Prima la rivelazione dell’Espresso sulle sue super-consulenze avute dal Magistrato delle Acque di Venezia, come “libero professionista”, per collaudi amministrativi legati ai lavori del Mose. Almeno mezzo milione di euro effettivamente pagato nel corso degli anni. «Incarichi perfettamente legittimi - si difese Ciucci - in base alle mie competenze». E infatti tali incarichi non avevano in punta di diritto nulla di illegale, e Ciucci non è stato coinvolto né nell’inchiesta sul Mose né in quella “Incalza-grandi opere”. Ma hanno certamente svelato il complesso intreccio di scambi di favori e doppi incarichi tra il Consorzio Venezia Nuova e molti alti dirigenti statali (tra i beneficiari delle consulenze pagate con i fondi del Mose nella seconda metà degli anni dieci, per centinaia di migliaia di euro, anche l’allora capo di gabinetto all’Economia Vincenzo Fortunato e il predecessore di Ciucci all’Anas Vincenzo Pozzi).
Poi la vicenda della pensione. Ciucci è andato in pensione da direttore generale, con una anzianità complessiva di 45 anni (!), nel settembre 2013. La richiesta venne dal ministero dell’Economia (governo Letta), che nel confermargli la fiducia gli faceva però notare che il Dlgs 39/2014 prevedeva tra le altre cose incompatibilità tra i ruoli di presidente e direttore generale di società pubbliche.
Da qui l’indennità di bunuscita da 1,8 milioni di euro, che emersa solo a metà 2014 ha fatto rumore. Il Tfr era pari a 266mila euro, il resto (1,5 miloni circa) era un’indennità pari a due mensilità prevista dal suo contratto del 2006 al momento dell’uscita, quale che ne fosse il motivo. È vero che non si è trattato di “Ciucci presidente che ha licenziato senza preavviso Ciucci direttore, con risoluzione consensuale del rapporto”, come raccontato all’inizio: quelle erano solo le motivazioni di calcolo nel contratto 2006. Fatto sta che Ciucci ha preso l’indennità da 1,8 milioni, percepisce la pensione, e continua a fare il presidente Anas.
Successivamente, la legge Madia del 2014 ha sancito che i pensionati non possono essere dirigenti pubblici: o meglio, quelli che ci sono rimangono, ma non possono essere nominati o rinnovati. Ciucci avrebbe dunque cessato in ogni caso la sua avventura ai vertici dell’Anas al più tardi nel maggio 2016, alla scadenza dell’attuale mandato di presidente.
Ancora più pesante, probabilmente, la vicenda dei tre viadotti crollati, raccontata sopra: anche qui nessuna responsabilità accertata né indagine a carico di Ciucci, ma la spinta a “rinnovare”.
Eppure in termini di gestione Ciucci può vantare di aver riportato la società in utile in soli tre anni, dal 2008, dal buco di 500 milioni con cui l’aveva presa nel 2005. E tale utile si è sempre mantenuto negli anni (dovrebbe essere di circa 16 milioni nel 2014).
L’Anas comunque, nonostante sia formalmente una società per azioni dal 2002, resta controllata al 100% dal Tesoro e resta in sostanza ancora un ente pubblico, senza attività di mercato: anche se lo Stato non versa più dal 2011 alcun corrispettivo per la gestione, le risorse per l’attività ordinaria (compresa manutenzione) arrivano per la quasi totalità (a parte marginali entrate proprie) dai canoni versati dalle società concessionarie autostradali, e quelle per gli investimenti arrivano dallo Stato.
Uno dei nodi da affronare, dunque, per il Ministro Delrio e l’esecutivo Renzi, è se riprendere in mano il progetto di Tremonti di pedaggiare le autostrade Anas (Gra di Roma, Salerno-Reggio) e le superstrade.
C’è poi il tema della manutenzione ordinaria, del controllo della sicurezza sulla rete e delo stato della manutenzione, tema emerso con urgenza dalle vicende dei vioadotti degli ultimi mesi.
Alessandro Arona

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GIORGIO SANTILLI, IL SOLE 24 ORE -
L’accelerazione impressa al cambiamento nel settore dei lavori pubblici dalla nomina di Graziano Delrio a ministro delle Infrastrutture ha avuto ieri una rappresentazione quasi clamorosa nelle annunciate dimissioni di Pietro Ciucci.
La posizione del manager di lungo corso delle Partecipazioni statali che dal 2006 era alla guida dell’Anas si era fatta difficile negli ultimi tempi per le polemiche sul suo pensionamento (e sul modo in cui era finita l’altra anomalia che gli era stata cucita addosso del doppio incarico di presidente e di direttore generale Anas), per le vicende della rampa del viadotto siciliano franato subito dopo l’inaugurazione (con apertura provvisoria assecondata dall’Anas evitando il collaudo formale), per le dimissioni dei due consiglieri che sedevano con Ciucci nel cda dell’Anas in rappresentanza dei ministri dell’Economia e delle Infrastrutture, per una valutazione di opportunità sui diversi collaudi che lo stesso Ciucci aveva svolto per il Mose. Eppure ieri è parso chiaro a tutti che a prevalere sulle singole questioni specifiche sono stati gli argomenti molto più convincenti sul piano politico che Delrio ha squadernato senza mezze parole a Ciucci, forte anche della totale condivisione con Matteo Renzi: discontinuità e rinnovamento. E all’Anas dopo dieci anni il bisogno di rinnovamento si sentiva, nonostante la gestione Ciucci abbia portato anche risultati positivi: la trasformazione in Spa e il conseguente pareggio di bilancio, una ripresa degli investimenti in manutenzione, il tentativo di costruire una missione coerente all’Anas come concessionario e soggetto fornitore di servizi allo Stato in vista di una possibile privatizzazione. Tentativo, per altro, ancora lontano dall’avere una quadratura solida e coerente.
Così come, nel fare un bilancio dell’azione di Ciucci, non si possono non sfatare alcuni luoghi comuni, a partire da quello della Salerno-Reggio Calabria, opera che manca ancora di finanziamenti per 3 miliardi per essere completata (ma ha senso spendere somme enormi per completare il tratto calabrese così poco trafficato?) ma che è stata in larga parte realizzata e offre oggi standard in linea con quelli nazionali ed europei e molto superiori a quelli del passato.
Eppure tutto questo è parso improvvisamente troppo vecchio per andare avanti dopo la nomina di Delrio. Ciucci era espressione di una stagione che volge al termine ora molto velocemente. E il ministro delle Infrastrutture ha fatto notare ieri che per far decollare la nuova pianificazione unitaria che partirà da settembre mettendo insieme piani stradali, ferroviari, autostradali, aeroportuali, portuali, c’è bisogno di uomini nuovi che sappiano interpretare la nuova stagione e che sappiano portare sintonia fra questi singoli spezzoni e il nuovo disegno unitario.
Legittimo, dunque, il rinnovamento voluto dal governo anche se ora viene il difficile perché la scelta degli uomini non potrà rispondere ancora ai criteri di fedeltà ma dovrà essere orientata alla competenza se non si vorrà, fra qualche mese, restar ancora fermi al palo. Mettere benzina in un motore che marcia nel segno della continuità può rafforzare la ripresa. Rafforzare la ripresa portando discontinuità è una sfida ben più difficile se alla guida non arriva qualcuno che sappia dove mettere le mani.