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 2015  aprile 14 Martedì calendario

RE SPIETH, È SOLO L’INIZIO

E adesso, Jordan? «Voglio un’altra di queste giacche e voglio arrivare al numero uno del mondo», dice Jordan Spieth (ora numero due) con la sfrontatezza dei suoi 21 anni, il secondo ragazzo più giovane a espugnare Augusta (dopo Tiger Woods). Aveva un grande sogno: questo. Trionfare al Masters. Lo aveva detto in un’intervista realizzata quando aveva 14 anni. A 12 l’aveva anticipato anche al suo maestro: «Vincerò il Masters e sarò il migliore di tutti». Come uno dei tanti bambini che sogna di diventare astronauta, ma poi finisce a fare l’assistente di volo su un aereo.
Realtà Invece, neppure dieci anni dopo Jordan è proprio qui, sul green della 18, davanti a questa folla che fantasticava lo circondasse e lo applaudisse negli innumerevoli putt giocati nel giardino di casa alla periferia di Dallas: «Questo vale per il Masters», diceva agli amichetti. «Questo vale per il Masters», si è ripetuto domenica all’imbrunire di una bellissima giornata quasi estiva. Tutto vero. Esattamente come lo aveva immaginato. La standing ovation interminabile, l’abbraccio di mamma e papà e soprattutto del nonno, suo grande ispiratore. La Giacca Verde di una taglia un pelo abbondante, appena confezionata dal sarto, finalmente sulle sue spalle. E il suo sorriso un po’ ebete che viene quando tante cose belle succedono in fretta.
Stordito Sono stati 4 giri memorabili. Ha guidato il torneo dall’inizio alla fine, ha eguagliato Tiger con il punteggio record (270 -18), ma poteva batterlo se non avesse sbagliato da pochi centimetri all’ultima buca; ha stabilito il primato di birdie (28) e ha chiuso con quattro colpi su due campioni dai curriculum gloriosi come Phil Mickelson e Justin Rose. Ed era appena la sua seconda partecipazione, dopo che l’anno passato si era classificato secondo, buttando su questi prati mitici due colpi di vantaggio. «Quando un anno fa me ne andai da questa sala interviste e mi dissi: “Qui dentro voglio tornarci solo con addosso la Giacca Verde”. E’ quell’appetito di vittoria che mi ha portato oggi fino a qui. Con questa giacca ci dormirò stanotte», spiega sfoderando un sorriso quasi adolescenziale. REALTà Ma non è più un adolescente, Jordan. E’ un uomo fatto. Sua mamma, Chris, ex cestista che dicono fosse infallibile dalla lunetta, racconta orgogliosa chi è suo figlio: «Ha una sorellina di 14 anni, Ellie, con problemi neurologici (soffre di autismo, ndr): Jordan è una persona così matura perché è cresciuto al suo fianco. Sa bene che il Masters non rappresenta la realtà della vita». Era stata la mamma a comprargli dei bastoni di plastica quando aveva 18 mesi: «Ma soltanto per tenerlo impegnato in giardino, mentre io e mio marito ci occupavamo di Steven, l’altro fratello, appena nato», rivela. Non glieli avevano messi in mano per trasformarlo in un bambino prodigio come aveva fatto il papà di Tiger. A otto anni lo avevano iscritto in piscina, ma lui invidiava i coetanei che andavano al campo pratica. A 10 già batteva suo padre Shawn, handicap 7. Suo nonno Don gli aveva spiegato che non si può aver paura di inseguire le proprie passioni. Il vero golfista era lui, che grazie ai ferri aveva ottenuto una borsa di studio all’università. Ma in testa aveva la musica e scelse quella: il suo Masters l’aveva conquistato dirigendo l’orchestra di un luogo sacro come la Carnegie Hall a New York.
RINCORSA Quella di Jordan è stata una rincorsa da predestinato, senza le pressioni di genitori troppo ambiziosi. Come Tiger aveva sbaragliato la concorrenza da giovanissimo: due volte Junior Amateur Champion e un titolo universitario con la University of Texas. Nel 2013 era stato il più giovane (dal 1931) a vincere un torneo del Pga; quest’anno aveva bissato, oltre a due secondi posti poco prima di arrivare qui. E domenica non ha mai tremato. Spiega: «L’impresa più difficile di è stata mentale, perché hai un tempo infinito per pensare». Invece ha tamponato qualsiasi tentativo di rimonta dei celebri rivali imbucando dei putt pazzeschi.
Come si fa, Jordan? «Ci vuole creatività. Sono cresciuto giocando sui fairway e green, non fissandomi a ripetere all’infinito certi gesti al campo pratica. E’ così che riesci a immaginare traiettorie che gli altri non vedono». In un certo senso, l’opposto di Tiger Woods, del quale forse è già diventato l’erede.