Elena Dusi, la Repubblica 12/4/2015, 12 aprile 2015
CITIZEN SCIENTIST
La prossima scoperta sul bosone di Higgs potrebbe arrivare da te. O se la fisica non è la tua passione, potresti essere il primo a osservare l’esplosione di una supernova, o ad avvistare una cometa dandole il tuo nome. Chi preferisce aiutare chi soffre potrebbe ispirarsi all’esempio di Scott Zacanelli. Chi è costui? Un perfetto signor nessuno. Eppure questo impiegato di una fabbrica di valvole del Texas ha contribuito a disegnare una molecola che è andata in sperimentazione come possibile terapia per l’Hiv. Ma ci sono anche ambizioni più terra terra da soddisfare, come quella di poter dire “anch’io ho contribuito” al progetto sulla biodiversità dell’ombelico: centinaia di cittadini hanno donato alla scienza un cotton fioc strofinato sui propri microbi, consentendo ai biologi della North Carolina State University di scoprire che al centro del nostro addome vivono tante specie viventi quanto quelle di una foresta tropicale.
C’è posto per tutti nel mondo della citizen science. Non serve una laurea, ma solo tempo e passione. Dal bosone di Higgs all’osservazione dell’ambiente, dall’astronomia alla ricerca sul cancro, sono centinaia i progetti scientifici fra cui scegliere. Da quando i ricercatori si sono accorti che molti problemi sono troppo difficili da risolvere da soli — e che i computer spesso sono troppo stupidi per dare una mano — hanno chiesto aiuto ai cittadini appassionati (a volte semplici studenti di liceo) consentendo loro di accedere ai dati degli esperimenti in cambio di aiuto. Dalla Nasa al Cern alle principali università e musei del mondo, i progetti aperti ai citizen scientist negli ultimi anni sono esplosi di numero, portando in molti casi a scoperte, pubblicazioni scientifiche e sperimentazioni di potenziali farmaci.
Insieme a selfie e hashtag, la parola citizen science è stata tra le new entry del 2014 nel dizionario Oxford della lingua inglese. La sua definizione è: “Un progetto scientifico intrapreso da membri del pubblico generale, spesso in collaborazione con, o sotto la direzione di, scienziati professionisti e istituzioni scientifiche”.
Se di scoperte di semplici amatori è piena la scienza, oggi nel dialogo fra ricercatori e cittadini si è inserito un terzo interlocutore: il web. Grazie alla Rete la raccolta dei dati può trasformarsi in un social network e l’esperimento in un videogame. Ed è così che l’unione degli scienziati della domenica può fare la forza. La storia di FoldIt è forse uno dei casi più limpidi dell’efficacia della scienza fatta dai cittadini. I ricercatori dell’università di Washington a Seattle nel 2008 hanno inventato un gioco per computer le cui regole altro non sono che quelle della biochimica. I concorrenti ci si sono subito gettati a testa bassa, piegando e deformando una proteina per farle raggiungere la conformazione con il massimo livello di stabilità. Secondo una formula che è stata ripresa da molti altri progetti di citizen science, i concorrenti di FoldIt ricevevano un punteggio per ogni progresso fatto, potevano consultarsi in chat e formare squadre per sfidare altri concorrenti. È qui che Scott Zacanelli si è rivelato il campione numero uno, risolvendo problemi che l’intelligenza di un computer non è capace di affrontare. La proteina ottenuta è stata poi sintetizzata in laboratorio per essere sperimentata. Non arriverà probabilmente a curare l’Aids come era nelle speranze dei ricercatori di Seattle, ma di certo FoldIt ha aperto una strada ai successivi progetti di citizen science . Il più prolifico dei quali è forse Galaxy Zoo, che va avanti dal 2007 all’università di Oxford e chiede ai volontari di classificare a seconda della forma e del colore milioni di galassie fotografate da varie generazioni di telescopi spaziali. A spirale o ellittiche? Scegliere è un compito per il quale i computer sono pressoché inutili e per evitare che anche i cittadini scienziati diano la risposta sbagliata, la stessa galassia viene fatta valutare da più persone contemporaneamente. Finora il lavoro di 150mila appassionati ha permesso di catalogare 50 milioni di galassie e di pubblicare decine di articoli scientifici. Un lavoro che gli astronomi da soli avrebbero impiegato decenni a portare a termine. Il punto di partenza della citizen science può essere fissato nel 1999. Tutto partì da E-Te dall’idea degli scienziati americani di Berkeley che forse in quel momento nell’universo un extraterrestre stesse facendo “telefono casa”. Con il progetto Seti@home gli astronomi si misero a cercare volontari per collegarsi ai loro computer e sfruttarne la capacità di calcolo nei momenti di inattività. Analizzare tutti i dati dei radiotelescopi impegnati nell’ascolto dell’universo si era rivelato infatti un compito troppo pesante anche per i calcolatori di una delle più importanti università del mondo. Anziché limitarsi a prestare i computer, presto i volontari iniziarono a dare una mano nell’analisi dei dati, fino ad arrivare al recentissimo “Higgs Hunters”, che permette agli appassionati di collegarsi al Cern di Ginevra e sfogliare le immagini delle collisioni fra protoni lanciati quasi alla velocità della luce all’interno dell’acceleratore di particelle Lhc. In alcune di queste collisioni fra i frammenti si crea anche un bosone di Higgs, la particella da Nobel che si disintegra dopo un istante brevissimo (dieci alla meno ventidue secondi). Osservare a occhio nudo le tracce dei frammenti — il compito assegnato ai cittadini scienziati — permette ai fisici del Cern di individuare eventi interessanti scartati dai computer perché escono dai loro schemi.
Ma alla citizen science sono assegnati anche compiti utili alla società, non solo alla ricerca. L’University College London ha assegnato a un gruppo di volontari in Congo un telefonino con il gps e delle icone da selezionare quando si imbattono in trappole piazzate dai bracconieri o alberi tagliati illegalmente. In quello che è stato definito un esempio di citizen science estrema, i telefonini sono stati dotati di una batteria termoelettrica che si ricarica davanti al fuoco acceso la sera nell’accampamento.
Elena Dusi, la Repubblica 12/4/2015