Paolo Di Paolo, la Repubblica 12/4/2015, 12 aprile 2015
PASSEGGIATA CON REGISTA DA UN SET ALL’ALTRO
C’entrano le panchine, qualche fontana, c’entrano spesso le case e le scuole, da fuori e da dentro. C’entra l’estate. Nessuna scenografia turistica, maestosa. Nessuna terrazza mondana, poca grande bellezza. Se c’è l’imponente San Pietro, è perché qualcuno vuole fuggirne. Se c’è il Circo Massimo, è perché qualcuno ci finisce letteralmente dentro, in macchina.
In attesa di vedere il suo ultimo film, Mia madre , nelle sale da giovedì, viene voglia di attraversare la Roma di Nanni Moretti insieme a Nanni Moretti. Chiedergli che rapporto ha con la città in cui vive da sempre senza esserci nato (è nato a Brunico) dice che è come chiedergli che rapporto ha con sua madre. «Tua madre è tua madre, è quella che ti ha dato la vita». La sua Roma è vissuta, più che contemplata; persa di vista, perché la vita distrae, e poi scoperta o riscoperta per caso: “Spinaceto, pensavo peggio! Non è per niente male”. Basta montare su una Vespa nei giorni più assolati e deserti di agosto, come fece nel ’93, perché la città stessa diventi un film, il film. «Pensavo a un corto», spiega adesso, «da proiettare solo nel mio cinema». Vago per la città, annunciava in Caro diario: dal Gianicolo a Prati, dai Parioli alla Garbatella, anche solo per osservare le case degli altri; o per misurare su un metro — come accade in Aprile — il tempo che resta. E per andare a cercare i luoghi “ di quando ero bambino”, senza troppa nostalgia: la scuola elementare Leopardi a Monte Mario, la piscina al Foro italico, il parco Nemorense. “Non mi fanno particolare effetto... Non mi viene da piangere né da scrivere una brutta poesia”. L’area dei set dei primi film — Io sono un autarchico, Ecce Bombo — è quasi tutta compresa nella zona sotto casa, anche la camera da letto dell’alter ego Michele Apicella è presa in prestito dalla vecchia abitazione dei Moretti, via San Tommaso d’Aquino, fra Prati e Trionfale. Quando uscì Ecce Bombo, marzo ’78, a una settimana dal sequestro Moro, molti — ricorda oggi Moretti — scrissero che era un film troppo romano, «anzi un film su Roma nord, anzi sul quartiere Prati, anzi su piazza Mazzini. Ma è successo perché quello era il luogo dove io vivevo». E comunque spesso, aggiunge, più si parte dal particolare, più si ha la possibilità di diventare universali. D’altra parte, chi avrebbe rimproverato al Woody Allen di Manhattan di essere troppo newyorchese? Un recensore d’eccezione, Goffredo Parise, scrisse che «i vitelloni rivisitati» da Moretti non avevano niente di provinciale, e che «per la primissima volta» Roma perdeva quell’eterna aria da strapaese. Mettendo «lo humour al posto del comico», il ventenne Moretti tagliava i ponti con la commedia all’italiana, salutava Risi e Monicelli e non rievocava nessuna dolce vita. Se gli chiedi però a quali film su Roma è legato, Fellini c’è. Fra i nuovi cita Garrone, Estate romana, e Gianni Di Gregorio, Pranzo di Ferragosto. Ma la Roma di Moretti è davvero e fino in fondo sua, senza ascendenze né parentele: autarchica. Se c’entra Pasolini, è perché va a cercarlo, fuori tempo massimo, all’Idroscalo di Ostia, il luogo in cui fu ucciso. O perché, per la parrocchia di La messa è finita, sceglie via Cori, periferica Borgata Gordiani, dove era stato girato Accattone. E proprio in una scena di La messa è finita appare l’arena di un cinema di Trastevere, evocata da Pasolini nella Religione del mio tempo: Largo Ascianghi, Cinema Nuovo, sarebbe diventato nel ‘91 il Nuovo Sacher, gestito tuttora dallo stesso Moretti. Il cui quartiere d’elezione, poco conosciuto dai non romani, è Monteverde, appena sotto il Gianicolo. In una scena di Aprile un amico, dalla segreteria telefonica, apostrofa Moretti come «il leone di Monteverde ». Lui sorride. «Mi piace girare in luoghi veri, e magari ricrearli, adattarli». Il suo apprendistato alla paternità si svolge sul terrazzo di casa, nel cuore del quartiere; ed è fra quelle strade in salita la scuola surreale in cui il protagonista di Sogni d’oro spiega Leopardi ad alunni svogliatissimi — Liceo Manara, via Basilio Bricci. È ancora fra quelle strade che Michele e Bianca — Bianca, 1984 — inseguono la felicità. Si incrociano sulla scalinata che lega via Saffi a via Fratelli Bandiera. “ La felicità è una cosa seria, no?” domanda Michele. E si risponde da solo: “ Ecco, allora, se c’è, dev’essere assoluta ”. Come certe passioni: la musica, che rende quasi esotica la Roma d’agosto in Caro diario, le canzoni ascoltate e cantate in macchina, in casa, a tavola, in un vecchio drive-in di Casal Palocco ( La Messa è finita), e perfino nel palazzo apostolico da un gruppo di cardinali, in Habemus papam. C’è una scena danzante in quasi ogni film di Moretti, fino a Mia madre e compreso il geniale musical sul pasticcere trotzkista in Aprile. E a proposito di pasticceri. Una gelateria di Corso d’Italia e una pasticceria di via Sabotino in Sogni d’oro, dove compare la famigerata Sacher “Torten”; il barattolone di Nutella in Bianca; in Habemus papam le bombe alla crema di Borgo Pio, la cui fama è arrivata anche ai cardinali neozelandesi. Piaceri minimi, abitudini: le costanti dei miei film, dice Moretti, sono anche queste, «i pranzi in famiglia, le telefonate, giocare a palletta nella propria stanza, la scuola». Le rovine del passato più remoto non ingombrano, e quelle del passato prossimo sfumano dentro un presente pieno, toccato spesso dalla grazia o da qualche segno rivelatore. Allora può capitarti di aspettare l’alba sulla spiaggia di Ostia, guardando il mare, per accorgerti che il sole sorge dalla parte opposta, e questo diventa appunto “ un segno, un invito a capire ”. Può capitarti, anni dopo, di passare in Vespa su Ponte Flaminio — «il mio preferito» — mentre intorno impazziscono i clacson per una vittoria della sinistra, e tu alzi le braccia urlando: “Quattro chili e 2-00 grammi!”, il peso di tuo figlio appena nato. O correre ancora in Vespa lanciando all’aria vecchi ritagli di giornale. Il pomeriggio è sereno — e Roma ha quella luce, dice Moretti, «che c’è in pochi posti al mondo».
Paolo Di Paolo, la Repubblica 12/4/2015