Vittoria Puledda, la Repubblica 12/4/2015, 12 aprile 2015
IL VALZER DELLE POPOLARI SCATTA DALLE ASSEMBLEE IL BANCO CORTEGGIA BPM
MILANO.
Formalmente erano tutte assemblee per approvare il bilancio; nei fatti per Bpm, Banco Popolare e Popolare di Vicenza sono state il primo banco di prova della trasformazione in spa, imposta per legge a tutte le popolari con più di 8 miliardi di attivi. E a tener banco sono state le ipotesi di aggregazione, considerate dagli istituti il modo migliore per resistere alle scalate ostili e dal legislatore la strada più diretta per irrobustire il sistema.
Da Novara Pier Francesco Saviotti (ad del Banco Popolare) è tornato a corteggiare Bpm, considerata “un sogno”. «Non l’ho mai nascosto, non si sa mai, non metto limiti, oggi non è impossibile ma non è facile», ha detto. Più cauto è sembrato il presidente, Carlo Fratta Pasini: «Non vogliamo fare una grande banca che si aggiunge alle altre banche grandi del Paese, l’ambizione è fare una banca di dimensioni adeguate ma che sia diversa». E non a caso ha sottolineato anche il ruolo dei soci: «Noi abbiamo tanta clientela socia che insieme ha pacchetti azionari nel loro complesso significativi. Vediamo se questo azionario potrà organizzarsi e avere un significato in futuro ». Intanto, all’assemblea dei record (32.700 mila soci comprese le deleghe, portate a 10) è arrivato l’assist della Fondazione Cariverona, che si è detta pronta ad investire nel Banco per garantire «stabilità» all’azionariato.
La Bpm è il partner potenziale per le altre popolari «perché si trova a Milano» e perché «abbiamo un bilancio in ordine», ha indirettamente risposto a Verona Piero Giarda, presidente del consiglio di sorveglianza di Bpm (che ieri ha festeggiato con un francobollo commemorativo i 150 anni). Dal canto suo l’amministratore delegato del gruppo, Giuseppe Castagna, ha sottolineato che finora non ci sono stati contatti con nessuno ma ora «ci dedicheremo a valutare eventuali opportunità» ben sapendo che «la trasformazione in spa ci renderebbe più aggredibili rispetto ad operazioni ostili»; dunque, le aggregazioni vanno fatte prima (o in contemporanea) di diventare spa.
Intanto una parte dei soci si sta organizzando, per cercare far sentire la propria voce. Il Patto per la Bpm (un patto parasociale di preventiva consultazione) ha presentato una mozione per chiedere l’introduzione del voto maggiorato e l’emissione di ’azioni speciali’ (in vista della trasformazione) e di procedere prima con l’aggregazione e poi con la spa, in modo da poter votare l’operazione ancora con il voto capitario. La mozione è stata firmata da una serie di ex dipendenti, ma anche da Gigi Ramponi, tra i fondatori dell’associazione “Per la cooperativa Bpm” (che ha presentato a suo tempo la lista Giarda). Ramponi ha detto chiaramente: «Vogliamo essere ancora protagonisti, come soci, prima della trasformazione in spa». Ma la mozione ha avuto anche la firma di Piero Lonardi, fondatore del Comitato soci non dipendenti, che punta a coinvolgere anche il consiglio di sorveglianza nelle scelte strategiche del partner (ruolo che lo Statuto Bpm assegna al consiglio di gestione). Insieme, i sostenitori della mozione potrebbero avere una quota di capitale Bpm vicino al 5%. Ma Lonardi in assemblea ha detto anche altro: «Dobbiamo essere polo aggregante, ma non con una grande banca ma meno efficiente di noi. Meglio procedere per step successivi, aggregando banche più piccole». La contrarietà, non esplicita ma chiara, è per il Banco popolare. E la sua posizione potrebbe non essere isolata.
Infine Vicenza. L’aggregazione tra la Popolare di Vicenza e Veneto banca «consentirebbe di creare un gruppo bancario tra i primi in Italia e, proprio per le su dimensioni, difficilmente scalabile » ha detto il presidente Gianni Zonin («Considero il Banco Popolare orientato verso il Nord-Ovest», ha detto). L’obiettivo è di arrivare alla trasformazione in spa entro l’anno. Comunque, ha aggiunto, «non sarò presidente della spa». Ora la parola passa a Montebelluna (l’assemblea è sabato prossimo). Per Zonin non è stata un’assemblea semplice: molti soci hanno protestato per il taglio del valore dell’azione ma i malumori maggiori ci sono stati per i lunghissimi tempi di attesa per vendere le azioni (a breve dovrebbe partire una piattaforma di negoziazione).
Per quanto riguarda il Creval, invece, l’ad Miro Fiordi ha detto che non parlerà mai «di fusioni. Dico solo di fare un’analisi, senza fazioni tra guelfi e ghibellini».
Vittoria Puledda, la Repubblica 12/4/2015