Alberto Flores D’Arcais, la Repubblica 12/4/2015, 12 aprile 2015
USA-CUBA, INCONTRO STORICO OBAMA: “VOLTIAMO PAGINA” CASTRO: “SEI UN UOMO ONESTO”
PANAMA.
Con un quarto di secolo di ritardo la Guerra Fredda finisce anche sul continente americano. Una stretta di mano venerdì sera, una schermaglia dialettica priva di insulti e con qualche complimento reciproco ieri mattina, un faccia a faccia a porte chiuse nel pomeriggio prima di ripartire alla volta delle rispettive capitali. Barack Obama e Raúl Castro sono stati le star indiscusse del Vertice delle Americhe, per due giorni si è parlato (quasi) solo di loro e della pace annunciata tra Cuba e Stati Uniti. Ed eccola finalmente la “svolta storica” destinata a cambiare le relazioni politiche e commerciali di un’area del mondo per oltre 50 anni divisa tra rivoluzioni più o meno riuscite, golpe veri o da operetta, dittature sanguinose e interventi militari, nuove democrazie e improvvisati “caudillos”. Il tutto all’ombra di quella superpotenza yankee tanto odiata quanto necessaria a tutti. Mancavano pochi minuti alle tre del pomeriggio quando (dopo la rituale foto collettiva che ha chiuso il vertice) Obama e Raúl Castro si sono incontrati in una piccola saletta. «Questo è ovviamente un meeting storico, dopo 50 anni di politiche che non hanno portato a nulla è tempo di provare qualcosa di nuovo». Così il presidente Usa ha rotto il ghiaccio aggiungendo, mentre il leader cubano sorrideva, «adesso siamo nella posizione di aprire una nuova strada verso il futuro ». Ci sono ancora divergenze ovviamente ma si può «essere in disaccordo con uno spirito di rispetto reciproco» perché questo è quanto «la maggioranza di americani e cubani» hanno dimostrato di volere: «con il tempo sarà possibile voltare pagina e sviluppare nuove relazioni tra i nostri due paesi».
Dopo queste parole una stretta di mano ha suggellato la pace. Castro (che ha parlato in castigliano) si è detto d’accordo. «Possiamo avere differenze, ma sempre rispettando le idee degli altri. Siamo pronti a discutere ogni cosa, ma dobbiamo essere pazienti, molto pazienti. Oggi non siamo d’accordo su qualcosa su cui magari domani troveremo invece un accordo» e rivolgendosi alle due delegazioni ha concluso: «Ascoltate i vostri leader». Obama ha riso e ha ringraziato, poi i giornalisti sono stati fatti uscire. Delle cose importanti, che ci sia accordo o meno (la prima è l’apertura delle ambasciate a Washington e l’Avana), parleranno senza orecchie indiscrete.
«La guerra fredda è finita già da tempo, non sono interessato a dispute iniziate prima ancora che io nascessi. Il fatto che il presidente Castro ed io sediamo entrambi qui rappresenta un’occasione storica». Così aveva parlato Obama alla riunione plenaria della mattina, strappando applausi che erano diventati meno convinti quando aveva criticato, senza far nomi ma in modo piuttosto esplicito, regimi quali Cuba e Venezuela: «Credo che tutti i nostri governi abbiano l’obbligo di difendere le libertà universali e i diritti di tutti». Aveva riconosciuto gli errori del passato: «Non pensiamo di essere perfetti, ma crediamo che non mettere la gente in carcere per le proprie idee sia la cosa giusta da fare».
Dopo pochi minuti il momento più atteso da tutti, quello in cui per la prima volta un leader cubano ha avuto diritto di intervento a un summit delle Americhe. «Era ora che io potessi prendere la parola qui a nome di Cuba, mi hanno detto che potevo parlare per otto minuti, ma visto che mi devono sei vertici, facciamo otto per sei, 48», continua suscitando l’ilarità degli altri capi di Stato, Obama compreso. Non ha invece sorriso il presidente Usa, quando il leader cubano ha difeso a spada tratta il Venezuela di Maduro (gli aiuti di Caracas, sia pure in forte diminuzione, restano vitali per il regime castrista) suscitando i sentiti applausi di gran parte dell’assemblea, in cui l’anti-americanismo — nonostante il nuovo corso di Obama — è una sorta di riflesso pavloviano. Raúl se li è presi quasi tutti i 48 minuti, una violazione del protocollo ben tollerata dai presenti (Usa compresi), del resto la sintesi non fa parte dell’arte oratoria dei fratelli Castro (Fidel insegna). Al pragmatismo di Obama ha concesso l’onore delle armi («è una persona onesta»), gli ha chiesto scusa («non è responsabile di quanto fatto dai dieci presidenti che lo hanno preceduto »), ha definito «un passo positivo e coraggioso» la decisione del presidente Usa di eliminare Cuba dalla “lista nera” dei paesi che sponsorizzano il terrorismo.
Che ci fosse aria di pace (e di festa) lo si era capito già dalla serata di venerdì, quando alla cerimonia di apertura del vertice Obama e Raúl avevano avuto un breve incontro, quasi soffocati dagli altri delegati, con stretta di mano, replica — ma questa volta con il timbro dell’ufficialità — di quella avvenuta al funerale di Nelson Mandela nel 2013. E quando Obama, al forum dei leader della società civile, aveva detto: «Sono finiti i giorni in cui la nostra agenda in questo emisfero supponeva che gli Stati Uniti potessero interferire con impunità».
In una data così importante per l’America Latina non potevano mancare le parole del Papa argentino. Un messaggio in castigliano, letto dal Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, in cui Francesco ha denunciato «l’iniquità e l’ingiusta distribuzione delle risorse che sono fonte di conflitto e di violenza tra i popoli » e ha criticato la teoria dello “sgocciolamento” della ricchezza dall’alto al basso: «Non è sufficiente che i poveri raccolgano le briciole dai tavoli dei ricchi». Unico a sentirsi escluso il caudillo venezuelano Nicolas Maduro, che ha snocciolato le solite accuse per poi sollecitare ad Obama un incontro. Ma il presidente Usa aveva già abbandonato la sala.
Alberto Flores D’Arcais, la Repubblica 12/4/2015