Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 12/4/2015, 12 aprile 2015
RIFORME ELETTORALI, PREVALE SEMPRE L’INTERESSE DI PARTITO
Le leggi elettorali fanno parte delle regole del gioco. Quindi appartengono a tutti i giocatori. Quindi qualsiasi cambiamento deve essere approvato da tutti o quantomeno da una larga maggioranza. Questa è la litania che sentiamo ripetere dai critici dell’Italicum.
La riforma voluta da Renzi peccherebbe di illegittimità perché nelle prossime settimane potrebbe essere definitivamente approvata alla Camera con una maggioranza semplice.
In un mondo ideale questa litania ha dei meriti. Come si fa a negare che sarebbe meglio approvare le regole del gioco con il consenso di tutti? Il problema è che nel mondo reale questo è estremamente difficile. Le regole elettorali sono un argomento molto sensibile. Tocca gli interessi vitali della classe politica. Per di più è la classe politica che deve votarle in una situazione in cui gli effetti positivi e negativi di qualsiasi modifica sono stimabili. Non esiste un velo di incertezza che possa lasciare nel dubbio chi deve decidere - cioè gli stessi destinatari della decisione - sui costi e sui benefici del cambiamento. Perché un partito danneggiato dalla riforma dovrebbe votare a favore? Per fare l’interesse generale del paese? Ma nemmeno per sogno. Su questo tema vale soltanto l’interesse di partito e oggi sempre di più l’interesse personale. Per questo è difficile fare delle riforme elettorali “imparziali”. Una riforma imparziale, che raccolga il consenso di quasi tutti, è una non riforma. L’eccezione potrebbe essere un sistema proporzionale che garantisca alle elezioni a ciascun partito il suo senza curarsi del dopo, cioè della formazione dei governi e della loro stabilità.
Tutte le leggi elettorali della Seconda Repubblica, con una unica eccezione, sono state approvate da minoranze, sia quelle che sono durate nel tempo come la legge dei sindaci e dei presidenti di regione sia la legge Mattarella che, approvata nel 1993, è stata cancellata nel 2005. Tenendo conto dei membri della Camera (630), e non solo dei votanti, solo il porcellum è stato approvato da una maggioranza (il 51,3%). La legge che ha introdotto l’elezione diretta dei sindaci ha ricevuto il consenso del 46,8% dei membri della Camera. E nonostante questa esigua “maggioranza” è ancora lì ed è apprezzata. Lo stesso dicasi per la legge Tatarella che ha introdotto (dopo correzioni) l’elezione diretta dei governatori regionali. L’ha approvata il 42,4% dei deputati. La legge Mattarella ha ricevuto solo il 39,4% dei consensi alla Camera. Tra l’altro queste diverse “maggioranze” sono molto variabili. Il Pds ha approvato la legge sui sindaci ma si è astenuto sulla legge Mattarella. La Lega Nord ha votato contro la legge Ciaffi (sindaci) ma vota a favore della legge Tatarella e della Mattarella oltre – naturalmente – della Calderoli. Sono leggi simili ma i partiti votano secondo le convenienze del momento. Questo è il modo con cui si sono cambiate le regole di voto in Italia. Renzi ha provato a fare diversamente. Non ha proposto un “suo” modello. Ne ha proposti tre. Era pronto a discutere con tutti. Ha risposto solo Berlusconi. Il cavaliere ha condiviso le scelte sull’Italicum fino alla elezione del nuovo presidente della repubblica. L’Italicum in discussione alla Camera è quello approvato con i voti di Berlusconi al Senato alla fine di Gennaio di quest’anno. Adesso non va più bene. Una conversione sulla via di Damasco. Perché? Per ragioni ideali o per convenienze contingenti?
In buona fede o in mala fede chi oggi pretende che la riforma elettorale si faccia con una larga maggioranza non fa che difendere lo status quo, e cioè quel sistema proporzionale che la Consulta ha confezionato con la sua sentenza. Ed è un sistema che non fa bene al nostro paese. Rimetterebbe nelle mani di partiti debolissimi la formazione dei governi. Meglio invece che questa decisione sia affidata agli elettori. Ed è questo che fa l’Italicum con il suo premio e con il ballottaggio. Ma è cosa che non piace a tutti. E allora fa comodo gridare da una parte al pericolo di autoritarismo e dall’altra al rischio di illegittimità derivante da una approvazione della riforma con la maggioranza semplice. L’uno e l’altro atteggiamento sono fuori luogo. Nella migliore delle ipotesi sono riflessi della nostalgia per la proporzionale. Un sistema che andava bene nel 1948. Ma non oggi. I tempi sono cambiati. Servono regole nuove per dare un minimo di governabilità a questo paese.
Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 12/4/2015