Gianni Toniolo, Il Sole 24 Ore 12/4/2015, 12 aprile 2015
LA LEZIONE DI HAMILTON E GLI STATI UNITI D’EUROPA
La Grande Recessione ha avuto effetti positivi e negativi sul processo di integrazione europea. Tra quelli positivi il principale è l’Unione Bancaria, altro importante trasferimento di sovranità dai singoli Paesi alla Ue. Tra le conseguenze negative, quella più insidiosa è il rafforzamento di partiti populisti anti europei.
E conseguenze altrettanto insidiose sono la percezione di un deficit democratico nei processi di decisione europei, incomprensioni e sospetti tra i Paesi membri che hanno condotto alla rinazionalizzazione dei mercati, anzitutto finanziari. Ciò rende difficile riprendere il necessario cammino dell’integrazione, mentre stiamo lentamente lasciandoci alle spalle la recessione. Perché ciò sia possibile, è necessario anzitutto “sistemare” il passato, come si è fatto dopo traumatiche cesure quali guerre, rivoluzioni o, appunto, crisi sistemiche.
La guerra d’indipendenza delle 13 colonie nordamericane durò sette anni. Pose le premesse per la creazione di un grande Paese e di un robusto sviluppo economico ma esasperò preesistenti tensioni tra colonie con interessi economici divergenti e ne produsse di nuove, derivanti soprattutto dal cospicuo debito accumulato per finanziare la guerra, assunto in modo ineguale dai diversi stati. Dopo la firma del trattato di pace con il Regno Unito (1782), la lotta politica si fece accesissima tra chi credeva in un forte stato federale (Hamilton, Madison, Jay) e i fautori, guidati da Jefferson, di un’unione leggera tra Stati largamente autonomi, che esorcizzasse la temuta tirannia del governo centrale. Non fu facile approvare la Costituzione del 1787 e ottenerne la ratificazione da parte di ciascuno Stato. Compiuto questo passo decisivo, si trattò di creare condizioni che permettessero ai neonati Stati Uniti di sfruttare le loro enormi potenzialità di crescita. Per impostare una politica condivisa, basata su una visione di lungo periodo, era necessario “sistemare” il passato, in particolare la questione dei debiti statali, assunti dal governo federale. Hamilton, ministro del tesoro del presidente Washington, sostenne che l’impegno a ripagare l’intero debito avrebbe richiesto un aumento delle imposte che avrebbe ridotto le potenzialità di sviluppo e prodotto una rivolta fiscale. Ciò sarebbe stato, a suo parere, contrario agli interessi degli stessi creditori. A questi Hamilton disse senza mezzi termini che si «aspettava una gioiosa partecipazione alla modificazione dei contratti in essere, sulla base di principi di equità che consentissero di stipulare un accordo durevole e soddisfacente per tutta la comunità». In altre parole, chiese quello che oggi si chiama haircut. Sistemata l’eredità del passato, Hamilton poté dedicarsi alla creazione di uno stabile sistema finanziario e all’impostazione di politiche industriali e commerciali sulle quali fu costruito lo sviluppo dei neonati Stati Uniti.
Anche l’Europa di oggi ha combattuto una guerra, per fortuna solo economica, dalla quale esce più divisa, stanca, oppressa da un debito complessivamente sostenibile ma tale da accentua tensioni, sospetti, incomprensioni perché distribuito in modo ineguale tra i paesi membri. L’Unione Europea, o la sola unione monetaria in un quadro a “geometrie variabili”, ha bisogno di riprendere il cammino verso una maggiore integrazione in un quadro di più compiuta democrazia comunitaria. La precondizione è un’equa “sistemazione” del passato. È una visione rigorosa ma miope quella che intende equità come difesa incondizionata dei creditori che hanno tutte le ragioni per volere vedere rispettati i contratti sottoscritti dai debitori ma che finirebbero per perdere forse più di questi ultimi, non solo nel caso estremo di un default disordinato o di un’implosione dell’Euroarea ma anche dal trascinarsi della bassa crescita con elevata disoccupazione. Se Hamilton rivivesse oggi come cittadino europeo troverebbe probabilmente il modo di tagliare quella parte del debito greco che non è evidentemente rimborsabile nelle condizioni attuali, con un contratto chiaro che obblighi Atene a ristrutturare della propria economia per rilanciarne lo sviluppo (e quindi il rimborso della parte maggiore del debito) e saprebbe trovare il modo di compensare gli irlandesi e i portoghesi che, avendo pagato, si appellano all’equità anche nei propri confronti. Il nostro Hamilton redivivo troverebbe il modo – non mancano le proposte, formulate anche su questo giornale (per esempio da Carlo Bastasin il 4 aprile) – di creare un profondo e integrato mercato europeo dei titoli pubblici, nazionali e comunitari, indispensabile sia al rilancio degli investimenti sia all’efficacia della politica monetaria sia, infine, alla riduzione delle tensioni tra stati membri. Sistemato il passato, sarà più facile riprendere poi il collaudato metodo europeo dei lenti ma costanti passi verso un’integrazione del mercato energetico, dei servizi di rete (agenda digitale), dell’indennità di disoccupazione, puntando infine a forme di unione fiscale, militare e della politica estera. Un’Europa solida e unita è oggi più indispensabile che mai ai suoi cittadini e al mondo. Purtroppo il clima politico e sociale, eredità della crisi, non favorisce la ripresa della necessaria integrazione: lo migliorerebbe assai una sistemazione dell’eredità della crisi che avesse i caratteri dell’equità hamiltoniana.
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Gianni Toniolo, Il Sole 24 Ore 12/4/2015