Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 12 Domenica calendario

LA PRIMA LETTERA DELL’ALFABETO È LA E

Nella Biblioteca di Babele immaginata da Borges, gli scaffali contengono tutte le possibili combinazioni di simboli ortografici, «cioè tutto ciò che è dato d’esprimere, in tutte le lingue». Più che un libro, l’universo è un enigma o un anagramma: liste, liste e ancor liste (come recita uno dei possibili anagrammi delle 10 lettere più usate in italiano).
La frequenza delle lettere nelle diverse lingue – in effetti – più che gli studiosi di linguistica, interessa tradizionalmente chi crea codici o chi prova a decifrarli. Non è certo un caso che per rendere la E, la più frequente in inglese, l’alfabeto Morse usi il solo punto; mentre per rendere la meno frequente, la Q, ricorra a una serie di ben cinque segni. E sulla frequenza delle lettere si basano, storicamente, i metodi di decrittazione dei codici cifrati.
La visualizzazione mostra le vicinanze create dalle lettere più frequenti, che spesso coincidono con le parentele linguistiche. Sì, però vuoi mettere il fascino delle lettere meno usate? Gianni Rodari dava voce a quell’H che da noi non vale un’acca, mentre «all’estero ci sono Paesi, e lingue, in cui l’acca ci fa la sua figura». «Voglio andare in Germania, pensava l’Acca quand’era più triste del solito» (e in effetti in tedesco è, come in inglese, tra le prime dieci).
Dalla parte degli ultimi — per ordine e uso — si schierava Toti Scialoja, portando alla ribalta la zeta: «Una zanzara di Zanzibàr/ andava a zonzo, entrò in un bar,/ “zuzzurellona” le disse un tal/ “mastica zenzero se hai mal di mar”» (in questo caso una buona meta poteva essere la Polonia, in cui la zeta è al nono posto). Per non parlare di Calvino, che chiamò Qfwfq il protagonista delle Cosmicomiche , come se non potesse permettersi di comprare una vocale.
Un po’ in declino, peraltro, appare ultimamente il fascino delle lettere esotiche. Quello che un tempo fu il K politico di Amerikano e poi il K ludico-sintetico di ki 6? sta pian piano uscendo dall’uso. E nonostante si parli tanto di «fattore X», trascina con sé anche l’altra abbreviazione simbolo della scrittura telematica. Perché oggi scrivere xké è considerata dai ragazzi una cosa da sfigati. Ha fatto il suo tempo anche la W del www , già dimidiata nella pronuncia: nessuno dice più «vuvvuvvù mi piaci tu». Chissà, invece, fino a quando si scriveranno insegne come C’è pizz@ per te . Ignorando, oltretutto, che la chiocciola non è un lettera: è un logogramma.