Paolo Conti, Corriere della Sera 12/4/2015, 12 aprile 2015
I BAMBINI SANNO TUTTO
I l titolo dell’ultimo film di Walter Veltroni, I bambini sanno , è una trasparente premessa a ciò che lo spettatore vedrà. Ovvero i bambini sanno davvero tutto, ben più di quanto immaginino molti «grandi», soprattutto i più compresi nel proprio ruolo di adulti, spesso tristi perché si difendono dalle emozioni e dalla sincerità. Ovvero la lingua interiore con cui loro, i bambini, felicemente e liberamente si esprimono. I bambini sanno, lo racconta il piccolo Lorenzo Farina, «quanto è difficile vivere, vivere ad un’età, dieci anni è un’età difficile da fare, per me gli adulti non sanno quanto sia difficile per un bambino vivere».
Il film di Veltroni (una produzione Sky, realizzata da Wildside in collaborazione con Palomar, sarà distribuito nelle sale da Bim dal 23 aprile, apparirà in prima tv a settembre su Sky Cinema) lascia lo schermo a loro, a trentanove bambini tra i 9 e i 13 anni, che parlano — appunto — di tutto. L’amore, la famiglia, la crisi economica, il rapporto con Dio, le passioni, il dolore. E la loro condizione di bambini. Diverse le età, il colore della pelle, lo status sociale, la provenienza geografica. Lo sfondo è sempre il loro mondo, cioè la stanza in cui vivono. Ad accompagnarli c’è la colonna originale di Danilo Rea e a descriverli provvede la fot ografia di Davide Manca.
Sedici rapide sequenze di grandi film dedicate ai bambini (da Billy Elliot di Stephen Daldry a Kaos di Paolo e Vittorio Taviani a I bambini ci guardano di Vittorio de Sica) ci introducono alle interviste. L’autore non appare mai. Si sentono solo le sue domande fuori campo. Nessuno recita semplicemente perché tutti sono se stessi. Non recitano le gemelle Luna e Gaia Buggiani, forse la sequenza più coinvolgente. Hanno nove anni e vivono vicino a Verona. Luna è nata con la sindrome di Down e il legame tra loro è solidissimo, si guardano complici, si toccano le mani. Stanno sempre insieme, spiega Luna, «perché noi siamo sorelle». Luna sa spiegare benissimo la sua operazione al cuore e le emozioni che le procura il fidanzato Giulio. Gaia ammette di essere la più timida e racconta di quando è stata separata da Luna per l’operazione: «Io ho detto, come faccio senza mia sorella?». Patrizio Cuozzo racconta di quando è caduto dal letto a castello, ha sbattuto la testa e da allora ha preso a leggere, a leggere, a leggere: «Le cose più difficili, Divina Commedia , Shakespeare, Molto rumore per nulla , Otello , Romeo e Giulietta , mamma dice che è colpa della botta» E attacca a memoria, senza alcuna esitazione, per un bel pezzo, guardando dritto in camera: «Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura/ che la diritta via era smarrita…»
L’universo delle passioni è sterminato. Michael Martini è già un asso del circo, riesce a fare quattro salti mortali di fila, «io non sento niente quando vado lì, sento solo che lassù sto bene». Piergiorgio Del Volgo è di Lampedusa, si tuffa tutti i giorni, gli piace «il mare che è azzurro, si vede perfetto». Da grande rimarrà lì perché (quale adulto riuscirebbe a dirlo così?) «se lascio la mia isola, l’abbandono, come se abbandono un cane o la moglie». Invece Giovanni Viberti è figlio di un agricoltore e ha cominciato da piccolo a collezionare fotografie e figure di trattori, ha riempito volumi interi ritagliando «L’Imprenditore agricolo». È felice della sua vita e da grande, ovvio, vuole fare l’agricoltore.
C’è molto dolore, perché c’è nella vita di tutti. A Diego Tiusaba bastano poche parole («non mi chiama quasi mai, una volta l’anno») per descrivere la ferita di quel padre assente, «rimasto in Colombia con la sua fidanzata») e che non gli porterà mai la bicicletta promessa. Il padre di Benedetta Fiore è morto, lei rimpiange il suo profumo, «un misto di Acqua di Parma e di sigarette», le loro litigate che finivano sempre nella pace. E regala questa chiave per spiegare tanto dolore: «Impari a perdere qualcosa, a incassare, diciamo anche… non ti stupisci più di niente, perché magari prima potevi essere la persona più felice del mondo, poi dopo magari hai perduto tutto… quindi impari a non sottovalutare, come, cosa può fare la vita, diciamo perché è una cosa imprevedibile».
Marius Cirpaci vive in un campo nomadi a Torino, e all’inizio del film racconta di non aver mai visto il mare. Alla fine lo vedrà. Il film è tutto lì, nei suoi occhi quando lo scopre.