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 2015  aprile 12 Domenica calendario

LA CARICA DI TIGER: «SONO QUELLO DI PRIMA E POSSO FARE TUTTO»

Quando percorre il lungo corridoio dal green della 9 al tee della 10 fra due ali di folla, ha lo sguardo che punta lontano. «Tiger devi solo crederci», lo incoraggia un signore con pantalone corto a quadri e cappellino. In un recente passato, Tiger avrebbe tirato dritto senza distogliere gli occhi dal prato, invece alza la testa: «Lo so, fratello», gli dice squadrandolo per qualche istante. Nel secondo giro Tiger ci ha creduto: 69 con tre birdie e un bogey. Nelle 47 disastrose buche affrontate quest’anno, non era mai sceso sotto quota 70. Per questo all’inizio di febbraio, piegato anche dal mal di schiena, se n’era andato: «Mi trovo in uno stato pietoso, non sono in grado di competere a questi livelli».
IL MAZZO Venerdì ha azzeccato una serie di putt, ha giocato dei buoni approcci. In due mesi di assenza ha riparato il suo gioco corto, che sembrava merce avariata. E l’altro giorno aveva spiegato come: «Facendomi il mazzo dall’alba al tramonto». Ma una cosa è il campo pratica, un’altra è l’erba di un Major. Il primo round accettabile (73), il secondo gli ha ridato l’autostima smarrita. Venerdì era addirittura raggiante, nonostante fosse staccatissimo (-12) dal giovane Jordan Spieth: «Sono fiero di ciò che ho fatto perché ero proprio a terra e ora ho la convinzione di essermi ritrovato». Aveva tremendo bisogno di fiducia, di capire che la Tigre poteva ancora ruggire. È tipico di chi per anni pensa di essere invincibile e poi finisce malamente al tappeto. Il colpo del k.o. se l’era tirato da solo nel novembre del 2009 con quell’incidente d’auto che aveva scoperchiato una vita segreta fatta di sesso e rock and roll. Poi aveva ceduto anche il suo fisico: un crociato e mal di schiena cronico. È storia nota. La sua invulnerabilità svanita nel nulla. I suoi rivali non più spaventati di averlo alle spalle; le sue rimonte rimaste incompiute. Vicino all’antico albero che fa da sentinella alla Club House di Augusta, gli occhi che fissano gli interlocutori hanno il fuoco di una volta: «Sono dietro di 12 colpi, ma mancano due round e può ancora succedere di tutto». Il terzo giro di ieri lo ha iniziato con il piglio di una volta e la consapevolezza che un nuovo incidente di percorso non lo avrebbe fatto ricadere nella depressione delle ultime settimane. Tanto per aumentare l’adrenalina in circolo si è ritrovato accanto Sergio Garcia che nel 2013 gli fece una battuta razzista. L’incidente si chiuse, ma fra i due non è mai corso buon sangue. Ieri marciavano a distanza: come se lo spagnolo fosse soltanto un’ombra anonima. Tiger ha di nuovo la faccia cattiva. Nel mirino, fairway e green. Lo incitano, lo applaudono. C’è una folla da grandi occasioni al tee della uno, un entusiasmo mai scomparso anche nei momenti bui. Lui ricambia con un sorriso e un birdie al par-5 della due. Poi seguono altri due birdie consecutivi. Proprio l’inizio che sperava. Nelle orecchie l’incoraggiamento del giorno prima: «Tiger, devi solo crederci». Ora gli sembra persino impossibile che avesse smarrito la fede.