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 2015  aprile 12 Domenica calendario

LO SCATTO DEL LEONE

È stato grande il coraggio di Atif Saeed, fotografo freelance in Pakistan, davanti a quel leone che, disturbato dal clic della macchina fotografica, gli si è lanciato contro per attaccarlo. Con sangue freddo — lui stesso oggi se ne stupisce — ha continuato a scattare foto fino all’ultimo istante, fino a quell’attimo che separa vita e morte, regalandoci così queste immagini straordinarie.
Ci ha messo di fronte il grande predatore, nel momento in cui spicca il balzo finale, con tutta la concentrazione e la tensione che l’atto predatorio richiede. Ci mostra cosa significa essere preda e cosa una preda si vede di fronte in quell’ultimo momento. Il bravo fotografo, per un soffio, e per fortuna, si è salvato chiudendosi nell’auto. E noi,ora, guardando quel magnifico muso di leone, forse, ci stupiamo di quell’espressione, di quella palese ferocia del carnivoro davanti a una preda.
Non è di certo quella la faccia del leone nel delizioso film Il re Leone o in tante altre ricostruzioni disneyane. Loro hanno occhi tondi, dolcemente bruni, criniere morbide, denti che si vedono solo in qualche sbadiglio. Il ruolo di predatore è, a dir poco, sfumato: mai carcasse sanguinolente o artigli conficcati nelle carni delle prede. Al massimo posture baldanzose o boriose, da re della foresta, appunto.
Siamo cresciuti con quest’idea e del resto non ci è stata smentita nemmeno dalle esperienze dei viaggi che, da adulti, è capitato di fare nei parchi africani. Ci hanno portato con molta circospezione a vederli, i leoni. Quelli veri, finalmente. Ed eccoli: sdraiati, tranquilli, sonnolenti, che si passano svogliatamente la coda sul corpo per scacciare gli insetti. Ed è così che in qualche modo si è sopita quell’ancestrale paura del predatore che ci portiamo dentro.
Le belve selvagge infatti hanno da sempre condiviso l’ambiente in cui ci siamo evoluti. La loro fame è stata una realtà che si poteva eludere ma mai dimenticare. Che un grande carnivoro uscisse dalla foresta per predare un essere umano è stata una sventura consueta. Come ha evidenziato David Quammen in Alla ricerca del predatore alfa (Adelphi): «Una delle prime forme dell’autoconsapevolezza umana fu sicuramente la percezione di essere pura e semplice carne».Il termine man-eater , mangiatore di uomini, oggi può sembrare inattuale, ma sono molte le storie di grandi carnivori che si specializzarono nel predare esseri umani. Come i due leoni, probabilmente fratelli, di Tsavo, in Kenya, alla fine dell’Ottocento. Quelle belve antropofaghe vennero uccise e dall’analisi isotopica delle loro carni si stabilì che avevano ingerito 35 prede umane, tutti operai addetti alla costruzione di una linea ferroviaria.
È stato dunque davvero fortunato quel fotografo. E grazie al suo coraggio anche noi godiamo di immagini di grande bellezza. G. B. Schaller, studioso di leoni scrive: «La semplice vista di un leone in riposo contribuisce a dare autenticità ad una scena africana, ma un leone in caccia dà quel tocco di tensione vitale che trasforma un’esperienza in rivelazione» .