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 2015  aprile 12 Domenica calendario

STORIA DEL TESORETTO (E DELLE SORPRESE AMARE) DA PRODI A BERLUSCONI

Un consiglio: non chiamatelo tesoretto. Porta una sfiga tremenda. Eppure nessuno resiste. Non ci riesce Matteo Renzi, che dopo aver incassato da Banca d’Italia e Confindustria stime di crescita ancora migliori di quelle governative annuncia: «Tutto quello che viene in aggiunta è un tesoretto che utilizzeremo». Incurante del fatto che le previsioni si rivelano poi regolarmente sballate. Ma non ce la fa neppure il suo spin doctor Yoram Gutgeld, deputato democratico che forse da economista smaliziato dovrebbe andarci con i piedi di piombo. «Con l’aggiornamento dei dati sul deficit avremo 10 miliardi di tesoretto. Questi soldi li useremo nella prossima manovra che sarà di natura espansiva», dichiara il 2 ottobre 2014.
Sapeva l’attuale commissario alla spending review che il destino dei tesoretti è quello di svanire prima ancora di materializzarsi? Del «tesoretto» che secondo la sottosegretaria allo Sviluppo Simona Vicari il governo di Enrico Letta avrebbe dovuto utilizzare per evitare fra l’altro l’aumento dell’Iva, non si è sentito l’odore. Né le famiglie, alle quali secondo i relatori della legge di stabilità dell’esecutivo di Mario Monti (Pier Paolo Baretta e Renato Brunetta) dovevano andare quei soldi, si sono mai realmente accorti dell’esistenza del «tesoretto» da 6,7 miliardi (in tre anni…) di cui si favoleggiava da mesi. Per non parlare del «tesoretto» da 5,8 miliardi che nei primi giorni di luglio del 2011, mentre lo spread con i bund ci stava facendo a pezzi, saltò fuori all’improvviso durante un incontro fra il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e il premier Silvio Berlusconi (che per inciso erano già da un bel pezzo ai ferri corti). Nessuno seppe spiegare come la cosa era nata. Fatto sta che solo un mese dopo si dovette fare una nuova feroce manovra. E il tesoretto di cui la stampa aveva parlato? Dissolto.
Da dove origini questa maledizione nessuno sa dirlo con certezza. Forse dal fatto che quel vocabolo, «tesoretto», spunta per la prima volta nel lessico della politica in qualche occasione decisamente poco edificante. Durante Tangentopoli, per essere espliciti. L’ex amministratore delegato di Cogefar Impresit, Antonio Mosconi, racconta ai giudici del pool di Mani pulite di un conto svizzero, a Lugano. «Un tesoretto costituito all’estero per il pagamento di provvigioni»: parole sue, scritte nei verbali. E «tesoretto», dice il settimanale Panorama, è l’affettuoso nome dato a un armadio piazzato in un corridoio a casa di Francesco De Lorenzo dove l’ex ministro della Sanità travolto dalle inchieste sulle tangenti custodiva i documenti contabili. Mentre Silvio Berlusconi è pronto a giurare che sul «tesoretto» di Bettino Craxi, come tutti lo chiamano dai giornali ai giudici, siano state dette soltanto falsità. «Posso assicurare che è morto povero e non ha lasciato alcun tesoretto. Quando sono stato a casa sua ho avuto modo di vedere i suoi armadi, e nel guardaroba c’erano solo jeans e maglioni. Le vacanze le passava in casa di amici e ad Hammamet dove c’erano solo dei Permaflex sulle reti...», dice un giorno alla presentazione di un libro di Bruno Vespa. Ignaro del fatto che ben presto toccherà anche a lui mettersi alla ricerca di un tesoretto.
Non per rifarsi il guardaroba. Bensì per tentare di rovesciare i sondaggi che danno il suo consenso in caduta libera. È la fine del 2004, al posto di Tremonti c’è Domenico Siniscalco. I conti pubblici zoppicano vistosamente ma il Cavaliere non vuole sentire ragioni e ordina di tagliare le tasse. Si deve trovare un «tesoretto» da almeno 6 miliardi, e si trova. In che modo? Aumentando bolli, altre imposte e gabelle varie. Insomma, un gioco delle tre carte che alla fine non serve a evitare la sconfitta elettorale.
Se possibile, al suo successore Romano Prodi va ancora peggio. In due anni si trova per le mani ben due presunti tesoretti. Il primo, da 6 miliardi e mezzo, scatena una tale euforia che si fa perfino un a legge con quel nome: il «decreto tesoretto». Una macedonia nella quale c’è qualcosa per tutti, dai pensionati alla Pubblica amministrazione. Passa con la fiducia. Al Senato, grazie all’assenza di due onorevoli della destra e al voto di tre senatori a vita. Ma sono briciole così piccole da risultare inutili. E questo nonostante L’Ocse, il Fondo monetario e l’Unione Europea abbiano scongiurato il governo di pensare semmai a tagliare il deficit, con quei pochi soldi. Il secondo tesoretto, di 4 miliardi, è soltanto di chiacchiere. Se ne discute per mesi: i sindacati fanno la voce grossa, pretendendo l’aumento dei salari. In Parlamento passa un ordine del giorno, poi niente più. Il governo Prodi è già caduto ed ecco di nuovo Berlusconi. Il quale ha promesso in campagna elettorale di usare il «tesoretto» bis di Prodi «per abolire il bollo auto». Che sette anni dopo ancora paghiamo.
Il “tesoretto”, manco a dirlo, era passato allo stato gassoso in un amen. «Un “termine demenziale”», l’aveva definito il presidente della Regione Toscana Claudio Martini. L’unico che aveva capito tutto.