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 2015  aprile 12 Domenica calendario

La guerra gallica in punta di penna Nessuno aveva chiesto a Caio Giulio Cesare di conquistare la Gallia

La guerra gallica in punta di penna Nessuno aveva chiesto a Caio Giulio Cesare di conquistare la Gallia. Grande aristocratico, amato, temuto e carico di debiti, trovò un pretesto per raggiungere le legioni romane stanziate nelle Gallie e raccontò poi la sua impresa nel libro che tutti citano come De bello gallico. Memorie di un generale trionfante? No, molto di più. Perché Cesare a cinquant’anni era un uomo dalle mille esperienze. Educato in Grecia – oggi sarebbero Oxford e Cambridge – fu sempre un cultore delle arti e delle belle lettere, uno scrittore d’alto rango. Astuto e cinico quanto occorreva per muoversi nei tempi turbinosi dell’ultima Repubblica. Esperto di cose militari, aveva poi il carisma del capo in mantello rosso e spada sguainata. Le varie tribù che popolavano sparsamente le Gallie cominciarono ad appoggiarsi a lui per difendersi da vicini bellicosi. E un pezzo dopo l’altro Cesare riuscì a «proteggere», mediante altissimi tributi, l’intero Paese, sempre in guerra, sempre con le sue legioni, che accorrevano a stroncare le confuse ribellioni dei barbari. Celebre resta la costruzione di un ponte sul Reno, che il Palladio cerco poi di illustrare con minuscoli soldati. Ci furono resistenza, distruzioni, massacri, ma alla fine vinsero sempre i legionari di Cesare. Che rientrò in Italia ritenendosi degno di onori trionfali. Che non vennero. Trovò invece Pompeo, agguerritissimo rivale, che nel crescente potere di Cesare intravedeva la fine della Repubblica e il ritorno alla monarchia, dopo secoli. La guerra civile era inevitabile. Ma questo è un altro libro che sarebbe davvero sciocco non leggere dopo il primo.