Massimo Gaggi, Corriere della Sera 11/4/2015, 11 aprile 2015
L’Avana La polemica antiamericana su Granma , il quotidiano del regime castrista, rimane aspra. E una grande parete del Museo della Rivoluzione all’Avana è sempre occupata dal-l’«angolo dei cretini»: le caricature di un Ronald Reagan in abiti da cowboy e dei due presidenti Bush (George jr con elmetto del Terzo Reich e svastica), ironicamente ringraziati perchè con la loro stupidità hanno aiutato la rivoluzione a consolidarsi
L’Avana La polemica antiamericana su Granma , il quotidiano del regime castrista, rimane aspra. E una grande parete del Museo della Rivoluzione all’Avana è sempre occupata dal-l’«angolo dei cretini»: le caricature di un Ronald Reagan in abiti da cowboy e dei due presidenti Bush (George jr con elmetto del Terzo Reich e svastica), ironicamente ringraziati perchè con la loro stupidità hanno aiutato la rivoluzione a consolidarsi. Il quarto presidente effigiato in divisa militare è un nero coi labbroni. Assomiglia a Obama ma rappresenta Fulgencio Batista: il capo del regime cacciato dalla rivoluzione castrista nel 1959. Memorie di tempi lontani. I cubani continuano a venerare Che Guevara, l’icona di una rivoluzione che ha dato al popolo orgoglio e identità. Ma l’uomo nuovo dell’utopia del Che non è mai nato. L’esperimento castrista è naufragato in un mare di povertà. Colpa dell’embargo americano, ha accusato per anni Fidel. Così, dopo i primi segni di disgelo del dicembre scorso e il procedere stentato dei negoziati per la normalizzazione delle relazioni Usa-Cuba, tra la gente l’attesa per il vertice panamericano di Panama è stata enorme. Persone che non amano parlare di politica ora favoleggiano di un incontro tra Obama e Raúl Castro dagli effetti miracolosi. Anche se poi tutti sanno che gli ostacoli sulla strada del dialogo sono enormi, che il presidente democratico non è in grado di ottenere il superamento dell’embargo dal suo Congresso e che non basterà togliere i vincoli fin qui imposti dagli americani per vedere l’economia cubana rifiorire. I cubani sono orgogliosi ma pragmatici. A Santa Clara, la città dove Guevara combattè la battaglia decisiva della rivoluzione e dove è sepolto, la gente guarda con fiducia a Obama e chi mantiene sentimenti d’astio nei confronti degli yanquis non pensa al Che giustiziato in Bolivia davanti ai consiglieri militari Usa, ma all’ostinazione di Washington che continua a isolare il Venezuela anche ora che Hugo Chávez non c’è più. La mobilitazione degli ultimi giorni non è stata tanto contro l’embargo quanto per cercare di convincere Obama a revocare l’ordine esecutivo col quale ha definito il Venezuela una straordinaria minaccia alla sicurezza degli Usa. Alla vigilia del vertice di Panama quattro milioni di cubani, cioè più della metà della popolazione adulta del Paese, hanno firmato una petizione a favore del Venezuela. E il motivo non è difficile da capire: le strade cubane sono semideserte non perchè manchino le auto (le vecchie berline Usa e le cabrio degli Anni 50 che danno colore a Cuba ormai montano nuovi motori diesel Mercedes prodotti in Corea) ma perchè un pieno di benzina costa quando due stipendi del cubano medio che non lavora nel turismo. E, dal dissolvimento dell’Urss, che aveva alimentato l’economia cubana con un flusso massiccio di aiuti, a Castro è rimasto solo l’aiuto di Caracas. Ma ora anche il Venezuela, fornitore unico e a prezzi scontatissimi dei combustibili bruciati a Cuba, è in crisi e rischia di scivolare nel caos. Mai Cuba si era presentata a un vertice panamericano con una delegazione così numerosa. Soprattutto artisti, medici e scienziati: operazione simpatia di un Paese che mette in vetrina la sua cultura, il sistema scolastico e la miglior sanità pubblica del Terzo mondo. Raúl Castro cerca di costruire sugli elogi di Obama e il suo riconoscimento che, Usa a parte, Cuba è il Paese che ha fatto di più per sconfiggere Ebola in Africa. Ma mettersi alle spalle 55 anni di ostilità profonda non è difficile solo per Obama: anche Raúl, che pure vuole liberalizzare, ha bisogno di tempo. «Ogni passo avanti che faremo nel perseguimento dell’eccellenza — dice il generale che ha sostituito il fratello Fidel al comando — dovrà essere accompagnato da un clima di ordine e disciplina».