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 2015  aprile 11 Sabato calendario

E adesso? Ora che il caso Milano ha piazzato più in alto l’asticella del rischio, che succederà nei palazzi di giustizia d’Italia? Può anche darsi che alla fine accadrà poco o nulla, come tendono a credere alcuni addetti del mestiere, chiamiamoli così

E adesso? Ora che il caso Milano ha piazzato più in alto l’asticella del rischio, che succederà nei palazzi di giustizia d’Italia? Può anche darsi che alla fine accadrà poco o nulla, come tendono a credere alcuni addetti del mestiere, chiamiamoli così. Ma certo mai come in queste ultime 48 ore si era parlato tanto del tema sicurezza/tribunali. Con una premessa comune: le azioni di un folle non sono né prevedibili né prevenibili. Detto questo, dopo i fatti di Milano, ora non c’è Palazzo di Giustizia che non stia rivendendo i propri sistemi di sicurezza, mettendo nel conto le stesse circostanze. Il nodo principale di ogni edificio è ovviamente l’ingresso. E se sul fronte milanese si sta ipotizzando l’installazione di tornelli con badge identificativi, altrove ci si attrezza per rendere iperattivi i metal detector che in molti casi erano già installati, sì, ma non utilizzati per tutti e che ieri sono diventati all’improvviso un imbuto da incubo: fabbriche automatiche di code infinite che hanno infastidito specialmente avvocati e personale amministrativo. A Genova, per esempio, non è stata una giornata semplice proprio per le lunghe code. A Bologna da ieri nuove disposizioni: controlli per tutti sotto il metal detector e passaggio di borse sotto lo scanner a infrarossi, avvocati compresi. A Venezia il vecchio progetto per mettere in funzione il metal detector arriva al momento giusto: si comincia dal 15 aprile. A Bari, invece, a partire dal 17 aprile, sarà operativa una postazione per il controllo dei documenti che sarà gestita dai carabinieri in congedo. Un piano comune per tutto il Paese non esiste, né è previsto da nessuna norma. Ognuno mette a punto la soluzione che ritiene più adeguata, quasi sempre metal detector , dicevamo, ma qualcuno sta immaginando anche l’installazione di sistemi di riconoscimento biometrico. Tullio Mastrangelo è il comandante della polizia municipale milanese ma, soprattutto, è un esperto di sicurezza che sull’argomento ha tenuto a lungo corsi al master «Space» della Bocconi. «La maggior sicurezza possibile» spiega, «è sempre legata all’impiego integrato di tre fattori: le risorse umane, le procedure e le tecnologie». Ma non c’è tecnologia o procedura che tenga se le persone che devono poi far funzionare il sistema non hanno sufficiente professionalità. Oppure, per dirla con un’altra esperta di sicurezza, la professoressa Paola Guerra, «si parte con una vulnerabilità di fondo se, nel definire un sistema che dovrebbe garantire sicurezza, si sottovalutano o, peggio, si ignorano due passaggi: l’individuazione delle minacce e la valutazione del rischio». Fondatrice e direttrice della Scuola internazionale di estetica e sicurezza dell’Aquila, la dottoressa Guerra si chiede se tutto questo a Milano è stato fatto: «Ci ho riflettuto, anche discutendone con gli studenti. Io credo che nel caso milanese questi due passaggi non siano stati fatti». E poi ci sono «palagiustizia», in Italia, dove le misure di sicurezza sono state «inventate» dagli stessi magistrati. Per esempio Pescara. «Quando fu aperto il nuovo Palazzo, nel 2004», ricorda l’ex procuratore capo Nicola Trifuoggi, «mi occupai di organizzare la sicurezza e mi inventai lo schema doppio che c’è ancora oggi: vigilantes che chiedono documenti e li trattengono consegnando un badge , ma fanno anche una telefonata per verificare se l’ospite è davvero atteso».