Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 11/4/2015, 11 aprile 2015
LE AMNESIE SU GIUSTIZIA E SICUREZZA
Va bene tutto, ma la meraviglia no. Non dopo che a Velletri parenti e amici di tre condannati per violenza sessuale avevano messo a ferro e a fuoco l’aula di tribunale, costringendo i giudici ad asserragliarsi per ore in una stanza ad aspettare i rinforzi come a un check-point di marines dispersi in Somalia. Non dopo che a Reggio Emilia in una causa di divorzio un uomo aveva ucciso la moglie e il cognato, sparato all’avvocato della donna e ferito un poliziotto prima di essere abbattuto da un altro agente casualmente in corridoio. Non dopo che a San Donato Milanese nel contesto di un’altra conflittuale separazione un padre aveva ucciso il figlio di 9 anni davanti agli assistenti sociali dell’Asl e si era suicidato. E nemmeno dopo che l’anno scorso a Nocera Inferiore — tribunale che come molti altri è senza metal detector, senza guardie agli ingressi, senza grate alle finestre dei giudici al primo piano e senza filtro interno perché dentro c’è persino un parcheggio comunale — un’udienza di sfratto era finita con il brutale pestaggio (braccio fratturato e denti rotti) del padrone di casa sottratto alla furia dell’inquilino solo dalla fortuita presenza di un magistrato cintura nera di arti marziali.
L a differenza con la strage di Milano è forse che questi eclatanti 13 proiettili sembrano di colpo risvegliare dall’amnesia sul congiunto bisogno di giustizia e sicurezza, e proiettare sull’ingigantita sanguinosa scala di 3 morti e 2 feriti l’ombra di quanto i tribunali siano oggi la prima e più esposta trincea, la calamita e al contempo la valvola di sfogo di sempre più rabbiose tensioni sociali, esasperate rivendicazioni economiche, aspre conflittualità familiari, represse frustrazioni personali.
Una miscela micidiale che, se trasforma in «nemici» simbolici i magistrati oggettivamente già bersaglio da parte di larghi strati della politica di quello «strisciante discredito» denunciato dal presidente della Repubblica, espone però al destino di capri espiatori anche gli avvocati che, proprio come nella commovente testimonianza della mamma del legale ucciso, tengono dritta la schiena deontologica e rifiutano di fare «la marionetta» del cliente.
Sul piano del contenimento dei rischi entro fisiologiche e mai del tutto eliminabili percentuali di imprevedibilità, non sarebbe difficile individuare utili correttivi, a patto però di fare seguire alle parole i soldi per le dotazioni tecnologiche e i fatti per rimediare alla disfunzionale sovrapposizione di competenze: quella che in molti casi, come sui 30.000 metri quadrati dei 7 piani di Milano, vede un ministero proprietario (Economia), un ministero utilizzatore (Giustizia), un ministero attore della manutenzione straordinaria (Infrastrutture), e un ente pubblico (il Comune) chiamato a pagare la manutenzione ordinaria con spese che poi un ministero (Giustizia) rimborsa non di rado in ritardo. Altrimenti resterà illusorio inseguire la singola risolutiva «falla» in un sistema di controlli nel quale la «falla» si riveli uno dei buchi di un sistematico groviera: traforato negli anni dalla riduzione dei budget e dal conseguente subappalto a società di vigilanza privata (peraltro non sempre di cristallina affidabilità) o persino ad agenzie di semplice portierato, della responsabilità di un potere tipicamente pubblico come il controllo della sicurezza nei luoghi dove si amministra giustizia.
Contenere l’eventuale paranoico tracimare della palude dell’odio dilagante e della rabbiosa rivalsa contro chi per conto dello Stato deve far pagare le tasse (come all’epoca dei pacchi bomba a Equitalia) o far rispettare le regole della convivenza (come nei tribunali), non basta però a bonificare questa palude. A togliere alibi alle esasperazioni e a bagnare le polveri della paranoia può forse in parte giovare anche rilegittimare lo strumento del processo (quello civile ancor più di quello penale) adeguandolo all’obiettivo per il quale ha senso: non solo distribuire torti e ragioni, ma (nel farlo) risolvere un problema in tempi accettabili e con percorsi comprensibili alle parti. Prima che a risolverlo fuori dalla giurisdizione sia il dispiegarsi dei rapporti di forza.
Luigi Ferrarella