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 2015  aprile 11 Sabato calendario

LA GRANDE VECCHIA ANARCHICA TRASGRESSIVA»

«Carolrama Coralrama Claromara Arolcarma Coralroma Ormalacra Carmarola… Carolrama. Femme de sept visages vue par Man Ray». È così che nel 1974 il vecchio maestro dadaista-surrealista descrive anagrammaticamente la complessa e sfaccettata personalità dell’amica Carol Rama. Quali fossero precisamente per lui questi sette volti rimane un enigma. Ma noi possiamo immaginare che siano quelli di un’artista appassionata, angosciata, anarchica, erotica, visionaria, ironicamente teatrale, e sicuramente geniale. Un’artista la cui avventura creativa è arrivata fino ad oggi remando quasi sempre controcorrente, attraverso percorsi laterali e secondari non autorizzati (o non previsti) dai processi di selezione élitaria controllati dai «gate keepers» più influenti del sistema artistico. E nonostante questo, i tempi della definitiva legittimazione della sua opera, a livello internazionale, sono arrivati anche per lei, in particolare con il Leon d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2003. Certamente una soddisfazione per Carol Rama, ma anche in quell’occasione il suo stato d’animo è rimasto analogo a quello che le aveva fatto dire nel 1998 (per la retrospettiva allo Stedelijk Museum di Amsterdam, curata da Rudi Fuchs e Cristina Mundici): «Sono troppo incazzata perché sono stata scoperta a ottant’anni».
A dire il vero, anche da giovane aveva avuto dei riconoscimenti (inviti alle Biennali del 1948 e 1950) ma la sua posizione è stata troppo a lungo marginale nei decenni successivi, e la vera svolta della sua carriera inizia lentamente solo a sessantadue anni quando una serie di suoi sorprendenti lavori diventa il centro d’attenzione della mostra «L’altra metà dell’avanguardia» curata da Lea Vergine nel 1980 a Milano (e che va in altre sedi europee). Si tratta di un gruppo di affascinanti acquerelli quanto mai inquietanti e scabrosi degli Anni 30/40 (esposti per la prima volta nel 1979 alla Galleria Martano di Torino in una personale curata da Paolo Fossati). Questi acquerelli sono gli elementi fondamentali per una rilettura critica di tutta la sua articolata produzione (apprezzata fino ad allora solo da pochi intellettuali, critici e collezionisti), e finalmente del suo successo allargato sull’onda del generale movimento di affermazione delle artiste donne, e in particolare di quelle delle vecchie generazioni. Per dirla con un po’ di cattiveria, si sono accorti della grandezza di Carol Rama solo quando, il suo personaggio trasgressivo poteva essere proposto come una sorta di Louise Bourgeois o Maria Lassing o Meret Oppenheim italiana.
Nell’ampia retrospettiva curata da Anne Dressen al Musée d’Art Moderne de la Ville di Parigi (proviene da Barcellona e andrà poi a Dublino e a Torino) l’artista viene presentata come una figura anomala della storia dell’arte, un’autodidatta eccentrica ma di raffinata cultura, la cui ricerca ha aspetti vicini all’art brut (viene paragonata per esempio a Aloïse Crobaz) con successive influenze espressioniste, astratte concretiste e soprattutto surrealiste. Ma l’originalità del suo linguaggio, dei suoi temi e dei materiali utilizzati è legata inestricabilmente con la sua dimensione autobiografica, con le tragedie familiari (la madre in manicomio, il padre suicida dopo il fallimento della sua azienda). Per dare un’idea della personalità dell’artista in mostra c’è una sala in cui attraverso foto d’ambiente, immagini e oggetti d’affezione, viene per quanto è possibile visualizzata la sua casa-studio. Santuario personale delle sue memorie e wunderkammer del suo immaginario, questo luogo è un po’ il perno attorno a cui ruotano le varie sezioni del percorso espositivo. In quelle dedicate al «gusto dell’umido» e alla «figurazione desiderante» troviamo (in particolare su un grande muro rosa) soprattutto i suoi acquerelli giovanili, in cui si concentra il repertorio feticistico e sessuale più intenso, sconcertante e ossessivo autobiografico. Ci sono protesi di legno, dentiere, orinatoi, scopini per gabinetti, pennelli e rasoi da barba, scarpe femminili (con falli incorporati), colli di volpe. E naturalmente le immagini patetiche e provocatorie delle sue Appassionate e Dorine, figure femminili in letti di contenzione, con arti amputati, e in atteggiamenti erotici più che espliciti, circondate anche da uomini nudi che si masturbano. Attraverso la delicata intensità anche emotiva dell’acquerello ogni possibile lettura pornografica viene meravigliosamente annullata. Le successive sezioni documentano gli altri aspetti della sua sperimentazione. Quella concretista degli Anni 50 caratterizzata da una «astrazione organica», che ha qualche riferimento a Klee. Il periodo più esplicitamente surrealista del decennio successivo, con pitture informali incrostate di oggetti perturbanti e aggressivi tra cui occhi di bambola, unghie di animali, denti veri (quelli di Massimo Mila), siringhe. La fase estremamente interessante (Anni 70) dei lavori realizzati con il caucciù di vecchie camere d’aria, collage semi-astratti e assemblage con gomme pendenti che fanno pensare a budella, mammelle e falli sgonfi. La gomma ricompare più tardi nel ciclo dedicato alla Mucca pazza (con cui l’artista dice di identificarsi). E infine c’è la fase più recente dove le tematiche degli Anni 30/40 ritornano in modo più liberamente fantastico su vecchie mappe catastali e fogli con progetti di macchinari