Erik Hedegaard, Rolling Stones 4/2015, 10 aprile 2015
L’INSAZIABILE MR. DEVITO
DANNY DEVITO SI FA UNA TAZZA DI CAFFÈ NELLA SUA VILLA DI MA’ LIBÙ, STRAVACCATO SU UNA SDRAIO SOTTO IL SOLE DEL PRIMO POMERIGGIO, CON LA PELATA PROTETTA DA UN CAPPELLINO, LA PANCIA CHE SPORGE DALLA CAMICIA SBOTTONATA E I PIEDI CHE NON ARRIVANO A TOCCARE TERRA. È la prima tazza, ma ce ne potrebbe essere presto una seconda e magari anche una terza. Lui è fatto cosi. Lo è sempre stato. «Sono un tipo dai grandi appetiti», dice. Lo prepara come piace a lui, nero e fortissimo. Poi si siede e comincia a parlare. Gli piace parlare, per lo più di se stesso, lo sa benissimo e non gliene frega niente. E la cosa lo rende ancora più simpatico: «Sono molto felice, di cosa mi devo preoccupare? Non so, ho la pelle secca? Devo mettere un po’ di crema sulle gambe? Questi sono i miei problemi. Sì, sono un egocentrico: me, me, me. Stronzate, stronzate, stronzate. L’altro giorno camminavo per strada e ho visto un opossum. Gliene frega qualcosa a qualcuno? Io ho voglia di raccontarlo!». Danny DeVito ha 70 anni. Nel 1964 ha lasciato Asbury Park, New Jersey, per andare a New York e fare l’attore. La cosa scatenò le risate dei suoi amici, che guardandolo (anche allora era alto qualcosa come un metro e 50) gli dissero: «Cazzo, Dan! Chi ti credi di essere, Gregory Peck, Clark Cable? Guardati, deficiente!».Alla fine, però, per come sono andate le cose, la sua statura si è rivelata una benedizione, prima per ottenere la parte del laido, bisbetico e chiacchierone Louie De Palma, tassista nano e ciccione della Sunshine Cab nella gloriosa sitcom Taxi (1978-1983), poi per interpretare una serie di personaggi truculenti, esagerati, infidi e pericolosi in film come All’inseguimento della pietra verde (1984), Getta la mamma dal treno (1987), Batman – Il ritorno (1992) e Get Shorty (1995), e più recentemente per dare vita al duplice, maligno, depravato e amorale mezza tacca di padre Frank Reynold nella serie di culto C’è sempre il sole a Philadelphia, che racconta le storie assurde di un gruppo di balordi irlandesi che gestiscono senza successo il Paddy’s Pub, arrivata alla decima stagione sul canale FX (in Italia va in onda su Fox Comedy) e definita “una versione di Seinfeld fatta di crack”.Nel frattempo, Danny De Vito è diventato una specie di patrimonio nazionale americano, amato praticamente da tutti. Anche quando nel 2006 si è presentato ubriaco fradicio al programma The View e ha definito George Bush «un coglione» e si è vantato di aver fatto sesso con sua moglie Rhea Perlman nella stanza da letto di Lincoln alla Casa Bianca, Barbara Walters e le altre tre conduttrici non potevano essere più divertite. E nel 2013, quando dopo 30 anni di matrimonio si è separato dalla Perlman (anche lei un patrimonio nazionale dopo essere stata Carla Tortelli in Cheers), nemmeno i gossippari più aggressivi hanno avuto il coraggio di accanirsi troppo. La cosa più importante da sapere su Danny DeVito è che, anche se è cresciuto sul Jersey Shore negli anni ’50, non è mai stato maltrattato, né picchiato o emarginato per via della sua statura. Niente del genere. Certo, per quanto riguarda le ragazze qualche problema lo ha avuto. Ad esempio, quando invitava una donna a ballare, la sua preoccupazione principale era che il suo naso non finisse in mezzo alla scollatura. Poi c’è il modo in cui le suore di Nostra Signora del Monte Carmelo, dove ha studiato, erano abituate a confrontarsi con le pulsioni dell’adolescenza: «Masturbazione? Non esiste. Non conoscevamo le parole sperma, clitoride o eiaculazione. Era tutto un segreto».Il suo primo appuntamento lo ha avuto a 9 anni, in un cinema di Asbury Park. Le mamme hanno accompagnato lui e la sua amichetta in sala, loro si son seduti, si sono presi per mano e poi lui l’ha baciata: «Niente lingua, però». E quanti anni aveva quando l’ha fatto la prima volta? Danny si sporge in avanti: «Guarda, ecco come è andata. La prima volta vuol dire avere un’eiaculazione mentre sei con qualcuno, no? Venire nei pantaloni, insomma, giusto? Allora la prima volta è stato a 11 anni». Ma dai! Annuisce vigorosamente: «11 anni o giù di lì. Ho scoperto che poteva succedere a 9, e a 11 l’ho fatto strusciandomi addosso a una ragazza». Ecco Danny DeVito in sintesi: va oltre ogni aspettativa e lo fa da un sacco di tempo. «Non lo volevo, ma sono fiera di lui», ha detto una volta sua mamma Julia. Aveva 40 anni, quando è nato, e in casa c’erano già due figlie adolescenti. La sua è una famiglia di lavoratori: suo padre, Daniel Sr., ha avuto prima un negozio di dolciumi, poi una lavanderia (chiamata ovviamente Dan Dee Cleaners) e poi una sala da biliardo, dove ha messo subito suo figlio al lavoro, a riparare le punte delle stecche rovinate. Quando ha 14 anni, Danny DeVito convince suo padre a farlo andare in collegio. È il 1958. Ha sempre detto che il motivo principale era che ad Asbury Park era arrivata l’eroina. Le droghe gli piacevano, specialmente le pillole tranquillanti ed eccitanti rubate in farmacia, ma molti suoi amici avevano cominciato a farsi di quella roba, e lui aveva paura di finire allo stesso modo.Ma non era l’unico motivo: «Mio padre aveva problemi con l’alcol», dice mangiando un pacco di patatine, un sandwich e una Diet Coke, «per questo ora io sono sempre preoccupato che tutto intorno a me sia sempre a posto. Da ragazzino, a casa, vuoi che le cose vadano bene. Mio padre di giorno era adorabile, ma quando beveva toccava il fondo. Mi sentivo vulnerabile, e allora via di casa. In fretta». Piega il corpo da un lato, il collo sparisce nel busto. La sua faccia rotonda è affascinante. A volte sembra sfinita, come quella di un vagabondo, ma la maggior parte del tempo è allegra, come un fuoco sempre accesso. Prende la sua tazza di caffè. Mi sembra un buon momento per chiedergli del suo matrimonio. Lui e la Perlman, che hanno tre figli, si sono separati per cinque mesi nel 2013. Non ne ha mai parlato pubblicamente. Viene da chiedersi: che problemi ha con lei? I suoi occhi diventano di brace: «Non so niente di quello che succede tra un uomo e una donna, ok? Mi sono sposato per far piacere a mia madre. Dovevo avere dei figli, perché siamo italiani. Mi sono sposato, sono stato felice per 31-32 anni. Ma non è facile, sai? Ci siamo divertiti molto e ci divertiamo ancora. Ma si fa tutto per i figli, amico. È così che funziona». Guarda lontano, oltre le dune di sabbia verso il mare. Sembra aver imparato bene la lezione: in famiglia deve andare sempre tutto bene.Dopo il diploma, Danny torna a casa senza sapere bene cosa fare della propria vita. Lavora come parrucchiere nel salone di sua sorella Angela, dove tutte le clienti lo chiamano Mr. D. Gli piace, soprattutto perché è sempre circondato da donne. Nel 1964 si iscrive a un corso di trucco cinematografico all’American Academy of Dramatic Arts di Manhattan, prende qualche lezione di recitazione e capisce che quella sarà la sua vita. Tra i suoi compagni di corso c’è Michael Douglas, che gli trova un ruolo come paziente di un ospedale psichiatrico in un film che sta coproducendo, Qualcuno volò sul nido del cuculo. È una parte che gli apre le porte di Hollywood. E così, quando nel 1978 Danny accetta di recitare nella serie Taxi, i suoi amici gli danno del matto: «Televisione? Non puoi farlo!». Lo stesso è successo 27 anni dopo, quando, dopo aver recitato al cinema con alcune delle più grandi star della nostra epoca (Arnold Schwarzenegger, John Travolta) e aver prodotto film epocali (Erin Brockovich, Pulp Fiction), ha scelto di fare C’è sempre il sole a Philadelphia. Questa volta i suoi amici gli dicono: «Perché? È una cosa di cui nessuno si ricorderà». Come al solito Danny ha fatto di testa sua: «Cosa dovrei fare? Stare a casa in pigiama come una specie di Howard Hughes?». E così eccolo qui, alla fine della lunga strada dal Jersey Shore alla California, mentre si crogiola al sole sulla spiaggia di Malibù. Con tanta storia alle spalle, Danny DeVito ha ancora fame. Di tutto. «Sì, non ho freni, sono un vizioso. Voglio dire, anche quando prendevo le droghe ero quello che...». Si ferma. Guarda in alto. Forse ha bisogno di un suggerimento. Vuoi dire quando qualcuno butta giù un paio di righe di cocaina? Annuisce. Esatto. «E poi ti dice: “Te ne ho lasciata una in bagno”. Beh, la mia risposta era: “Non ti aspettare che avanzi”». E se qualcuno te la offrisse adesso? «Perché no? Una riga di coca? Che problema c’è? Guarda cosa sto prendendo adesso: caffè e Diet Coke. Ok, mi vergogno. Ma se sapessi che è buona me la farei. Cercherei di non prendere il vizio, ma è bellissimo, è così bello che non vuoi smettere. Anche un buon acido. Me lo farei». E poi ancora: «Perché no?».