Laura Maragnani, Panorama 9/4/2015, 9 aprile 2015
PROSTITUZIONE SIAMO PRONTI AD ABROGARE LA VECCHIA LEGGE MERLIN E A TORNARE AI
BORDELLI? –
Ma venite, venite a vedere lo spettacolo. Via di Tor Marancia, piazza dei Navigatori, viale Cristoforo Colombo...». Valchiria Vittori, segretaria del circolo pd Ardeatina Montagnola di Roma, ha il ritratto di Enrico Berlinguer alle pareti e, da anni, uno spettacolo sotto casa che non le va giù. «Ci sono prostitute di tutte le nazionalità. Ce le siamo trovate nei portoni alle 3 del pomeriggio, e alle 6 del mattino, uscendo per andare al lavoro, ce le siamo ritrovate dentro le automobili. C’è la tratta, d’accordo. C’è lo sfruttamento, e ci fanno pena. Ma c’è anche il nostro diritto a vivere in pace e in un quartiere decoroso. O no?»
Benvenuti a Roma, primavera 2015. Ci sono 2-3 mila «sex worker» sui marciapiedi, interi quartieri in rivolta, il Pd spaccato e una situazione «totalmente fuori controllo», come ammette Andrea Santoro, il presidente pd del IX municipio, in assemblea coi cittadini di Tor Marancia, a sud della metropoli. «A largo Veratti tirano sulle finestre i preservativi usati. Chi li getta è di destra? È di sinistra? Foss’anche mio fratello, a me girerebbero uguale. E il partito deve smetterla di considerare il decoro come un tema da destrorsi, o saremo fuori dalla storia».
Benvenuti a Roma, capitale d’Italia. Un paese dove si prostituiscono, a seconda delle stime, da 30 a 100 mila persone, per la maggior parte sulla strada e in condizioni non dissimili da quelle di Tor Marancia. «Vendersi, in sé, non è illegale. Ma sulle strade abbiamo migliaia di donne straniere, spesso minorenni, che sono vittime della tratta. La criminalità le controlla sempre più strettamente, e l’offerta è diventata così visibile e aggressiva che intere zone delle nostre città sono diventate bordelli a cielo aperto. Dappertutto i cittadini sono esasperati e chiedono alle istituzioni, giustamente, di battere un colpo» riassume la senatrice Maria Spilabotte, anche lei del Pd. A 57 anni suonati (febbraio 1958) dalla chiusura dei bordelli di Stato voluta dalla senatrice socialista Lina Merlin, Spilabotte ne ha proposto la revisione. L’ha intervistata persino Newsweek: «Bisogna conciliare i diritti dei cittadini e quelli delle prostitute» ha dichiarato.
Facile a dirsi. In Parlamento giacciono ben 12 proposte di legge e c’è un intergruppo di 70 deputati e senatori disposti a promuovere una riforma, perché «dobbiamo prendere atto che la Merlin si è rivelata un totale fallimento» riconoscono Pierpaolo Vargiu, presidente della commissione Affari sociali della Camera, e l’ex magistrato Stefano Dambruoso, questore di Montecitorio. L’8 aprile i due deputati di Scelta civica hanno anche promosso alla Camera un convegno dal titolo non casuale: «Addio Merlin». Ma grande è il disordine sotto il cielo. C’è chi vuole punire il cliente (Area popolare) e chi disciplinare tutto, anche la prostituzione online (Scelta civica); c’è chi vuole obbligare le lucciole a controlli sanitari (Lega), e chi vieterebbe di esercitare «in luoghi pubblici o aperti al pubblico» (Forza Italia). Quanto alla Spilabotte e al Pd (ma l’idea piace anche a qualche forzista come Alessandra Mussolini), caldeggiano il cosiddetto «zoning», ovverossia l’istituzione di aree cittadine dedicate al sesso commerciale.
Ma quanti «sex worker» sarebbero interessati da un’eventuale riforma? Spilabotte ne stima 70 mila, con 2,5 milioni di clienti e un totale di 9 milioni di rapporti l’anno, ma Mirta Da Prà, esperta del gruppo Abele, la contraddice: «Sono 30 mila al massimo, di cui un 10 per cento di donne italiane e comunitarie». Ci sono i maschi, in aumento. E ci sono le trans. Ma non tutte, e non tutti, lavorano sul marciapiede: per strada si trovano prevalentemente nigeriane e rumene, ucraine e moldove, e dopo anni si stanno riaffacciando anche le albanesi. La maggior parte sono vittime della tratta delle schiave del sesso: «L’Italia ha leggi ottime contro il traffico ma vengono applicate male» spiega Prà.
«Le ultime direttive europee non sono state recepite, il dipartimento per le Pari opportunità è in disarmo, i finanziamenti mancano, i progetti chiudono. Le forze dell’ordine hanno poche risorse». Risultato: nelle strade d’Italia ormai da anni è in corso una guerra, e dalle Alpi alle Madonie è tutto un rosario incongruo di divieti, sanzioni, pattugliamenti, fogli di via, ricorsi e controricorsi. La guerra è arrivata perfino in Corte di cassazione, che in gennaio ha dato ragione a una lucciola di Rimini che si era opposta al foglio
di via, ricevuto in quanto «socialmente pericolosa». Qui non contano destra o sinistra: il Comune leghista di Padova mostra i muscoli a suon di multe da 500 euro, ma la democratica Vicenza non multa di meno. Lo stesso accade nella Salerno del pd Vincenzo De Luca, che dal 2007 ha vietato di negoziare prestazioni sessuali in strada. Vietato l’adescamento a Pompei, Poggiomarino, Giugliano, Castel Volturno, Marcianise, Capaccio, Eboli. Vietato perfino il «saluto allusivo» a Gioia del Colle (Bari). A Barletta non si può nemmeno fermare l’automobile per far salire una lucciola. E avanti con Andria («è fatto divieto di contattare soggetti che esercitano l’attività di meretricio»), Corigliano Calabro, Anzola Emilia, Bologna, Jesolo... E a Milano, l’ex capitale morale che oggi gode pare piuttosto capitale del sesso commerciale? Il sindaco arancione Giuliano Pisapia non è mai intervenuto, ma alla Regione Lombardia, guidata dal leghista Roberto Maroni spetta il record di ordinanze anti-prostitute e di proposte di referendum anti-legge Merlin: uno per l’abrogazione e l’altro per la revisione. «L’80 per cento degli italiani è favorevole a togliere le prostitute dalla strada» assicura Massimo Bigonci, sindaco di Padova. «Matteo Renzi deve decidersi ad affrontare il problema. Ormai lo chiedono anche i sindaci del Pd».
Sul tema il premier per ora tace, ma la sua consigliera per le Pari opportunità, la deputata Giovanna Martelli, dice che segue il dossier con «attenzione grandissima». Idem l’Anci, l’Associazione dei comuni italiani: «La sola repressione non basta» ammette Luigi De Magistris, sindaco di Napoli e nell’Anci responsabile del settore legalità. Spiega che molti Comuni stanno pensando a strategie alternative, come lo «zoning», e che lui stesso, nell’agosto 2012, ha proposto d’individuare una zona dove, sul modello di Amsterdam, concentrare il sesso commerciale.
«Il tema va affrontato laicamente» sostiene. «E bisogna dare ai sindaci la possibilità di regolare il mercato sessuale sul loro territorio».
Ai sindaci in effetti l’idea piace. E anche se Mirta De Prà si preoccupa («Saranno tentati di scegliere aree industriali lontane dagli occhi, strade vicine alle discariche, posti terribili e ad alto rischio microcriminalità, in cui non vorrà andare nessuno»), molti ne fanno una bandiera. Ecco Tor Marancia, ecco l’Eur, ecco la proposta di Andrea Santoro, apprezzata dal sindaco Ignazio Marino e invocata anche da altri municipi, così si chiamano le circoscrizioni romane, governati dal Pd (Centro, Salaria, Tor Bella Monaca, Montagnola...): «Divieto di prostituirsi a ridosso di abitazioni, scuole, luoghi di culto», con multe da 500 euro a chi non rispetta le regole, in modo da incentivare lo spostamento in aree «meno critiche per la cittadinanza». E anche «coordinamento tra polizia, carabinieri e vigili urbani per controllare meglio il territorio», «operatori di strada per aiutare le vittime di tratta», «educazione sessuale nelle scuole per far capire ai ragazzi che ci può e deve essere un approccio diverso al sesso».
Funziona? Lo si è visto a Venezia, prima città italiana a praticare lo «zoning»: nel 1994 c’erano 150 lucciole in strada, oggi soltanto 58, e più di 400 donne sono state liberate dai trafficanti. «Siamo partiti con le unità di strada per capire che tipo di persone c’erano sui marciapiedi e se c’era sfruttamento, offrendo loro assistenza sanitaria» spiega Claudio Donadel, responsabile del servizio. «Poi abbiamo cercato di capire come aiutarle in caso di sfruttamento. La repressione arriva solo come ultimo atto di un percorso di comprensione e di mediazione».
Perfetto. Ma a spingere per l’effettivo addio alla Merlin, alla fine, sarà probabilmente una mera questione di calcolo. Le lucciole, a seconda delle stime, potrebbero infatti portare nelle casse dello Stato dai 4 ai 6 miliardi l’anno di tasse. Perché rinunciarvi? Già nel 2010 la Cassazione aveva dichiarato che la prostituzione tra adulti è attività «lecita» e dunque «tassabile», esattamente come ogni altra professione, e l’Agenzia delle entrate è già all’attacco: la Cassazione ha appena dato ragione a Chris Molinari, detta «Lady Pantera», entrata in conflitto con l’Agenzia delle entrate per 343 mila euro non dichiarati tra 2007 e 2012: «Non esiste alcuna norma che disciplini la prostituzione» hanno stabilito i supremi giudici, quindi nulla è dovuto. A Milano Efe Bal, nota transessuale turca con cittadinanza italiana, nel 2014 ha ricevuto da Equitalia una cartella esattoriale da 450 mila euro. L’8 aprile Bal si è presentata alla Camera, al convegno «Addio Merlin» di Scelta civica. E ha dichiarato: «Io le tasse le pago, però voglio che la mia professione diventi legale».
Beh, pare che ci siamo. Pur di incassare le famose tasse, quasi tutte le proposte di legge concordano nell’elargire in cambio un riconoscimento. Ma come inquadrare la professione? Meglio «piccola impresa e artigianato», come ipotizza Pierpaolo Vargiu di Scelta civica? O ha più senso istituire «l’albo degli operatori di assistenza sessuale a partita Iva», come propone Antonio Razzi, senatore di FI? Enrico Cappelletti, senatore Cinque stelle, ha un’altra idea ancora: «Le prostitute andrebbero inquadrate come lavoratrici autonome, o potrebbero associarsi in cooperative. Pagherebbero le tasse come tutti e come tutti godrebbero di mutua, maternità e pensione».
La portavoce delle donne di strada clandestine e senza diritti, Isoke Aikpitanyi, nigeriana ed ex vittima della tratta, scuote la testa. «La maggior parte delle donne che si prostituiscono in Italia sono straniere e non sono libere. Che lo siano le altre è tutto da vedere, ma sono in un numero così poco rilevante che non c’è bisogno di scrivere una legge per “liberarle” ancora di più. In ogni caso, per le vere vittime non cambierà nulla. Maternità, pensione, assistenza... Guarderemo tutto questo da molto lontano, senza mai una possibilità di arrivarci. Dite pure addio alla legge Merlin, se volete. Ma non è affare nostro».
(hanno collaborato: Francesco Bisozzi, Daniele Pajar e Maria Pirro)