VARIE 9/4/2015, 9 aprile 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - LA SPARATORIA DI MILANO
REPUBBLICA.IT
Un falso tesserino da avvocato per entrare in tribunale (le telecamere lo hanno ripreso mentre lo mostrava all’addetto) con in tasca una pistola regolarmente detenuta e due caricatori pieni. Tredici colpi calibro 7.65 per compiere una strage. E’ di tre morti e due feriti (uno, molto grave, Davide Limongelli, è il suo stesso nipote) il bilancio della mattina di terrore a Palazzo di Giustizia di Milano, dove l’imputato di un processo per bancarotta fraudolenta, l’immobiliarista Claudio Giardiello, 57 anni, ha ucciso il giudice Ferdinando Ciampi, Giorgio Erba (suo coimputato nel processo sul fallimento dell’Immobiliare Magenta di cui Giardiello era socio di maggioranza) e il suo ex avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani che nel processo era testimone. "Volevo vendicarmi di chi mi ha rovinato" avrebbe detto ai carabinieri, subito dopo la cattura. Le ultime parole dell’avvocato ucciso, invece, sono state queste: "Non ho nessun problema a testimoniare, nella vita bisogna essere coraggiosi". Le riporta un collega, Vinicio Nardo, in apertura dell’assemblea dell’Anm che è stata convocata nell’aula magna del tribunale dopo la strage.
"Voleva uccidere ancora". Il 57enne ha sparato dentro un’aula del terzo piano, nel corso del processo in cui si discuteva del fallimento. Poi è sceso di un piano, ha cercato l’ufficio del giudice Ciampi (anche lui doveva testimoniare nel processo), e lo ha ammazzato con due colpi. Nel bilancio delle vittime, in un primo momento si era parlato anche di una quarta persona deceduta per malore, ma la notizia è stata smentita nel pomeriggio. Secondo gli investigatori, Giardiello voleva colpire ancora, per questo era diretto a Carvico, in provincia di Bergamo dove vive un suo ex socio, Massimo D’Anzuoni. Questa almeno è l’ipotesi investigativa riportata dal ministro Alfano: i carabinieri, ha detto, hanno "attivato un sistema in modo da arrivare presto alla cattura di un uomo che era pronto a uccidere altre persone e lo hanno bloccato a Vimercate". "Ha agito con fredda determinazione" ha aggiunto Tommaso Bonanno, il procuratore di Brescia, uno dei magistrati che si occuperà dell’inchiesta.
La telecamera e il finto tesserino. L’inchiesta, condotta dalla Procura di Brescia (che è competente sulle indagini relative al tribunale di Milano), dovrà chiarire il nodo dell’ingresso di Giardiello dentro il tribunale. Le telecamere hanno ripreso il killer mentre parcheggiava il suo scooter in via Manara (accesso secondario del Palazzo di Giustizia) e mentre entrava dall’ingresso alle 9.19. "Dalle analisi delle telecamere - ha detto il procuratore Bruti Liberati - si vede che mostra qualcosa, evidentemente un tesserino di riconoscimento". All’ingresso di via Manara, ha spiegato ancora il magistrato, non c’è un metal detector, "perché si tratta di un ingresso riservato solo al personale, magistrati e avvocati". Sulla questione è intervenuto anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando: "Verificheremo se ci sono state falle".
Due colpi per il giudice. Secondo una prima ricostruzione, Giardiello era seduto tra i banchi del pubblico. Era in corso il controesame di un testimone da parte del pm quando è scoppiato un litigio in aula. A quel punto ha estratto la pistola e ha sparato uccidendo con un colpo al cuore Lorenzo Alberto Claris Appiani, suo ex avvocato, ora testimone nel processo per il fallimento Magenta. Sempre in aula ha ferito Davide Limongelli (nipote e socio di Giardiello nella società): i colpi ricevuti gli hanno provocato nove buchi nell’intestino. Poi ha lasciato l’aula, è sceso al secondo piano, ha raggiunto l’ufficio del giudice Ciampi. Sulle scale ha incontrato Stefano Verna, il commercialista interessato alle indagini e testimone del processo sul fallimento, e lo ha gambizzato. Poi è entrato nell’ufficio del giudice che era seduto dietro alla sua scrivania e ha sparato ancora. Il procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, ha precisato che Ciampi è stato raggiunto da due proiettili ed è morto dopo aver cercato di proteggere una sua collaboratrice. Aveva 75 anni e a dicembre sarebbe andato in pensione. "Ero in una stanza vicino a quella del giudice - ha raccontato un avvocato - ho sentito gli spari e poi ho sentito una persona correre. Sono entrato nella stanza del giudice, c’erano le cancelliere che piangevano e l’ho visto sdraiato dietro la sua scrivania. Non c’erano tracce di sangue ma gli ho sentito il polso ed era già morto".
Chi è Giardiello. Nato 57 anni fa a Benevento (esattamente il 6 marzo), Giardiello è residente in Brianza, dove lavora nel settore dell’edilizia. L’uomo - che soci ed ex soci chiamavano il conte Tacchia - aveva avuto diverse società e vari guai finanziari. Negli ultimi tempi poi si trovava in gravissime difficoltà finanziarie, sfociate in diverse cause giudiziarie. Il panico in un Palazzo di Giustizia, che a quell’ora era pieno di persone, è scoppiato intorno alle 11 quando sono stati uditi quattro o cinque colpi di pistola. Dopo gli spari è iniziato il fuggi fuggi generale. Giardiello si è prima nascosto nei corridoi labirintici del tribunale, dove ha continuato a sparare. Tutte le uscite sono state sbarrate. L’edificio è stato evacuato: centinaia di persone sono rimaste in strada davanti alle diverse uscite del tribunale.
Nel mirino c’era anche il pm Orsi. Nel ’mirino’ del killer ci sarebbe stato anche il pubblico ministero Luigi Orsi che si trovava nell’aula della strage a rappresentare l’accusa. Secondo alcuni testimoni, infatti Giardiello avrebbe rivolto l’arma anche contro di lui senza però riuscire a colpirlo. Un avvocato presente in aula sostiene che l’obiettivo dello sparatore fosse proprio Orsi. Ma sulla traiettoria dei proiettili, mentre il magistrato si riparava rannicchiandosi a terra, si è trovato, invece, Appiani. Il magistrato, che è rimasto illeso, ha commentato: "Ho visto colpire delle persone. E ho visto morire un testimone davanti a me". Lo zio del legale, Alessandro Brambilla Pisoni, conferma che Giardiello "era stato cliente di mio nipote. Poi aveva iniziato a combinare disastri e lui ha smesso di seguirlo. Sapevo che oggi mio nipote era in aula come testimone in una causa penale perché Giardiello era stato denunciato".
Sparatoria in tribunale, un testimone: "Aveva una borsa, giacca e cravatta: poteva passare per un avvocato"
La fuga in moto. Dopo essere rimasto nascosto nel tribunale per più di un’ora, Giardiello è riuscito a uscire e a fuggire in moto, un grosso scooter di cui, però, i carabinieri hanno ottenuto presto la targa. La fuga è durata per circa trenta minuti, poi il killer è stato arrestato a Vimercate, paese dell’hinterland che si trova circa a 30 chilometri dal luogo della strage, nelle vicinanze del centro commerciale Torri Bianche. Quella non era una destinazione scelta a caso: Giardiello stava raggiungendo un suo ex socio per ucciderlo. Dopo essere stato portato nella sede della compagnia dei carabinieri del paese per essere sentito (dove è arrivato anche il comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette), Giardiello ha avuto un malore ed è stato portato via da un’ambulanza scortata da due pattuglie dei carabinieri. Interrogato nel pronto soccorso dell’ospedale di Vimercate, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il suo avvocato, Nadia Savoca, ha detto che è sotto shock e sedato.
I testimoni raccontano il terrore. "Ho sentito degli spari e ho visto un uomo con una gamba insanguinata, ho avuto paura e sono scappato": lo ha raccontato un testimone, che si trovava nel palazzo di giustizia di Milano quando è avvenuta la sparatoria. Diverse persone hanno sentito il rumore degli spari e sono fuggite dai corridoi e si sono dirette verso l’uscite dell’edificio.
Plenum straordinario del Csm. In prefettura era in corso il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica in vista di Expo, con il ministro Angelino Alfano: è stato sospeso e poi rinviato. La notizia della strage ha scosso tutto il Paese e tutti gli organi istituzionali si sono mobilitati e interrogati sulla tragedia, anche se "di fronte a un gesto isolato - ha osservato Bruti - le difese difficilmente possono essere assolute". Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel pomeriggio preside il plenum straordinario del Csm. Mentre i ministri Alfano e Orlando hanno effettuato un sopralluogo in tribunale. I ministri si sono recati anche nella stanza 510 al secondo piano del tribunale sul lato San Barnaba dove è stato ucciso il giudice Ciampi.
Il precedente nell’aula bunker. Quella di stamani non è stata la prima volta in cui si è sparato in un’aula di giustizia a Milano. Il 5 ottobre del 1987 infatti, in un’ aula della Corte di Assise di Milano, in piazza Filangieri davanti al carcere di San Vittore, durante la requisitoria del pm Francesco Di Maggio al processo Epaminonda, il detenuto Nuccio Miano sparò, dalla gabbia dove si trovava, con una pistola ai coimputati Antonino Faro e Antonino Marano che erano in un’altra gabbia, e ferì due carabinieri.
I due militari furono raggiunti uno ad una coscia e uno al gluteo. Lo sparatore utilizzò una pistola calibro 7,65 assemblata con pezzi di varie pistole e con la matricola abrasa e esplose diversi colpi, la maggior parte dei quali andati a vuoto. Il processo nell’aula bunker faceva riferimento alle vicende di mafia della ’Milano nera’ a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, dominata dal clan dei catanesi di cui Angelo Epaminonda era il capo.
IL FALLIMENTO
MILANO - C’è la società Immobiliare Magenta a spiegare la presenza di Claudio Giardiello, l’autore della sparatoria al Tribunale di Milano, nella sezione fallimentare del Palazzo di Giustizia. Il nome di Giardiello, dagli archivi del Cerved, risulta infatti collegato a due imprese: la Immobiliare Leonardo e la stessa Immobiliare Magenta, due società domiciliate nel capoluogo lombardo che risultano fallite rispettivamente nel maggio del 2012 e nel marzo del 2008. Nella Magenta, sempre dalle ricostruzioni che si possono realizzare attraverso le visure camerali, risulta anche una partecipazione di minoranza da parte di Davide Limongelli, presente in Tribunale durante la sparatoria: Giardiello avrebbe prima sparato e ucciso il suo ex avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani, che si sarebbe trovato lì per testimoniare, quindi avrebbe sparato anche nella direzione del pm Gaetano Ruta, ma non lo avrebbe colpito. L’uomo, a questo punto, avrebbe ferito altre persone presenti in udienza, appunto Davide Limongelli e Giorgio Erba, che le prime ricostruzioni danno come co-imputati. Nella Immobiliare Magenta, un terzo socio con il 15% risulta essere Giovanni Scarpa. Il curatore fallimentare nominato dal Tribunale si chiama invece Walter Marazzani.
"È una persona che si presentava molto bene, dopo di che aveva tratti di aggressività inquietante, scatti d’ira, elementi paranoici, per cui abbiamo concluso il rapporto", ha spiegato l’avvocato Valerio Maraniello fuori dal Palazzo di Giustizia: si tratta del legale che lavorava insieme ad Appiani per alcune pratiche in sede civile. "Ho lavorato con lui fino a 2 o 3 anni fa". Giardiello, ha anche confermato il legale, è socio di maggioranza dell’Immobiliare Magenta: "Insieme a Claris Appiani stavamo gestendo una transazione relativa alla sua società e i rapporti non erano chiari. Era paranoico, convinto sempre che qualcuno volesse fregarlo, invece di affidarsi a professionisti. Conosco molto bene il collega morto - ha detto ancora il legale -: bravissimo, giovane, un amico di famiglia".
Tornando a Giardiello, a suo carico risultano numerose ipoteche legali a favore di banche ed Equitalia, tra il 2005 e il 2010, insieme ad un verbale di pignoramento di immobili . Altre due imprese, la Immobiliare Washington 2002 e la Miani Immobiliare, risultano a lui collegate (ne è stato consigliere) e parimenti risultano finite in stato di liquidazione. In un primo momento sembrava che la sua presenza in Tribunale fosse legata alla vicenda del crac Agile-Eutelia, ma la vicenda dei call center sarebbe stata in agenda nella stessa aula teatro della sparatoria solo più avanti nel corso della giornata.
I GUAI FINANZIARI
MILANO - Una storia di soldi in nero, accordi fissati e disattesi con pretese sempre maggiori: nasce da qui la tragica vicenda che ha visto morire tre persone nel cuore del Tribunale fallimentare di Milano.
I guai finanziari di Claudio Giardiello prendono origine da un contenzioso con la Cisep spa, una società con cui condivideva, attraverso la Magenta srl, una partecipazione nella Miani immobiliare. Le liti tra i soci erano legate alla contabilità occulta della partecipata e del giro di affari in nero. Di fatto era stato raggiunto un accordo tra gli amministratori della Miani per non far transitare nelle casse sociali e non far apparire nelle risultanze contabili e fiscali una parte dei corrispettivi incassati dai promissari acquirenti nell’ambito di una operazione immobiliare a Milano in Via Biella 25, dove dovevano essere costruite due palazzine per venderne poi gli appartamenti.
I soci (Massimo D’Anzuoni, Giorgio Erba, ucciso nella sparatoria, Silvio Tonani, Giardiello e Davide Limongelli, ferito e nipote di Giardiello) avevano pattuito di dividersi le somme, all’atto della stipulazione dei contratti preliminari e al momento dei rogiti, ma l’accordo non regge. Giardiello vuole di più e a seguito di una accesa discussione sulla spartizione delle somme, a giugno del 2006, denuncia gli affari in nero, chiamandosi fuori da ogni responsabilità. D’Anzuoni, Erba e Tonani tentano di conciliare con il Fisco, ma Giardiello utilizza i dati della regolarizzazione avviata dalla Cisep per intraprendere una azione di responsabilità contro i vertici della Miani. A sua volta la Cisep risponde chiedendo al Tribunale che Giardiello e la Immobiliare Magenta vengano condannati al risarcimento del danno ad essa causato per effetto delle sue denunce (circa 5,4 milioni di euro).
Dai documenti della battaglia legale, emerge che gli amministratori della Miani avevano raggiunto un preciso accordo per spartirsi una parte dei ricavi sottratta alla regolare contabilità. "Ogni qualvolta si doveva concludere un contratto preliminare - si legge nelle accuse - il sig. Massimo D’Anzuoni, presidente del consiglio di amministrazione della Miani, veniva convocato, presso la sede della Magenta Immobiliare, dal sig. Claudio Giardiello il quale teneva per sé (e per l’altro socio sig. Davide Limongelli) il 25% della somma non contabilizzata e versava al D’Anzuoni il restante 75%, destinato ad essere distribuito anche agli altri amministratori della Miani".
"La prova di tale meccanismo di pagamento è contenuta – scrivono i legali della Cisep nell’atto di denuncia – in un documento, sottoscritto dai signori D’Anzuoni, Tonani, Erba, Giardiello e Limongelli, nel quale viene riepilogata, alla data del 29.9.2005, la situazione degli importi percepiti da ciascuno dei compartecipi dell’accordo, tutti indicati con uno pseudonimo (il sig. Claudio Giardiello è il “Conte Tacchia” e il sig. Davide Limongelli è il “Marchesino”)".
Il prospetto è chiaro e preciso:
- € 1.355.235,00 al sig. Claudio Giardiello (il “Conte Tacchia”), il quale ha versato € 393.392,50 all’altro socio della Magenta, sig. Davide Limongelli (il “Marchesino);
- € 1.245.968,03 al sig. Massimo D’Anzuoni (il “Predatore”);
- € 1.245.968,03 al sig. Giorgio Erba (il “Comandante”);
- € 1.245.969,02 al sig. Silvio Tonani (“Tinto Brass”).
Secondo la ricostruzione, i guai tra i soci iniziano quando Giardiello pretende maggiore compensi: "I rapporti tra gli amministratori della società esponente avevano iniziato a deteriorarsi allorquando il sig. Claudio Giardiello, evidentemente non soddisfatto della disponibilità finanziaria procuratagli dal descritto accordo con i signori D’Anzuoni, Erba e Tonani, aveva iniziato ad avanzare insostenibili ed ingiustificate pretese economiche nei confronti degli altri amministratori della Miani. I quali in nessun modo riuscivano a ricondurre a ragione il loro interlocutore, soggetto, peraltro, ad improvvise alterazioni dell’umore e propenso anche all’aggressione pur di farsi ragione". Giardiello avrebbe addirittura pagato alcune sue spese al Casinò di Campione d’Italia con due assegni tratti su un conto di un’altra società partecipata (la Immobiliare Washington) da lui e dagli altri tre soci.
Da lì la fine degli affari e dei rapporti. La Miani e la Cisep cercano di regolarizzare la propria posizione col Fisco, mentre la Magenta e Giardiello tentano di scansare l’onere (circa 6 milioni di euro), sostenendo di non essere a conoscenza dell’accordo della spartizione occulta, tanto da aver denunciato alle competenti autorità i comportamenti evasivi. Nessuna società però riesce a sopravvivere allo scontro, ai debiti e alla crisi immobiliare e finiscono davanti al Tribunale fallimentare. Oggi, dopo dieci anni il tragico epilogo.
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POLEMICA SUI LIVELLI DI PROTEZIONE
MILANO - Scoppia il caso sui livelli di sicurezza a Palazzo di Giustizia. E sulla questione interviene poco dopo le 15 in diretta da Palazzo Chigi anche il primo ministro Matteo Renzi. "Questo è il momento del cordoglio, ma bisognerà fare chiarezza su come si sia potuta introdurre un’arma all’interno di un tribunale". "Faremo una richiesta in tutte le sedi opportune" per chiedere chiarezza, "bisogna capire chi è il responsabile per capire come sia potuto succedere" quello che è accaduto nel tribunale di Milano. "Su questa vicenda ora devono parlare gli inquirenti, i responsabili della sicurezza del Tribunale di Milano. Il Governo ha dato un mandato molto forte sulle falle che è evidente che ci sono state" nella sicurezza. Da parte mia c’è bisogno di ascoltare e di assicurare la piena collaborazione degli organi dello Stato", ha proseguito il premier. "Non strumentalizziamo poi quanto accaduto, L’Expo non c’entra nulla". "Il nostro impegno è che non succeda più e che chi ha sbagliato paghi", ha aggiunto Renzi, spiegando che "il nostro sistema di sicurezza poggia su donne e uomini che si sono dimostrati capaci di atti di vero eroismo" come l’aver fermato il killer di Milano che al momento dell’arresto "era ancora armato".
Da Milano sono intervenuti il ministro alla Giustizia Andrea Orlando e il collega Angelino Alfano. Secondo Orlando "il sistema ha visto compiersi un insieme di errori gravi" che "le indagini dovranno chiarire se ci sono state delle falle". Poche parole dal ministro Alfano: "E’ accaduto qualcosa di gravissimo e inaccettabile, faremo in modo che non accada mai più". "Io ero qui per il Comitato per l’ordine e sicurezza pubblica, abbiamo seguito istante per istante tutto ciò che si è verificato e mi sento di ringraziare le forze dell’ordine e specificatamente i carabinieri. E’ stato attivato un sistema in modo da arrivare presto alla cattura di un’uomo che era pronto a uccidere altre persone a Vimercate"
Gli inquirenti stanno cercando di capire come Claudio Giardiello sia riuscito a entrare in tribunale armato di pistola senza essere bloccato dai controlli con i metal detector. Una delle spiegazioni più plausibili sembra quella che l’uomo possa essere passato dalla parte d’ingresso riservata agli avvocati e a cui si accede mostrando il tesserino dell’ordine forense. Una delle altre ipotesi è quella che uno dei metal detector di Palazzo di Giustizia fosse guasto. E’ quanto ha riferito una persona che si era recata in Tribunale per lavoro. Secondo questa persona si tratterebbe dell’ingresso laterale di via Carlo Freguglia. Verso le 14,30, però, l’ipotesi del malfunzionamento è stata smentita da un portavoce del Palazzo di Giustizia ed è emerso che a inizio mese era stata effettuata la revisione degli impianti. Resterebbero quindi in piedi l’ipotesi che l’omicida sia entrato dai varchi riservati agli avvocati con un tesserino falso o con il suo legale.
Immediate le reazioni del mondo politico alla sparatoria al Palazzo di Giustizia di Milano. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha subito sospeso il comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico che stava presiedendo in Prefettura. Il governatore della Lombardia Roberto Maroni, che era presente al vertice in Prefettura, ha definito "sconvolgente" il fatto accaduto. "È inconcepibile che uno possa entrare in Tribunale con un’arma, che una persona qualunque riesca ad entrare con una pistola". Il presidente della Lombardia ha comunque tranquillizzato, sul fronte della sicurezza, in vista di Expo: "L’impegno c’è e sono tranquillo".
Stessi concetti per il presidente della Corte d’Appello di Milano"I sistemi di sicurezza per l’accesso agli uffici di palazzo di Giustizia, che hanno sempre garantito il sereno svolgimento delle attività giudiziarie nel corso dei passati decenni, hanno tuttavia palesato, oggi, una evidente falla nel loro funzionamento".
Sul caso interviene l’Associazione nazionale magistrati: "I fatti di Milano "ripropongono drammaticamente il problema della sicurezza all’interno dei luoghi in cui quotidianamente si lavora per l’affermazione della legalità" e l’Anm "chiede con forza che si provveda all’adozione di misure urgenti". L’Anm esprime poi "profondo sgomento e dolore per i tragici eventi" accaduti nel Palazzo di giustizia di Milano, nei quali ha trovato la morte anche il collega Fernando Ciampi, e manifesta "sentita solidarietà e vicinanza ai familiari delle vittime e ai feriti". E fa presente che nei tribunali "il rischio di atti di violenza è particolarmente elevato e dunque eccezionali devono essere le garanzie di tutela dell’incolumità di tutti gli operatori di giustizia e dei cittadini". Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel pomeriggio ha presieduto un plenum straordinario del Csm. "I magistrati - ha detto il Capo dello Stato - sono sempre in prima linea e ciò li rende particolarmente esposti: anche per questo va respinta con chiarezza ogni forma di discredito nei loro confronti". "Siamo qui - ha proseguito Mattarella - per onorare la memoria di Fernando Ciampi, giudice probo, rigoroso e intransigente. Un altro magistrato caduto nell’esercizio delle sue funzioni". "Con grande commozione prendo la parola in questa seduta particolare, dopo l’assurda vicenda accaduta questa mattina al tribunale di Milano. Provo terribile dolore. Dolore tanto più lacerante poichè gli assassini si sono consumati in un luogo dedicato al rispetto della legge". "La società democratica, aperta e accogliente - ha ancora detto Mattarella - è per sua natura vulnerabile: alle insidie criminali lo Stato italiano risponde con fermezza, sempre nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali e dei diritti dell’uomo".
Intervento nel pomeriggio in Consiglio comunale per il sindaco Giuliano Pisapia: "Credo sia importante dare
un’immagine del fatto che siamo uniti per dare il massimo di sicurezza alla nostra città. E’ importante che la magistratura, l’avvocatura e i lavoratori sentano vicina la città e l’impegno di tutti noi affinché fatti di questo tipo non si ripetano", ha aggiunto.
Pisapia ha anche assicurato che "abbiamo fatto tutto il possibile, per parte nostra, per i controlli in Tribunale".
"Mi sono recato immediatamente a Palazzo di Giustizia - ha ricordato Pisapia - anche perché è un mondo che conosco, e ho espresso alla magistratura, all’avvocatura e ai lavoratori la vicinanza e il cordoglio dell’intera città". Il sindaco infine ha aggiunto di essere sicuro che "la magistratura metterà il massimo impegno per arrivare immediatamente ad accertare se ci sono state carenze a livello di sicurezza"
Polemica l’esponente di Forza Italia, Daniela Santanchè: "L’Isis è alle porte e ci minaccia ogni giorno, tra pochi giorni avrà inizio l’Expo: il nostro paese dovrebbe essere iper sicuro invece è ridotto a uno scolapasta. Ci spieghi Alfano - e lo faccia in fretta - come si fa ad entrare armati in un Tribunale come è avvenuto a Milano". Intervento a gamba tesa per il segretario della Lega, Matteo Salvini: "Il primo pensiero è per le famiglie delle vittime del Tribunale, il secondo è che sono preoccupatissimo: se questo è il livello di sicurezza nella Milano di Expo immagino cosa possano pensare di fare dei potenziali terroristi; come sentirsi sicuri se questa è la sicurezza di cui parla Alfano?".
Di tono istituzionale e sentito le reazioni di Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm, e del presidente del Senato, Piero Grasso. "Sono in contatto con il presidente della Repubblica, con i capi degli uffici giudiziari di Milano e con i consiglieri con i quali tra poco ci riuniremo per decidere sulle iniziative che l’Organo di governo autonomo della magistratura intraprenderà fin dalle prossime ore in segno di solidarietà alla magistratura milanese ed italiana e per porre con forza l’esigenza di maggiore sicurezza degli uffici giudiziari e di tutti gli operatori del sistema giustizia", ha detto Legnini esprimendo il suo cordoglio. "Seguiamo tutti con grande apprensione" i fatti "gravissimi accaduti nel Palazzo di Giustizia. Fatti che destano enorme sconcerto", gli ha fatto eco Grasso.
Cauto il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone: "L’ipotesi che qualcuno possa entrare nel Tribunale di Milano armato di pistola dovrebbe essere difficile, impossibile, ma non sono in grado di giudicare perchè non conosco i fatti".
Il folle gesto omicida che ha causato la morte del magistrato Fernando Ciampi, dell’avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani e del signor Giorgio Erba riempie di grave sconcerto ed angoscia.
Nel pomeriggio è poi arrivato anche un messaggio dell’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola: "Unisco il mio dolore e quello della Chiesa ambrosiana al dolore dei cittadini di Milano e del paese intero. Lo smarrimento e la paura che ora invadono noi tutti non diano spazio a sterili polemiche. La tragica morte delle vittime incrementi il nostro impegno nell’edificazione della vita buona tesa al benefico sviluppo della nostra Milano. Ogni Istituzione, a partire dalla Chiesa, faccia la propria parte per prevenire e contenere il male che acceca e uccide, per educare al bene comune e per garantire sicurezza ai cittadini".
1. Da dove è uscito?
Anche su questo ci si deve affidare ai “forse”. Forse è uscito da via Manara, dallo stesso ingresso laterale da cui (forse) era entrato. Per chiarire questo punto saranno utili i filmati delle telecamere di sorveglianza, le stesse che hanno consentito di risalire alla targa dello scooter Suzuki usato dall’omicida per fuggire.
2. Dopo la strage al Tribunale, chi altro voleva uccidere?
Quando i carabinieri l’hanno fermato a Vimercate, vicino al centro commerciale Torri Bianche, il 57enne immobiliarista aveva in mente di sparare ancora. La sua non era solo una fuga. Voleva raggiungere un’altra delle persone coinvolte nel processo per bancarotta che lo riguardava. E uccidere anche lui. È l’altro grande punto su cui fare luce: i carabinieri hanno identificato chi era il prossimo bersaglio dell’uomo, a quanto pare un altro dei suoi ex soci, ma tengono assoluta riservatezza sulla sua identità.
3. Gli omicidi erano premeditati?
Secondo le prime ricostruzioni, a scatenare la furia di Giardiello è stata la decisione del suo avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani, di rinunciare al mandato e non difenderlo nel processo per bancarotta fraudolenta. Ma è difficile pensare che Giardiello abbia portato con sé una pistola - e forse un falso tesserino da avvocato - senza il preciso intento di usarla. E difficilmente è stata un caso l’uccisione del giudice fallimentare Fernando Ciampi, trovato da Giardiello nel suo studio, a colpo sicuro. A prescindere dalla scelta dell’avvocato - forse prevista dall’omicida - l’udienza potrebbe essere stata un pretesto per un piano preparato nei dettagli. A chiarirlo sarà l’interrogatorio.
4. Come ha scelto le sue vittime?
“Volevo vendicarmi di chi mi ha rovinato”, avrebbe detto Giardiello ai carabinieri, al momento dell’arresto. Abbastanza chiaro allora perché abbia puntato la pistola sull’ex legale e su uno degli ex soci, imputato come lui nel processo per bancarotta fraudolenta. Resta invece da capire quale ruolo abbia avuto il giudice Ciampi nella vicenda. E va chiarito anche quale colpa, agli occhi di Giardiello, avesse Stefano Verna, il commercialista incontrato dal killer sulle scale tra il terzo e il secondo piano del Tribunale e ferito ad una gamba.