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 2015  aprile 05 Domenica calendario

TEHERAN, POLIZIOTTO NEL GOLFO COME AI TEMPI DELLO SCIÀ

L’Iran è rinato quale nazione di primo piano in Medio Oriente nel momento stesso in cui ha accettato di limitare le sue ambizioni nucleari. Malgrado i “se” (se l’Iran manterrà fede ai parametri chiave dell’accordo, se la Guardia Rivoluzionaria iraniana non cercherà di far naufragare l’accordo, se Israele non deciderà di lanciare un raid contro le installazioni nucleari in Iran) i termini dell’accordo potrebbero un giorno restituire alla ormai trentaseienne Repubblica islamica, lo status di superpotenza regionale che aveva perso dopo la deposizione dello Scià. Ed è proprio per questo che i sauditi sono furibondi. Infatti se l’Iran dovesse diventare il nuovo miglior amico degli Stati Uniti, l’alleanza privilegiata dell’Arabia Saudita con gli americani ne uscirebbe fortemente indebolita. Un regno che viola i diritti umani per il modo in cui tratta le donne e che non sembra intenzionato a riconoscere alcuna forma di libertà di parola, non è mai stato un alleato “naturale” per Washington pur tenendo conto che tra gli alleati dell’America ci sono sempre state nazioni impresentabili. Tuttavia, se l’Iran e l’Occidente terranno fede alla parola data e se la sfiducia, che tuttora permane come un minacciosa incognita per ammissione dello stesso segretario di Stato John Kerry, si trasformasse in reciproca fiducia, allora l’accordo di compromesso raggiunto questa settimana – e tutti sanno che in Medio Oriente il compromesso è uno strumento alquanto sfuggente – potrebbe avere nella regione enormi conseguenze politiche. Col tempo l’Iran potrebbe diventare il “poliziotto dell’America” nel Golfo Persico come ai tempi del regno dello Scià. E chi potrebbe dirsi sorpreso nel caso in cui gli Stati Uniti cominciassero a riesaminare i rapporti con i sauditi wahabiti che hanno regalato al mondo Osama bin Laden e 15 dei 19 dirottatori dell’11 settembre? La loro religione di Stato è identica a quella dei talebani e, ahimè, a quella dei più feroci e spietati miliziani che operano in Iraq e Siria. Come al solito l’Arabia Saudita, farà del suo meglio per atteggiarsi a simbolo della lotta contro il terrorismo in quella delicata regione. Ma i tempi, anche se lentamente, stanno cambiando. L’Egitto ha bisogno dell’assistenza americana o, per meglio dire, dei miliardi di dollari che affluiscono nelle sue casse. L’ex generale e capo di stato maggiore Abdel Fattah al-Sisi (oggi presidente Sisi) sa benissimo che agli ordini degli Stati Uniti si deve obbedire ed è per questa ragione che l’Egitto ha tagliato i ponti che lo univano a Hamas allo scopo di isolare il nemico di Israele. Il Qatar e Gli Emirati arabi uniti non potranno che accettare qualunque accordo definitivo stipulato dagli americani. Quanto all’unico alleato dell’Iran, ovvero la Siria – in quanto l’Iraq non si è ancora conquistato questo riconoscimento – l’accordo di Losanna è la migliore notizia pervenuta a Bashar al-Assad da quando i russi hanno impedito i raid aerei americani contro il regime siriano. In realtà molti arabi cominceranno a pensare che la sua aspettativa di vita potrebbe essere lunga quanto quella di suo padre Hafez. A meno che, ovviamente, l’Iran non riesca ora ad imporre un cessate il fuoco in Siria. Certamente l’accordo di Losanna potrebbe rivelarsi un giorno decisivo per il futuro di un Paese il cui conflitto è divenuta una delle più grandi tragedie arabe dei nostri tempi. Organi di informazione e giornalisti di ogni genere e orientamento non fanno che gridare ai quattro venti il disappunto di Israele. E sappiamo tutti che i Repubblicani del Congresso stanno già schierando le divisioni per far naufragare l’accordo. Ma nessuno ha chiesto nulla dell’altra grande tragedia del Medio Oriente, quella dei palestinesi. Quanto tempo passerà prima che l’Iran faccia capire che la nascita di uno Stato palestinese è un aspetto importante del suo nuovo rapporto con l’America? In questo caso il fallimento di Kerry al tavolo dei negoziati israelo-palestinesi – simboleggiato dalla recente adesione della “Palestina” alla Corte penale internazionale – potrebbe ritorcersi contro il segretario di Stato dopo questa sua grande vittoria politica. A meno che. A meno che Damasco cada in mano all’Isis o i soldati del Sinai portino il sangue nel cuore del Cairo, o l’aggressione saudita contro gli amici sciiti dell’Iran nello Yemen si riveli un fiasco. Ogni qual volta Washington vanta i suoi successi in Medio Oriente – non mi pare necessario ricordare la celebre frase di Bush: “missione compiuta”. In genere segue una debacle. E non di meno la storia ha spesso un andamento ciclico anche nelle cittadine svizzere. Proprio a Losanna il secolo scorso l’Impero Ottomano fu costretto a ridimensionare le sue ambizioni. Forse un giorno l’impero iraniano – o una sua versione moderna – potrebbe finire per credere che la sua rinascita ha avuto per teatro la stessa città svizzera. Ma non dimentichiamo tutti quei “se”.
© The Independent Traduzione di Carlo Antonio Biscotto.
Robert Fisk, il Fatto Quotidiano 5/4/2015