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 2015  aprile 05 Domenica calendario

FERRARA

& BETULLA, CROCIATI DA RIDERE –
Meno male che anche quando la sua penna sgocciola sangue e furore, Giuliano Ferrara fa sempre ridere. Specie adesso che chiama i cristiani alla guerra crociata (“altro che misericordia!”) proprio come il suo altro voluminoso, ma meno sveglio, scudiero, Renato Farina, rivestito Betulla, che a leggere i loro appelli alla blitzkrieg contro i tagliagole dell’Isis, contro gli Shebab massacratori di donne e studenti, fanno l’effetto comico di Franco e Ciccio al fronte, marziali, ma con la lasagna fumante e la forchetta, avanti marsch! Uno che strilla dalle colonne del Foglio: “Dov’è finita l’iradiddio! Dove la guerra giusta?”. E l’altro che gli fa eco presidiando la trincea del Giornale: “La nostra ignavia è l’arma che gli islamisti useranno per distruggerci”, “Dobbiamo entrare dentro questo male, non possiamo starcene fuori a guardare”. Pazienza per lo stile, il senso, la sintassi. Ma se ogni tanto dessero un’occhiata fuori dalle loro proteiche dispense, si accorgerebbero che in quei lontani territori vola qualche nostro bombardiere da un tempo che perfino precede le insanguinate bandiere nere. Ce ne stiamo occupando eccome “degli islamisti”, come li chiama il povero Betulla, più o meno dalla fine della Seconda Guerra mondiale, visto che da quelle parti crescono due sole cose, la polvere su cui camminano quei disgraziati e i pozzi di petrolio che invece fanno camminare noi. Chissà se c’è un nesso? Ma Ferrara & Betulla non vanno tanto per il sottile, a loro basta l’occhio per occhio di domani, non quello di ieri. Ce li immaginiamo tutti e due con la pancia bene al caldo dentro al frastuono dell’ampia sala giochi dell’Occidente chiacchierone. Perché anche strillare “andate a fare la guerra, cazzo!” fa parte della stessa commedia di parole, è puro intrattenimento spettacolare. Lo stesso che ogni tanto sospinge qualche leghista d’altrettanto ingegno a pascolare maiali laddove potrebbe mettere radici una odiata moschea. Credendo con questo gesto di santificare la liturgia domenicale che ci ha cresciuti. E raccattare qualche voto. Più o meno quello che fa il sopravvalutato Houellebecq che si immagina un cupo futuro di sottomissione europea alla dittatura coranica, ma già che c’è, tra una fine del mondo e l’altra, infila tra le pagine una bella sequenza di scopate con fellatio, che fanno sempre curriculum e forse anche qualche altra copia per il gonzo lettore. Fanno tutti finta di non sapere che la radice di questo male tornato ad affliggerci si chiama monoteismo. Che il nostro e il loro nella sostanza si equivalgono, maneggiando la identica volontà di scannare l’altro, il nemico, e poi, per tante stravaganti ragioni tipo non mangiare la carne di venerdì, non conoscere il nome della mamma del Profeta, imprigionarlo, lapidarlo, bruciarlo vivo, crocifiggerlo, fucilarlo, decollarlo. O in certi altri casi farlo martire e santo. Tributandogli un altare d’angeli celibi, o settanta vergini in sala d’attesa. Noi titolari della civiltà nata da radici cristiane, lo abbiamo fatto per secoli. E lo abbiamo celebrato innalzando cattedrali, città, Nazioni. L’Islam è stato il nostro specchio. Ma se noi da quei tempi tristi abbiamo estratto il dono della compassione, insegnatoci dal cuore di un Nazareno, oltre a una passabile convivenza tra diversi, insegnatoci dalla ragione, dovremmo farci il favore di non buttare tutto. Piantarla di inneggiare al sangue che chiama sangue. Accogliere la guerra per quello che è una maledizione. E non la festa della lasagna.
Pino Corrias, il Fatto Quotidiano 5/4/2015