Lauretta Colonnelli, Domenicale – Il Sole 24 Ore 5/4/2015, 5 aprile 2015
ULTIMA CENA CON ERBE E SALSA
Notizie tratte dal nuovo libro di Lauretta Colonnelli, La tavola di Dio , Edizioni Clichy, Firenze, pagg. 250, € 15,00. Ne pubblichiamo alcune in anteprima
Che cosa mangiò Gesù nell’ultima cena?
Erbe amare, pane azzimo, una salsa chiamata charoset, agnello arrostito, vino.
Come facciamo a saperlo?
Queste sono le pietanze che gli ebrei mangiano ancora oggi nella cena rituale di Pésach, la loro Pasqua. Gesù era ebreo e osservava la religione del suo popolo.
Chi dice che la cena di Gesù fu una cena di Pésach?
Gli evangelisti Matteo, Marco e Luca. Giovanni la presenta invece come una cena di addio agli apostoli. I teologi ancora dibattono sulle due versioni.
A che ora ebbe inizio questa cena?
Al tramonto di una sera di primavera. Con la luna piena.
Chi ha dipinto con particolare poesia la luce di questa serata primaverile?
Giotto, nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Una piccola stanza. Gesù e gli apostoli siedono stretti l’uno all’altro sulle due panche ai lati lunghi del tavolo. Quattro finestre, mezzo chiuse da imposte di legno. Filtra un chiarore azzurro luminosissimo, come al tramonto o all’alba, quando il sole è appena sotto l’orizzonte. L’heure bleue dei francesi. Oggi molto ricercata dai fotografi, soprattutto paesaggisti, per ottenere suggestivi effetti di contrasto.
Di quanto sono aumentate le porzioni nelle raffigurazioni dell’Ultima cena dall’anno 1000 al 1700?
La dimensione delle pietanze è aumentata del 69,2 per cento, la grandezza del piatto del 65,6 per cento, la porzione di pane del 23,1 per cento. Nel menù compare il pesce nel 18 per cento dei casi, l’agnello nel 14 per cento, il maiale nel 7 per cento. Le percentuali sono state calcolate dai fratelli Brian e Craig Wansink, l’uno docente di Marketing ed economia applicata alla Cornwell University, l’altro di Teologia al Virginia Wesleyan College, mettendo a confronto le dimensioni delle teste dei commensali con quelle dei loro piatti e del cibo in essi contenuto.
Quale pittore raffigurò in un’Ultima cena le buone maniere da seguire a tavola?
Girolamo Romanino, nella pala d’altare del Duomo di Montichiari, in provincia di Brescia. Siamo nel 1542. I due apostoli seduti in primo piano e quello in piedi accanto a Pietro tengono il tovagliolo sulla spalla sinistra. Un dettaglio curioso e insolito nei dipinti del Cinquecento. In realtà una finezza da galateo, che trova spiegazione in un libro pubblicato una decina di anni prima da Erasmo da Rotterdam e intitolato De civilitate morum puerilium, dove si prescrive: «Se ti vien dato un tovagliolo, devi poggiarlo sull’omero o sul braccio sinistro».
Perché gli artisti vestirono Giuda di giallo?
Perché nel Medioevo il giallo, soprattutto quello bilioso, tendente al verde, era simbolo della menzogna e del tradimento.
È vero che Gesù fu anche un bravo cuoco?
Il teologo Cesare Pagazzi sostiene che Gesù sapeva cucinare e che definendosi buon pastore intendeva dire colui che dà buoni pasti.
In quale occasione Gesù cucinò il pesce alla brace?
Tre giorni dopo che era risorto, sulla riva del lago di Tiberiade, mentre aspettava i discepoli che erano andati a pescare.
Chi ha riconosciuto nei pesci dell’Ultima cena di Leonardo anguille alla griglia guarnite con fette di arancia?
John Varriano nella sua ricerca «At Supper with Leonardo», realizzata sul dipinto di Santa Maria delle Grazie dopo il restauro condotto tra il 1977 e il 1999.
È vero che Leonardo era vegetariano?
Lo racconta il navigatore Andrea Corsali, in una lettera inviata il 6 gennaio 1515 a Giuliano de’ Medici. Gli studiosi che hanno consultato le liste della spesa di Leonardo riferiscono di fagioli borlotti, meliga bianca e rossa, miglio, grano saraceno, piselli, uova, funghi, frutta e crusca.
Nell’ultima cena Gesù bevve vino puro o diluito con acqua all’uso dei Romani?
Offrire del vino puro era considerato offensivo. La miscela raccomandata in Israele era di una parte di vino per due di acqua; i Romani e i Greci mescolavano due parti di vino e tre di acqua.
Perché i bicchieri dell’Ultima cena, a partire dalla seconda metà del Quattrocento, acquistano una trasparenza nuova?
Perché in quell’epoca cominciano a diffondersi i bicchieri di cristallo. Che non era cristallo di rocca, ma un vetro ottenuto con materie prime selezionate, depurate e schiarite, chiamato cristallino.
Quanto vino contenevano le bottiglie a bulbo dipinte nelle Ultime cene del Rinascimento?
Tre quarti di litro, come le bordolesi in commercio oggi. La misura, che forse corrispondeva alla giusta dose di vino per un pasto di quattro persone, si mantenne fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando si cominciarono a fabbricare bottiglie a macchina.
Quante ciliegie dipinse Domenico Ghirlandaio nel 1480 sulla tovaglia dell’Ultima cena nel refettorio di Ognissanti a Firenze?
Trentasette.
Quando cominciarono ad apparire i gatti sotto la tavola dell’Ultima cena?
Nel Quattrocento. Soprattutto i bellissimi gatti soriani che i crociati avevano portato dalla Siria. I primi gatti, arrivati a Roma nel 31 a. C. al seguito dei legionari che avevano conquistato l’Egitto, si erano diffusi con difficoltà perché i Romani, per la caccia ai topi, avevano addomesticato le faine.
Lauretta Colonnelli, Domenicale – Il Sole 24 Ore 5/4/2015