Armando Massarenti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 5/4/2015, 5 aprile 2015
MONTANELLI E IL GALATEO DEGLI ATEI
È vero: Indro Montanelli, come la maggior parte degli agnostici e degli atei, nutriva, com’è giusto, un profondo rispetto per i credenti. Però questo non giustifica chi, sia pure in perfetta buona fede, vorrebbe trasformarlo in un uomo pervaso dal dubbio e in odore di conversione. È l’equivoco in cui sembra cadere il direttore de «Il Giorno» Giancarlo Mazzuca in Indro Montanelli. Uno straniero in patria (Cairo editore), e deriva dal fatto che, nella maggior parte delle occasioni, gli atei, gli agnostici, in sostanza i liberali alla Montanelli, con grande pudore, mettono tra parentesi il loro non essere in linea con la maggior parte del genere umano (o degli italiani) che invece ha fede, e in molti casi ama ostentarla. E lo fanno soprattutto per un motivo di buona creanza, sapendo che le loro opinioni in proposito, sebbene condivise da strati sempre più ampi della popolazione, potrebbero disturbare o sconcertare l’animo dei credenti. Quando però l’essere o meno religiosi fa una differenza dal punto di vista di specifici diritti civili o di specifiche libertà, ecco che, sia pure controvoglia, e sempre rispettando chi la pensa diversamente, è inevitabile che si facciano paladini di battaglie nel nome dell’interesse generale e della laicità che ne è a fondamento, allo scopo di garantire la libertà di tutti, credenti compresi. Chi non ricorda a questo proposito la campagna a favore dell’eutanasia (intesa come suicidio assistito) cui si dedicò l’ultimo Montanelli, che si scagliava contro il «ciarpame teologico e moralistico» imperniato sulla «sacralità della vita come dono del Signore e pertanto intoccabile»? E come non ricordare, nei primi anni Settanta, il Montanelli che si esprimeva chiaramente per il divorzio (guadagnandosi le querele dei difensori della famiglia) e per l’aborto: «Se a partorire fossero gli uomini, esso sarebbe da un pezzo un sacramento». A proposito del Referendum contro il divorzio, mentre quasi tutti gli schieramenti politici, Pci in testa, si esprimevano come minimo con tiepidezza o ambiguità, Montanelli asseriva: «Tempo fa, scrissi che coloro che lo avevano promosso erano dei mentecatti e ora debbo riconoscere di essermi sbagliato. Non sono dei mentecatti. Sono dei criminali». Su papa Paolo VI non fu meno feroce: «Certo, non era ragionevole prevedere che assumesse, nei confronti del divorzio, un atteggiamento neutrale. Ma era ragionevole sperare che rimettesse il problema all’unico tribunale competente a pronunciarsi in proposito: la coscienza dei fedeli. Purtroppo, da vero uomo di Chiesa, nella coscienza dei fedeli non ha nessuna fiducia. Ne ripone molta di più nel tribunale dello Stato cui vorrebbe accollare quei compiti coattivi che la sua Inquisizione non è più in grado di assolvere per mancanza di fascine. Per montare la guardia al sacramento del matrimonio, chiede i carabinieri». Meno note forse erano le sue aperture sui diritti degli omosessuali. Ma ecco che nel 1981 lo vediamo rispondere a un lettore che imputava a «Il Giornale» di «civettare con i gay»: «Se c’è una cosa su cui mi rifiuto di giudicare gli uomini (e le donne) è proprio il sesso. Ho conosciuto degli omosessuali meravigliosi anche sul piano morale, e degli eterosessuali orrendi. E sono troppo geloso della privatezza mia per non rispettare quella altrui». Ed ecco cosa scriveva nel 1977 della parola «laicismo»: «Ne siamo convinti assertori, consapevoli che è un abito mentale, non un tema di propaganda». Appunto. Niente propaganda, per favore. Ma solo laicità come modello di buona creanza e di buona educazione. Pensate alla delicatezza del suo autoepitaffio, che uscì sul «Corriere» la mattina dopo la morte: «Le sue cremate ceneri siano raccolte in un’urna fissata alla base, ma non murata, sopra il loculo di sua madre Maddalena nella modesta cappella di Fucecchio. Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili». È solo per le solite ragioni di civiltà e di buona creanza che nessuno si è lamentato nel vedere, pochi giorni dopo, trasgredire platealmente le sue ultime volontà con un profluvio di messe in suo onore. Nessuno di noi “stranieri in patria” ebbe il cattivo gusto di approfittare della naturale, umana, volontà dei nostri connazionali di commemorarlo secondo le usanze consuete per ingaggiare contro di essa una generica battaglia per la laicità.
Armando Massarenti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 5/4/2015