Roberto Napoletano, Domenicale – Il Sole 24 Ore 5/4/2015, 5 aprile 2015
STORIA AMARA DI ELVIRA E DI DONNE DEL SUD PARTITE DA ZERO
Gentile direttore,
la crisi porta con sé relitti, abbandoni, lungo la sua corsa, come un fiume in piena, travolge attività economiche, professionisti, persone, certezze e lascia macerie da dove è difficile risorgere tanto è il senso di disagio, sfiducia che ti pervade il corpo, ti accelera la circolazione, ti gonfia le vene fino ad arrivare alla gola con un singulto che ti strozza, ti soffoca e quasi perdi l’equilibrio.
È questa la mia storia, vengo dal niente, i miei erano falegnami e con difficoltà sono riuscita a laurearmi e a diventare dottore commercialista. Non c’era spazio per niente, ero innamorata del mio lavoro e della possibilità che, attraverso lo stesso, nuove iniziative economiche si potevano realizzare, nuovi operai al lavoro, nuove attività e così via.
Ho sacrificato tutto, il mio viaggio di nozze è stato solo di tre giorni perché avevo una importante discussione in Commissione Tributaria. Non ho allattato la mia prima bambina perché dopo una settimana ero al lavoro già full time. Ho aspettato otto anni per aver un altro figlio e ne sono venuti due contemporaneamente e per giunta prematuri. Dopo un parto gemellare, alla domenica, il giovedì ero già seduta alla mia scrivania dove ero rimasta incollata negli ultimi mesi di gravidanza e dove lavoravo come se fossi su una lettiga per evitare che il secondo gemello, che stava sotto il primo, potesse soffrire di asfissia. E da ultimo, ma non ultimo, non ho partecipato alla funzione al cimitero di mia madre perché il mio cliente più importante doveva chiudere un importante accordo con un partner.
Potrei raccontare tanti successi, tanti riconoscimenti avuti in un mondo “professionale” fatto di uomini laddove ho dovuto impormi con grazia ma anche con fermezza dimostrando di essere sempre brava, informata, diligente, eccetera. Ciò che mi ha spinto non erano certamente i soldi. Il “non crescere” i figli non vale nessun compenso, credetemi!
E poi mano mano si insinuava come una serpe velenosa la crisi, la voglia di una classe imprenditoriale di voler diventare “finanza” quando non ne aveva le “qualità” e le “possibilità”. Un mondo imprenditoriale che perdeva le sue certezze, annaspava, licenziava, si arrabattava in mille difficoltà operative.
Io, nella mia caparbia volontà di salvare, non potevo accettare che realtà aziendali fiorenti potessero morire, mi sono buttata capo e collo, lavorando giorno e notte per salvare ciò che probabilmente non poteva essere salvato. Ed oggi mi trovo a dover rendere conto davanti a chi non è stato minimamente sfiorato dallo tsunami di questi anni e valuta il mio operato. Tale è il disagio, la vergogna, che non ho la forza per reagire, mi sento vuota , violata... parlo con il mio avvocato che mi dice «sa quanti commercialisti e consulenti sono nelle sue stesse condizioni? Tantissimi è una professione che non si può più fare !!!». Vorrei avere la forza di parlare, di difendermi (ma poi da chi?) di far capire a qualcuno che quello che è successo in questi ultimi anni è una rivoluzione epocale che ha spazzato via tante cose e ha lasciato tante macerie.
La mia angoscia si trasforma in impotenza quando confronto la mia vicenda con i tanti soggetti che hanno depredato le risorse pubbliche statali. L’anno scorso ho contribuito a verificare la contabilità di una società partecipata del Comune dove risiedo. Ho scoperto alterazioni di poste contabili, falsa appostazione di dati in bilancio, fatturazione falsa per permettere la fuoriuscita di fondi pubblici, assegni incassati direttamente dall’amministratore della partecipata portati a deconto dei debiti verso fornitori, eccetera. Il tutto per svariati milioni di euro.
Oggi, facevo questa amara considerazione circa le conclusioni cui sono pervenuta che mi hanno fatto orrore... e mi sono fatta orrore. Se mi chiedessero di nuovo la stessa “indagine” io non accetterei, perché la mia vicenda personale mi ha talmente annichilita, sfiduciata svuotata che ho perso il senso di essere parte integrante di questo Paese.
Elvira Russo, Castellammare di Stabia
In questa lettera di Elvira, una donna orgogliosa e ferita che ha messo il lavoro prima di tutto, c’è uno spaccato terribile dell’Italia di oggi, dove le macerie morali e economiche di una “guerra” persa senza combattere entrano dentro la pelle, annichiliscono, svuotano, lasciano un senso di smarrimento e mettono a nudo fragilità e contraddizioni di un Paese che fa ancora fatica a ritrovarsi. In questa lettera ci sono la forza e la determinazione di quelle donne del Sud partite da zero che non si fermano davanti a nulla e le contraddizioni di un sistema che sopravvive immobile alla perdita di quindici punti di pil nel suo Mezzogiorno e all’ossessività di comportamenti pubblici e privati che chiudono gli occhi, si trincerano dietro un mondo di regole obsolete, e mostrano di non vedere e sentire tutto ciò che accade intorno alle loro certezze.
Elvira viene da una famiglia di falegnami, si laurea, si afferma come commercialista e «dopo un parto gemellare prematuro di due gemelli, alla domenica» è dal giovedì successivo dietro la scrivania «al suo posto di lavoro», a Castellammare di Stabia, dove è difficile anche farsi fissare un appuntamento alla Asl e dove, con le consuete eccezioni, spopolano assenteismo, clientele e corruttele di ogni tipo, infiltrazioni della criminalità organizzata nelle aziende e, ancora di più, nelle istituzioni. Elvira appartiene a un mondo vitale di donne italiane che non intendono abbassare la testa e cedere a ogni tipo di prevaricazione antica o giovanilista, sono abituate a farcela con il cervello e con il cuore e sanno che cosa vuol dire muoversi in proprio oggi su un mercato devastato in quasi tutti i suoi fondamentali.
Purtroppo la storia di Elvira, come di tante donne in prima linea, è la storia dei tormenti mai cessati in casa nostra di una crisi finanziaria e morale che viene da lontano dove il prezzo più alto rischiano di pagarlo le persone perbene e i più deboli e dove per uscirne contano i cambiamenti veri, quelli costruiti con la fatica e il sudore, e non gli “effluvi” di slogan e populismi che appartengono a un mondo virtuale e rischiano di minare sul nascere entusiasmi e fiducia. È la storia di un Paese che soffre di miopia e non si è mai voluto riunire, dove il raffreddore dei privilegiati continua a pesare più della polmonite dei tanti outsider, giovani e meno giovani, e dove l’unificazione economica e sociale resta terribilmente lontana perché nessuno si vuole sporcare le mani con le cose serie e la corruzione resta una malattia contagiosa che nessuno cura con fatti concludenti ma a parole, magari mimetizzandosi di volta in volta dietro questo o quel polverone.
Guai se facciamo perdere la fiducia in questo Paese a persone come Elvira perché vorrebbe dire che nemmeno euro e petrolio deboli, le iniezioni di liquidità della Bce e altro ancora, potrebbero più salvarci. La Germania è ripartita perché ha affrontato e risolto in tempi non sospetti la sfida dell’integrazione con le regioni dell’Est e lo ha fatto con i contributi di solidarietà delle famiglie delle regioni ricche senza bussare al bilancio statale e al meccanismo pubblico tutto italiano, finanziariamente più debole, e spesso corruttivo. La questione meridionale dimenticata è l’altra faccia della nuova questione settentrionale costretta a fare i conti con un’emergenza diventata nazionale. Ignorare la realtà non aiuta a risolvere i problemi.
roberto.napoletano@ilsole24ore.com
Roberto Napoletano, Domenicale – Il Sole 24 Ore 5/4/2015