Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 05 Domenica calendario

VALENTINO E LA SCOMMESSA VINTA DEL QATAR

Quando l’emiro del Qatar Hamad bib Khalifa Al Thani, nell’estate del 2012, comprò Valentino, il mondo del lusso, e della finanza, fu scosso da un terremoto. Era la prima grande maison italiana che finiva sotto le grinfie degli affamati (di brand e blasone) miliardari arabi. Il sovrano del piccolo (2 milioni di abitanti su una penisola grande quanto l’Abruzzo), ma ricchissimo (203 miliardi di dollari il Pil, 100mila dollari il reddito pro-capite), stato del Golfo Persico pagava una cifra stratosferica per la casa del lusso fondata dallo stilita Valentino Garavani: 700 milioni di euro, qualcosa come 25 volte la redditività, che era di circa 30 milioni; un multiplo folle avrebbe sentenziato qualsiasi analista. La voce che all’epoca circolava è che fosse un regalo per la moglie: Mozah bint Nasser al Missed, seconda di tre consorti e soprattutto grande appassionata di moda e lusso italiano (assieme al marito hanno rilevato anche lo storico Hotel Gallia di Milano).
Nei salotti dei banchieri però qualcuno pensava che il dominus del Qatar rischiava una sonora tegola, comprando a quei prezzi. Ma tanto, era la voce, quello era solo uno sfizio, per accontentare la consorte. Chapeau, invece, al fondo Permira che si liberava di un’azienda ingombrante. Nessuno cinque anni prima avrebbe scommesso un euro che il fondo ce l’avrebbe fatta a uscire indenne da quella azzardata scommessa sul lusso. E tantomeno a guadagnarci, vista la tempesta che poi si è abbattuta sull’Europa. Senza contare, poi, che nel classista e snob mondo del lusso, Valentino che parlava arabo faceva storcere il naso. Gli anni hanno dimostrato però che non era solo un vezzo del paperone arabo. Ma un investimento oculato e redditizio: oggi Valentino si stima valga 1,5 miliardi.
Bisogna fare un passo indietro, però. L’operazione Valentino segnò l’apice della bolla speculativa della finanza in Italia: fu la più grande scalata del private equity nel nostro paese. Nella primavera del 2007, di lì a poco sarebbe scoppiato il bubbone Countrywide che sprigionò il contagio della crisi, il fondo Permira comprò la maison (che aveva in pancia anche la più grnade e redditizia Hugo Boss) dalla famiglia veneta Marzotto (all’epoca alle prese con una delle tante faide che hanno scandito la storia centenaria della Dynasty di Valdagno). Al momento della scalata. la sola maison romana aveva un giro d’affari di 260 milioni. E tutti pensavano che Permira avesse strapagato. Così, sei anni dopo il fondo ha tirato un sospiro di sollievo. Uscire da una Valentino pagata 17 volte il Mol, uno dei multipli più alti mai pagati in una scalata a leva, mentre il mercato era nel frattempo crollato, sembrava impossibile. Erano in molti a pensare che il fondo sarebbe rimasto impantanato in Valentino, che tra equity (1,8 miliardi) e debito (2,2 miliardi), quest’ultimo più alto del primo, pesava per 4 miliardi.
Ecco invece che Fabrizio Carretti, l’uomo di Permira in Italia e quello che aveva fortissimamente voluto l’operazione Valentino, aveva tirato fuori il classico coniglio dal cilindro. Arriva il Qatar. Che paga ancora di più: ben 25 volte la redditività. La patata bollente finiva. E invece, l’emiro ha fatto l’affare della vita. La casa romana viaggia verso i 100 milioni di margine operativo lordo. Altro che cattivo affare. Il fondo non ha rifilato nessuna «sola» . E a Doha hanno avuto fiuto e visione strategica. Hanno capito che Valentino aveva ancora potenziale.
Il merito di Mayhoola è di non aver fatto nulla: hanno lasciato tutto com’era. Oggi in Qatar si fregano le mani, ma in realtà stanno solo raccogliendo il frutto del lavoro di chi li ha preceduti: nel 2012, nonostante i bui anni della crisi, Valentino faceva più ricavi di quando entrò Permira (400 milioni) e un Mol di 30 milioni, segno che il fondo non aveva fatto solo finanza, ma anche industria. Oggi i numeri sono ancora più grossi: i ricavi del 2014 sono oltre quota 650 milioni e la redditività è di 100 milioni. L’uomo dietro al successo della Valentino araba è in realtà italianissimo e si chiama Stefano Sassi. Ed era arrivato a fine 2006, poco prima del cambio di proprietà. Fu Permira, o meglio Carretti, a confermarlo a capo del gruppo, indovinando la scommessa. In Qatar devono aver studiato bene le carte prima di fare la mossa sulla maison. Altro che regalo alla moglie, altro che investimento a perdere. Certo ora sarà davvero difficile rivendere Valentino a prezzi ancora più alti. Ma la famiglia reale non è di speculatori: per loro Valentino è anche il biglietto d’ingresso nel salotto esclusivo della fashion industry. E finché Valentino macinerà reddito, anche il valore, e quindi i multipli, saliranno. Se questo non è senso degli affari.
Simone Filippetti, Il Sole 24 Ore 5/4/2015