Fiamma Satta, Vanity Fair 8/4/2015, 8 aprile 2015
FINE VITA
Come mai i nostri parlamentari, governati spesso dall’eccesso in tutto e per tutto (avidità, ingordigia, corruzione, nepotismo, clientelismo, volgarità), quando si tratta di «fine vita» e testamento biologico vengono invece dominati da un’improvvisa e meravigliosa sobrietà? Infatti sono restii a parlarne, evitano di blaterarne nei salotti televisivi dove raccattano quel minimo di visibilità da cui traggono ossigeno e, come tanti insetti spaventati da un predatore, si mimetizzano nelle boiserie dei loro scranni.
Eppure esiste una proposta di legge di iniziativa popolare, promossa da Marco Cappato e depositata alla Camera dei Deputati nel settembre 2013 dall’Associazione Luca Coscioni, a oggi mai discussa né calendarizzata.
Come mai? Forse a causa della pestifera rimozione di morte, dolore e malattia dallo scintillante red carpet del nostro salutistico sistema di vita? Forse perché la possibilità di scegliere di mettere fine a inutili e atroci sofferenze fisiche e psicologiche non li riguarda? Forse perché il delirio di onnipotenza da cui sono spesso ridicolmente invasi li fa sentire invulnerabili, eterni oppure estranei ad argomenti così poco glamour, a temi così ineleganti e inopportuni?
Almeno un concetto, però, spero l’avranno compreso i nostri parlamentari del «fine vita mai», vale a dire che il testamento biologico non è decidere di morire ma essere liberi di farlo quando la malattia diventa un insostenibile e insopportabile ergastolo doloroso, ossia un «fine pena mai».