Natalia Aspesi, la Repubblica 5/4/2015, 5 aprile 2015
LA VERA STORIA DEL GRANDE GATSBY
Nella notte senza luna del 14 settembre 1922, a New Brunswick, nel New Jersey, Eleanor Mills, giovane moglie di un meccanico, voce nel coro della chiesa, venne uccisa assieme al suo segreto amante, il reverendo episcopale Edward Hall, anche lui sposato. Distesi vicini su un prato, sotto un albero di mele, i corpi furono scoperti due giorni dopo, le loro lettere d’amore sparse attorno: il doppio omicidio divenne il “delitto del decennio” seguito dai giornali per mesi e comunque dopo anni rimasto senza colpevoli.
In quel settembre un’altra coppia, innamorata e sposata, già famosa, lasciava il Minnesota per tornare a New York: lo scrittore Francis Scott Fitzgerald, bello e mondano, a ventisei anni già molto popolare e ben pagato (aveva pubblicato racconti nelle riviste e due romanzi, Di là dal paradiso e Belli e dannati) e la moglie Zelda, ventidue anni, molto bella, vivace, intelligente, prototipo della flapper, la ragazza spregiudicata degli anni ruggenti. Quel fosco delitto aveva colpito anche Fitzgerald, che raccoglieva ritagli di giornali e prendeva continuamente appunti su un taccuino.
Quando nell’aprile del 1925 fu pubblicato Il grande Gatsby, alcuni critici azzardarono che a ispirarlo fosse stato anche il caso Hall-Mills. E questa possibilità, mai confermata dallo scrittore, la sostiene ora anche la dotta (e bella) docente di letteratura americana Sarah Churchwell, nella sua rivisitazione del capolavoro americano, Careless People ( The Penguin Press) da lei definito «biografia di un romanzo», in cui racconta “l’invenzione del grande Gatsby”. Il titolo si riferisce a una frase desolata del romanzo: “Era stato tutto molto sbadato e pasticciato. Erano gente sbadata, Tom e Daisy: sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia sbadataggine…”. Fitzgerald aveva cominciato a pensare al romanzo proprio alla fine del ’22: «Voglio scrivere qualcosa di nuovo, di straordinario e di molto bello, semplice ma allo stesso tempo complesso, il meglio che io possa fare, o addirittura qualcosa di meglio di quanto io possa fare». Sognava questo romanzo non ancora abbozzato per liberarsi dal marchio di autore popolare, da rivista, e sentirsi finalmente uno dei grandi della letteratura contemporanea, come Joyce ed Eliot, che in quell’anno avevano pubblicato l’ Ulisse e Terra desolata. Ma New York si rivelò ancora una volta una grande trappola. Non c’era tempo di scrivere perché era diventato di moda il cocktail party, e il proibizionismo aveva reso assolutamente chic procurarsi alcol, frequentare speakeasy anche di grande eleganza, fare amicizia con contrabbandieri e gangster per procurarsi da bere: e essere sempre ubriachi e stravaganti era diventato uno status symbol. Negli ultimi mesi del 1922, al culmine della Jazz Age, Fitzgerald non riusciva a scrivere più di cento parole al giorno e le dedicava a una commedia, Vegetable, che doveva arricchirlo e si rivelò invece un disastro. I Fitz, come venivano chiamati Scott e Zelda, erano quasi sempre ubriachi: ballavano sui tavoli, viaggiavano pericolosamente sul tetto dei taxi, all’alba erano ancora in giro, e lui si buttava nella fontana davanti al Plaza, il loro albergo, e lei ballava in quella di Union Square. Lui, solitamente molto gentile, ubriaco prendeva a pugni la gente, Zelda bolliva nella salsa di pomodoro i gioielli dei partecipanti alle feste continue, usciva dalle stanze dentro il carrello della biancheria sporca, eccitava talmente gli uomini che, racconta il loro amico Edmund Wilson, «i poveretti dovevano rifugiarsi in gabinetto ». Però Scott cominciò ad arrabbiarsi quando l’amatissima Zelda offrì a un amico ubriaco di passare la notte con lui, e a un altro di farle il bagno.
Il progettato capolavoro intanto non si materializzava e il famoso “delitto del decennio” continuava a occupare le prime pagine dei quotidiani, puntando sul delitto per gelosia, il peccaminoso adulterio, la differenza di classe, lo scambio di persona, nessuno a pagare per la tragedia, il sospetto che l’assassino fosse una donna. I Fitz avevano preso in affitto una villa a Long Island, dove i villaggi di pescatori erano stati invasi da miliardari che vi avevano costruito le loro grandiose magioni: da una parte sorgevano le immense proprietà delle antiche famiglie aristocratiche (i Vanderbilt, i Frick, gli Harriman, i Morgan) e di fronte quelle sontuosamente esagerate dei nuovi ricchi, gente di teatro, di cinema e del vaudeville, ma anche contrabbandieri e criminali travestiti da gentiluomini: nel romanzo la parte giusta, dove abita Daisy, si chiama East Egg, l’altra, dove vive Gatsby, West Egg, e le due dimore si guardano, una di fronte all’altra divise da una striscia di mare, e la lucina verde sul molo della villa di Daisy e Tom Buchanan diventa per Gatsby il faro del paradiso. L’atteso capolavoro però non era che qualche appunto che si concretizzava tra una sbronza e l’altra, in giorni perduti dopo notti sventate. Bisognava allontanarsi dalla festa continua, e infatti alle dieci del mattino del tre maggio 1924, con diciassette bagagli e una intera Enciclopedia Britannica, Scott, Zelda e Scottie, la loro piccina di due anni, lasciarono New York diretti a Cherbourg, Francia, a bordo del piroscafo Minnewaska, di sola prima classe secondo lo snobismo della coppia. Affittarono Villa Marie sulla Costa Azzurra, a Saint-Raphaël, e qui Scott cominciò a lavorare seriamente, liberandosi da tutto quello che aveva già scritto, una storia ambientata a fine Ottocento, e scegliendo New York e Long Island nel tempo e nel luogo in cui lui stava per perdersi, e pochi mesi di un anno cruciale, il 1922, quello splendente, smemorato e spericolato del divertimento continuo, del “delitto del decennio”, della nuovissima radio, della frenesia dell’alcol, della libertà sessuale, dei cocktail party, degli incidenti stradali mortali, dei gangster e della polizia corrotta. Il primo titolo che scelse fu Mucchi di cenere e milionari, poi Trimalcione nel West Egg, o Sotto il rosso, bianco e blu , infine l‘editore riuscì a fargli accettare Il grande Gatsby . Consegnando il manoscritto riveduto nell’odiata Roma, disse: «Credo che sia il miglior romanzo americano mai scritto, è qualcosa che non ho mai letto prima».
Il doppio delitto Hall-Mills continuava a eccitare i giornali (e tra i cronisti di nera brillava Damon Runyon), ispirava romanzi e film muti e poi sonori. Non si trovavano i colpevoli ma riesumando i cadaveri delle due vittime si scopriva per la prima volta che la giovane donna era stata colpita alla testa non da una ma da tre pallottole, e che aveva la gola tagliata, particolari essenziali che erano sfuggiti prima alla polizia, forse perché ancora non esisteva il medico legale. Nel romanzo che Scott aveva scritto a matita e che non aveva interrotto neppure dopo aver scoperto con dolore e rabbia che Zelda lo tradiva con un aviatore, erano entrati personaggi come George Wilson, il fragile, grigio marito di Myrtle, l’amante del ricco Tom Buchanan, uccisa dall’automobile di Gatsby non guidata da lui: Wilson assomigliava, nella sua inconsistenza e disperazione, a James Mills, il marito della donna assassinata del caso Hall-Mills, a un certo momento sospettato ma mai giudicato. L’affascinante, egoista Daisy, la ragazza da sempre amata da Gatsby, pareva ispirata al primo amore di Scott, Ginevra King, una delle quattro più belle debuttanti di Chicago. Nick Carraway, il narratore, poteva assomigliare a Fitzgerald stesso, mentre il ricchissimo e misterioso Gatsby, bello e giovane, vestito di rosa o d’argento, di vistoso cattivo gusto anche nella sua assurda casa opulenta, poteva ricordare Max Gerlach, noto contrabbandiere, che come Gatsby aveva combattuto nella Grande guerra.
Arricchito dal proibizionismo e altre attività criminali, bello e malinconico, organizzatore di feste memorabili aperte a chiunque e a cui non partecipava mai, le vasche da bagno piene di gin, il Gatsby di Fitzgerald è di quei personaggi di cui ci si innamora. E siamo ancora qui ad aspettare che il cinema sappia dargli il viso e lo sguardo giusto: finora, i quattro cineGastby, Warren Baxter, Alan Ladd, Robert Redford, e persino Leonardo DiCaprio, non sono lui, sono scialbi, sfiorando talvolta il ridicolo. Il romanzo a cui tanto il suo autore e sua moglie tenevano uscì negli Stati Uniti nell’aprile del 1925, e non piacque: ne vendettero solo ventimila copie e le critiche furono spesso impietose. Quando morì, nel dicembre del 1940, a quarantaquattro anni, Fitzgerald ormai si sentiva un fallito ed era sicuro che il suo Gatsby sarebbe stato dimenticato per sempre. Zelda, la meravigliosa compagna di una meravigliosa giovinezza, era da tempo ricoverata in una clinica per disturbi mentali (morì nel 1948, nell’incendio della casa di cura) mentre lui era andato a vivere con la giornalista di gossip Sheilah Graham. Nessuno ha dimenticato Il grande Gatsby che venerdì, dieci aprile, compie novant’anni. Né in America ci si è dimenticati del caso Hall-Mills, spesso citato perché irrisolto.
Nel 1926 William Randolph Hearst, che aveva comprato lo York Daily Mirror, riscoprì il doppio delitto e il caso fu riaperto. La vedova del reverendo ucciso fu arrestata assieme ai suoi due fratelli e un cugino. Più di trecento giornalisti seguirono il processo che durò un mese. Fu ordinata un’altra autopsia e ci fu una nuova scoperta, la lingua e la laringe della povera Eleanor erano state tagliate. Furono chiamati centocinquantasette testimoni e il tre dicembre, dopo cinque ore di camera di consiglio, gli accusati furono prosciolti. La sbadataggine, conclude Careless People, «ha un ruolo essenziale sia ne Il grande Gatsby che nella realtà della cronaca nera».