Lucrezia vari giornali, 7 aprile 2015
1. «Per i giornalisti coscienzosi che vogliano documentare la realtà guardandola con i propri occhi una visita a quell’accampamento di disperati è quasi un dovere professionale e la Sgrena è una di loro
1. «Per i giornalisti coscienzosi che vogliano documentare la realtà guardandola con i propri occhi una visita a quell’accampamento di disperati è quasi un dovere professionale e la Sgrena è una di loro. Ma è altrettanto professionale sostarvi non un minuto di più di quanto sia strettamente necessario per vedere, interrogare, prender nota e andarsene. Non più di mezz’ora al massimo dicono gli esperti. Prima che i criminali in cerca di prede possano avvertire i loro complici che stanno fuori dal recinto e siano in grado di preparare il colpo e rapire l’incauto visitatore. Giuliana Sgrena è rimasta in quel caotico e rischiosissimo accampamento per oltre quattro ore. È entrata nella moschea, ha girato per l’attendamento, è passata e ripassata per quei sentieri. Molti l’hanno vista, alcuni ne hanno soppesato il valore di scambio e ne hanno informato i loro complici i quali hanno avuto tutto il tempo di organizzare l’agguato indossando financo divise militari e posteggiando giusto fuori dal cancello dell’accampamento […].Forse la giornalista del Manifesto pensava che le sue idee di pacifista a oltranza le fornissero una sorta di salvacondotto; non sapeva quel che avrebbe dovuto invece sapere e cioè che quelle sue caratteristiche “politiche” accrescevano se mai il suo valore di scambio. La vicenda che ne è seguita ha dunque purtroppo inizio con un deficit di professionalità» (Eugenio Scalfari, la Repubblica, 6 marzo 2005) 2. «Difficile fare i conti con questa storia per una come Giuliana che ama l’Iraq e viene rapita da iracheni (“Quelli di Falluja mi hanno tradito. Ho fatto una cazzata quel giorno a stare tanto tempo nella moschea ma mi sembrava di essere scortese con l’imam che mi aveva concesso di entrare da loro”» (Giuliana Sgrena) (Alessandra Longo, la Repubblica 6 marzo 2005) 3. «Anche una giornalista sapiente e sperimentata come Giuliana Sgrena sembra dimenticare che incombe su di lei un pericolo maggiore e più nero non perché è una giornalista o è una cittadina di un Paese alleato di Washington, ma perché è italiana. Giuliana Sgrena dimentica quel che, nella loro crudele concretezza, i banditi iracheni […] hanno bene a mente: l’Italia è un paese emotivo e fragile […] Condizioni eccellenti per chi deve muovere il ricatto. Condizioni politicamente avventurose per chi, come il governo, deve fronteggiarlo» (Giuseppe D’Avanzo, la Repubblica, 7 marzo 2005) 4. «Ho scritto domenica scorsa a proposito del rapimento della Sgrema dal quale l’intera vicenda ha preso inizio, che era nota a tutti i giornalisti inviati a Bagdad la pericolosità di restare troppo a lungo in quel recinto dove da tempo si sono rifugiate molte centinaia di persone provenienti da Falluja. Chi ci andava per raccogliere notizie e raccontare fatti lo faceva a proprio rischio e il rischio diminuiva o aumentava in proporzione diretta al tempo di permanenza sul luogo del pericolo. Giuliana Sgrena rimase in quel recinto per oltre quattro ore dando tempo a quanti fanno parte organica della truce industria dei sequestri di persona di preparare con agio il colpo e rapire, sotto gli occhi perfino dei guardiani della moschea che sorge entro quel recinto, la giornalista del manifesto. Del resto lei medesima, in una pubblica dichiarazione di lunedì scorso, ha detto: «Mi sono trattenuta troppo a lungo tra i rifugiati di Falluja. L’ho fatto per riguardo verso l’imam della moschea che mi aveva fissato un appuntamento, ma è stato un errore» (Eugenio Scalfari, la Repubblica, 9 marzo 2005). 5. «”Questa terribile avventura mi ha dimostrato il mio fallimento. Politico e professionale” (Giuliana Sgrena)» (Riccardo Barenghi, La Stampa 7 marzo 2005) 6. «Fatta la giusta parte al coraggio, e all’imprudenza, della giornalista [Giuliana Sgrena, ndr], siamo ansiosi di conoscere quali segreti abbia scoperto, se erano tali da metterla fatalmente nel mirino dei soldati americani […]» (Lorenzo Mondo, La Stampa, 8 marzo 2005). 7. Eugenio Scalfari ha sostenuto in un editoriale di Repubblica che Giuliana Sgrena ha passato troppo tempo nell’area rischiosa prima di essere rapita. «Forse la giornalista del Manifesto pensava che le sue idee di pacifista a oltranza le fornissero una sorta di salvacondotto; non sapeva quel che avrebbe dovuto invece sapere e cioè che quelle sue caratteristiche “politiche” accrescevano se mai il suo valore di scambio. La vicenda che ne è seguita ha dunque purtroppo inizio con un deficit di professionalità» (riportato dal corriere della sera il 7 marzo 2005). 8. «Ma se avessi la guida di un giornale, non manderei una donna al fronte, a meno che non faccia la crocerossina. Non per maschilismo, ma sono convinto che in certe situazioni, o per inderogabili bisogni, la diversità si avverte e crea anche imbarazzi e problemi» (Enzo Biagi, Corriere della Sera, 8 marzo 2005). 9. «Spiace che Sgrena si penta dell’onesto pentimento articolato a caldo, quando riconobbe di essere stata tradita da quelli di Falluja, facendo ammenda del grave errore di valutazione, politica e morale, commesso a Bagdad e, perfino, vergognandosi delle lacrime che tanto ci avevano commosso, svilendole a trucco per i suoi carcerieri» (Gianni Riotta, Corriere della Sera, 9 marzo del 2005). 10. «Ma in Iraq sono troppi i civili che sfidano il pericolo: i giornalisti, i private contractors, i funzionari delle associazioni assistenziali. Dovrebbero capire che più si mettono a rischio più mettono a rischio anche gli altri» (Il generale americano Anthony Zinni intervistato da Ennio Carretto, Corriere della Sera 9 marzo del 2005). 11. «Ci vuole chiarezza perché se un giornalista vuole andare in Iraq deve sapere quali rischi corre. Deve sapere se in caso di sequestro il governo tratterà o non tratterà» (Emanuele Macaluso intervistato da Dino Martirano, Corriere della Sera 9 marzo del 2005)