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 2015  aprile 07 Martedì calendario

ARTICOLI SULLA MORTE DI GIOVANNI BERLINGUER DAI GIORNALI DEL 7 APRILE 2015


PAOLO FALLAI, CORRIERE DELLA SERA -
Era il fratello di Enrico Berlinguer e per decenni nessuno ci ha fatto caso. Sobrietà, impegno professionale e coerenza l’hanno accompagnato per tutti i suoi 90 anni, fino all’ultimo giorno: Giovanni Berlinguer è morto a Roma, che alle 18 ha aperto il Campidoglio per ospitare il suo feretro, accolto dal sindaco Ignazio Marino e da Walter Veltroni. La camera ardente sarà aperta anche oggi dalle 8 e fino alle 20 e domani alle 10 sarà l’Università La Sapienza ad ospitare il funerale del suo docente di Medicina sociale.
In un paese di familismo esasperato, spesso fondato sul niente, Giovanni Berlinguer era nato in una famiglia importante, sarda ma dalle lontane origini catalane: figlio di Mario, deputato socialista; fratello di Enrico, con lui ha condiviso l’adesione – giovanissimi – al Partito comunista italiano. Un percorso che conosceva benissimo: «Mio nonno Enrico – ripeteva – era un esponente politico in Sardegna. Poi c’è stato mio padre. E mio fratello. E i miei cugini, Luigi e Sergio. Tutte persone impegnate in politica. Che cosa avrei dovuto fare? Stare tappato in casa? Ma ho sempre pensato di avere anche un nome e mi sono comportato tenendolo bene a mente. Ho fatto le mie scelte pur subendo molte influenze, a cominciare da quella positiva di Enrico. Ho avuto il mio percorso, ho deciso di occuparmi di quelli che nella filosofia marxista si chiamano problemi sovrastrutturali perché per Marx la struttura è tutta nell’economia. Scienza, scuola, ambiente, tecnologie sono i miei campi».
Così mentre ottiene la presidenza dell’Unione internazionale degli studenti, primo incarico politico tra il 1949 e il 1953, si laurea in Medicina e negli anni successivi si abilita all’insegnamento di Medicina sociale e igiene. È un percorso professionale che non abbandonerà mai, neanche durante le tre legislature alla Camera dei deputati, le due da senatore, l’ultima da europarlamentare. E ieri, quando molti hanno voluto rendergli omaggio hanno dovuto oscillare tra lo scienziato che nel 1959 lanciava col libro La Medicina è malata con Severino Delogu la critica al sistema sanitario italiano, e il politico che ha messo la sua esperienza per difendere la sanità pubblica, la legge 194 sull’aborto, quella sulla chiusura dei manicomi. Dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «personalità brillante e dotata di alto senso morale» e di «profonda umanità»; a Giorgio Napolitano che ha ricordato proprio «il contributo alla elaborazione della riforma sanitaria del 1978», mentre Matteo Renzi lo ha ricordato come «l’affilata coscienza critica della sinistra italiana ed europea».
Proprio questa è stata la sua ultima battaglia, quando nel 2001, a 77 anni, venne candidato alla segreteria dei Ds. Quella sinistra nella sinistra, che lui ispirò ad un rigore oggi profetico: «Nel partito – disse al congresso di Pesaro – ci sono episodi e situazioni di anomalie della dialettica congressuale che vanno corrette subito. Da qui ad avere forme di corruzione il passo è breve». Una lezione, dallo scienziato che aveva spaziato dalla bioetica al collettivismo degli insetti, che gli fruttò un insperato successo, il 34,1% dei voti, assumendo per sei anni la guida del correntone e l’impegno di evitare scissioni a sinistra. Ma anche l’uomo coerente che nel 2007, alla nascita del Pd, lo avrebbe portato all’adesione alla Sinistra democratica di Fabio Mussi.
«Intellettuale raffinato sempre pronto al dialogo», lo ha definito Piero Fassino che lo aveva sconfitto proprio in quel congresso del 2001. Commosso il ricordo di Achille Occhetto alla «serenità illuminata dell’uomo di scienze e la mitezza fondata su ostinati e saldi principi». E ancora Massimo D’Alema: «Un protagonista che seppe unire la passione politica e civile alla curiosità scientifica»; la leader della Cgil Susanna Camusso, «Un uomo giusto, un fine politico, sempre vicino al sindacato e ai lavoratori»; e il leader di Sel Nichi Vendola, «Era una persona di sinistra mite ma combattiva, curiosa del futuro, non sopportava i pregiudizi. Una bella persona».
Paolo Fallai

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B.L., IL MESSAGGERO -
È morto a Roma a quasi 90 anni Giovanni Berlinguer. Nato a Sassari nel 1924, fratello del segretario del Pci Enrico Berlinguer, medico e professore universitario, Giovanni Berlinguer è stato parlamentare del Pci a partire dal 1972, ma un ruolo di primo piano sulla scena politica lo ebbe in tarda età. Fu quando nel 2001, a 77 anni, si candidò alla segreteria dei Ds come leader della corrente di sinistra. Ebbe il 34,1 per cento dei voti, un risultato ragguardevole che andò al di là delle previsioni. Vinse poi Piero Fassino (che oggi lo ricorda come «intellettuale raffinato sempre pronto al dialogo» ), ma al congresso di Pesaro Berlinguer fece un discorso che a distanza di quasi 15 anni suona incredibilmente preveggente: «Nel partito - disse dal palco - ci sono episodi e situazioni di anomalie della dialettica congressuale che vanno corrette subito. Da qui ad avere forme di corruzione il passo è breve». Da allora e fino al 2007, anno di nascita del Pd, fu lui il leader del «correntone», che raccoglieva tutta la sinistra interna. Fintanto che esistettero i Ds , Berlinguer fece di tutto per evitare la scissione dell’ala sinistra. Ma dopo la nascita del Pd lasciò il partito e aderì a Sinistra Democratica di Fabio Mussi. Fino al maggio 2009 Giovanni Berlinguer fu deputato al Parlamento europeo di Strasburgo.
MITE E COMBATTIVO
La scomparsa di Berlinguer ha colpito il mondo della sinistra che vedeva in lui un punto di riferimento, ma il cordoglio trascende le appartenenze politiche. Tra i primi a esprimere il dolore per la scomparsa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha ricordato la «limpida figura» di Giovanni Berlinguer, «personalità brillante e dotata di alto senso morale». e di «profonda umanità». Matteo Renzi lo ha ricordato come «l’affilata coscienza critica della sinistra italiana ed europea», mentre Giorgio Napolitano ha richiamato gli anni dell’impegno comune nel Pci e «il suo forte contributo alla elaborazione della riforma sanitaria del 1978». «Era una persona di sinistra mite ma combattiva - ha detto il leader di Sel Nichi Vendola - curiosa del futuro, non sopportava i pregiudizi. Una bella persona». Il presidente del Senato Pietro Grasso ha messo in evidenza la sua «grande dignità». «Berlinguer - ha detto Grasso - ha portato in politica e nelle aule parlamentari il rigore etico dell’uomo di scienza». Massimo D’Alema lo ha ricordato come «un protagonista della vita e delle battaglie del Pci». Per la leader della Cgil Susanna Camusso Berlinguer è stato «un uomo giusto». A rendergli omaggio nella camera ardente allestita al Campidoglio, tra gli altri il sindaco di Roma e l’ex segretario del Pd Walter Veltroni.
B.L.

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ROBERTO SCAFURI, IL GIORNALE -
Uno dei paradossi della sua vita è come fosse toccato proprio a lui, massimo conoscitore in natura dell’estremamente piccolo, di assistere con pena alla riduzione lillipuziana della famiglia politica di provenienza, quella del Pci, vivisezionata dai successori del più noto fratello Enrico.
Così Giovanni Berlinguer, che ci ha lasciato allo scadere dei 90 anni l’altra notte, aveva visto e vissuto il decadimento verso il Pds, diventato già Ds quando nell’agosto 2001, a 77 anni, s’era prestato per la prima e unica volta della sua carriera a un’operazione di vertice: candidato a sorpresa del cosiddetto Correntone, in attesa di Cofferati, per sbarrare la strada all’uomo scelto da D’Alema (Fassino). Altro paradosso: molti dei raffazzonati amici dell’ultim’ora (veltroniani per lo più) non solo non erano alla sua altezza, ma neppure conoscevano bene l’ultimo dei comunisti d’antan. Discendente di marchese socialista e di Gran capo di Loggia massonica sassarese, uomo di sinistra assai più del fratello Enrico. Pur essendo stato parlamentare (poi pure eurodeputato), membro del Comitato centrale, Giovanni non condivise molte scelte del Berlinguer maggiore. Una su tutte, il compromesso storico: «L’errore fu di credere che le minacce più gravi per la democrazia provenissero da forze esterne al sistema politico. E di ricercare una collaborazione con i partiti responsabili del degrado delle istituzioni».
Coerente fino alla fine con la lucidità e il rigore dello scienziato, curioso di ciò che si muoveva nel mondo, autore di oltre duecento tra pubblicazioni e libri, presidente del Comitato di Bioetica (oltre che di tante importanti Commissioni internazionali), Giovanni era tutt’altro che un estremista. Mite e riservato, dell’arguzia propria degli intellettuali, diceva con modestia di essersi dedicato a «quelli che nella filosofia marxista si chiamano problemi sovrastrutturali... Scienza, scuola, ambiente, tecnologie sono i miei campi». D’altronde, che avrebbe potuto fare, con una famiglia del genere, «stare tappato in casa?», sorrideva di sé davanti alla sua gigantesca biblioteca di scaffali bianchi. Dal nonno Enrico al padre Mario, al fratello, tutta gente che masticava pane e politica. Fino ai cugini Luigi, da ultimo contestatissimo ministro dell’Istruzione, e Sergio, diplomatico e ministro degli Italiani nel mondo nel primo governo Berlusconi, dopo essere stato segretario generale del Quirinale quando il presidente era l’altro cugino, Francesco Cossiga. Per questo, Giovanni alla politica aveva affiancato una sua strada, diventando medico. E, nei Sessanta, «colto da intenso prurito (intellettuale) per le pulci» a dedicarsi al loro studio, fino a intrecciarlo con la propria autobiografia in un divertentissimo volume ormai introvabile (Le mie pulci, ed. Einaudi). Entomologo di fama, seppe raccontare vita, costumi e influenza di questi misconosciuti parassiti portatori di peste nella vicenda umana, fino a poter affermare che esse «avessero deciso la sorte di molte più battaglie che Cesare, Annibale e Napoleone». Quando apprese dal direttore dell’omonima Fondazione che era stato il famoso banchiere Rothschild a scoprire tante specie di pulci, disse che gli sembrava di intuirne la ragione, ravvisandola nell’«affinità tra insetti ematofogi e banchieri».