Franco Bechis, Libero 5/4/2015, 5 aprile 2015
NUOVE TASSE E CONTI SFORATI IL DEF DI RENZI E PADOAN
La prima volta di Matteo Renzi da premier e di Pier Carlo Padoan da ministro dell’Economia non ne hanno azzeccata nemmeno una per sbaglio. Quando l’8 aprile dello scorso anno i due hanno fatto approvare in consiglio dei ministri il Documento di economia e finanza (Def), con annessi il programma nazionale di riforme e tutti gli allegati del caso, sostennero che il Pil sarebbe aumentato dello 0,8% nell’anno in corso e dell’1,3% nel 2015. Secondo loro sarebbero tornati a tirare subito pure i consumi. Sognavano, ma essendo quelli i dati fondamentali del quadro economico e avendoli inseriti a casaccio provando a giocarsi i numeri al lotto, tutto il resto del documento è divenuto ben presto carta straccia. Servì solo a capire nella sua introduzione quel che aveva in testa di fare Renzi da premier, visto che ancora pochi lo conoscevano. Ma anche in quel caso l’unica cosa effettivamente realizzata in pochi giorni fu il decreto legge con i famosi 80 euro: tutto il resto, a partire dal pagamento in pochi mesi dei debiti della Pubblica amministrazione, resta su quelle pagine a monito della scarsa affidabilità dell’esecutivo in carica.
La coppia Renzi-Padoan ci riprova, perché così prevede l’inutile liturgia della finanza pubblica. E martedì prossimo, 7 aprile, il Def con la sua montagna di carta allegata approderà in consiglio dei ministri. Potrebbe essere approvato seduta stante o solo raccontato agli altri ministri, rimandando di qualche giorno il sigillo finale. Non molti però, perché a Bruxelles aspettano il Pnr dell’Italia entro metà aprile, e bisogna pure mandarlo, qualsiasi cosa vi sia scritta al suo interno. Poi si potrà anche integrare ed eventualmente correggere. Già in questi giorni è circolata la prima bozza sulle linee guida, che palazzo Chigi però sostiene essere solo vagamente indicativa, perchè bisognosa di molte correzioni. Un po’ di prudenza in più sembra comunque accompagnarla rispetto a quella dell’anno scorso. Anche nel cronoprogramma che l’accompagna (e che in pochi casi ha davvero a che vedere con la finanza pubblica) non sono poche le previsioni di realizzazioni prive di data specifica.
Però Renzi conta di portare a casa in tempi certi quel pacchetto di riforme istituzionali che tanto divide il suo Pd: Italicum che diventa legge prima delle vacanze estive e riforma del Senato e del titolo V della Costituzione entro dicembre 2015 (meno probabile). Gran parte delle altre riforme inserite sono le stesse dell’anno scorso, e non poche di loro avrebbero dovuto essere legge entro fine 2014. Anche il nuovo piano quindi è da prendere con grande cautela. Non ci sono per altro annunci di particolari novità, perché tutto fa ancora parte di quel che già è stato presentato dal governo.
Nella bozza di Def si affrontano anche i numeri principali di finanza pubblica. E almeno nel documento fin qui circolato sembra esserci una certa confusione. Prima cosa: per l’ennesimo anno consecutivo il governo italiano sposta di un anno il raggiungimento di quel pareggio di bilancio che per altro sarebbe vincolo costituzionale. Secondo Berlusconi si doveva raggiungere nel 2014, poi Mario Monti l’ha spostato al 2015, Enrico Letta al 2016, il Renzi appena arrivato al 2017, e questa volta si propone il 2018. Sicuro che non strapperà applausi in Europa. Il Pil italiano viene previsto in crescita dello 0,7% nel 2015 e dell’1,5% nel 2016, in modo più ottimistico delle stime europee e di altre organizzazioni internazionali.
Il deficit/Pil resta confermato al 2,6% nell’anno in corso, ma dovrebbe essere rivisto verso l’alto nel 2016 rispetto all’1,8% programmatico. Renzi e Padoan si dicono infatti convinti di potere avere dalla commissione Ue quella flessibilità di finanza pubblica che era stata promessa ai paesi virtuosi che fanno riforme. Naturalmente loro si ritengono virtuosissimi. Perché questa diventi realtà però bisogna che di quell’ opinione siano gli altri, e l’aria che tira nei confronti dell’Italia non sembra quella: già si è perdonato tanto sulla deludentissima performance 2014.
Per raggiungere quegli obiettivi assai improbabili il governo italiano ha innanzitutto un problemino da risolvere: la clausola di salvaguardia già inserita nell’ultima legge di Stabilità, e che lascia un buco da 10 miliardi di euro nei conti 2016, che verrebbe coperto automaticamente con un aumento delle aliquote Iva.
Se scattassero, l’Italia tornerebbe facilmente in recessione, e ogni numero sarebbe da rivedere. La propostamolto generica del Def è sostituire quei 10 miliardi con 7 di tagli alla spesa e circa 3 di riordino delle cosiddette "tax expenditures", le agevolazioni fiscali (a persone fisiche e imprese, e questo significa un po’ di tasse in più). Non ci sono molti dettagli sul taglio della spesa: si cita la razionalizzazione delle strutture periferiche del governo (come le prefetture), il solito risparmio che dovrebbe arrivare dalla centrale unica per gli acquisti pubblici (la Consip: c’è in ogni finanziaria, e non funziona mai), qualche tradizionale riduzione di trasferimenti agli enti locali, e un ever green come il taglio della spesa per i falsi invalidi. Con un menù così quei 7 miliardi sono scritti sulle nuvole. C’è da sperare che nel testo definitivo del Def ci sia qualcosina di più dettagliato. Qualche numero sul rapporto debito-Pil, che dovrebbe calare entro il 2018 al 124,6%: per centrare l’obiettivo il governo promette privatizzazioni da 11 miliardi di euro ogni anno, citando anche le società candidate: Poste, Enav, Stm. Nel 2014 la promessa era 15 miliardi. Qualcuno li ha mai visti?
E con questo abbiamo detto tutto.