Sergio Romano, Corriere della Sera 5/4/2015, 5 aprile 2015
STORIE DI MARMI E CRATERI PERIPEZIE DELLE OPERE D’ARTE
Nel 1999 il presidente Usa Bill Clinton, passando dalla Grecia dopo un viaggio in Turchia, promise ai governanti greci il suo interessamento per convincere la Gran Bretagna a restituire i fregi del Partenone esposti al British Museum di Londra. Gli inglesi da quell’orecchio non ci sentirono. Se, in ipotesi, avessero ceduto alla pressione di Clinton, si sarebbe creato, mi pare, un precedente di portata incalcolabile. Pensiamo soltanto all’Italia. Una analoga richiesta «verso l’esterno», con l’auspicato ma improbabile risultato favorevole, avrebbe svuotato gran parte dei musei pubblici e privati di mezzo mondo. Basti pensare, tanto per fare un solo nome, al Getty Museum di Malibu in California che, nonostante qualche restituzione obtorto collo , è imbottito di pezzi archeologici giunti, non si sa per quali vie, dall’Italia. Per inciso, ricordo che in un viaggio a Birmingham ebbi modo di visitare un museo periferico, a University, dove rimasi stupefatto alla vista di una splendida terracotta di Andrea Della Robbia e di numerosi quadri di Simone Martini, Bellini, Veronese, Canaletto, Guardi e altri. Dunque parlare di restituzione generalizzata sembra, non le pare?, un’ipotesi difficilmente percorribile.
Lorenzo Milanesi
lorenzomilanesi@alice.it
Caro Milanesi ,
N on credo che Bill Clinton abbia preso la sua intermediazione molto sul serio. Suppongo che si sia sdebitato dell’impegno con i greci trasmettendo il loro desiderio al governo britannico e che questo, dopo averlo cortesemente ascoltato, abbia ribadito la propria posizione: i marmi sono stati comprati, sono in Inghilterra da più di due secoli e sono stati straordinariamente valorizzati dal British Museum con una presentazione che ha probabilmente indotto un numero incalcolabile di persone a visitare l’Acropoli.
Quanto all’ipotesi che la restituzione dei marmi del Partenone possa giustificare altre richieste del genere su scala mondiale, ricordo che anche i musei hanno una storia meritevole di essere rispettata e conservata. Dovremmo forse smantellare l’Ermitage, il Louvre, l’Alte Pinakothek e le grandi National Gallery di Londra e Washington? Dovremmo dimenticare che le opere custodite dai musei sono state donate o comperate? È giusto difendere l’arte dai furti, dai saccheggi, dagli scavi illegali e dagli incauti acquisti. Ma non sarebbe altrettanto giusto spingere la difesa del proprio patrimonio culturale sino a ignorare il diritto di proprietà. Anche se non piace a qualche nemico della proprietà privata o a qualche arrabbiato nazionalista, il diritto di acquisire e disporre dei propri beni è un «valore» della cultura occidentale che occorre difendere.
L’archeologia pone problemi diversi. Se gli oggetti fanno parte di un «unicum», come Pompei, è meglio che tutto, nella misura del possibile, rimanga sul posto. Ma vi saranno sempre circostanze, come per i marmi di Lord Elgin, in cui sarà necessario fare una eccezione. Dovremmo altresì smetterla, caro Milanesi, di pensare che le opere italiane all’estero siano state sottratte agli italiani e debbano quindi rientrare in patria o addirittura, per una sorta di campanilismo artistico, nel borgo dove furono realizzate. Dovremmo piuttosto pensare al messaggio che queste opere trasmettono quando stupiscono i visitatori di un museo straniero. E dovremmo fare, in molti casi, qualche calcolo. Ho fatto del mio meglio, parecchi anni fa, perché gli Stati Uniti restituissero all’Italia il grande cratere di Euphronios, tornato finalmente nel 2006. Ma suppongo che il suo creatore, dall’Olimpo, confronti amaramente il numero di coloro che lo ammiravano al Metropolitan di New York con quello di coloro che gli fanno visita nel museo nazionale etrusco di Roma. Non so quanti siano i visitatori dei bronzi di Riace nel museo archeologico di Reggio Calabria, ma posso fornire qualche cifra sulla dea di Morgantina, esposta per tre decenni al museo Getty di Malibu e ora, dopo la restituzione, in quello della cittadina siciliana di Aidone. Nel 2013 la statua fu vista da 22.000 visitatori; nel 2010, a Malibu, in California, era stata vista da 400.000 persone.